La canzone, è noto (è noto?), dura quanto l’ultimo tempo del coito, non dell’accoppiamento nelle sue variabili evoluzioni e cambi d’intreccio (le strofe, i ritornelli) ma dell’ultimo tratto, quello dal quale non si torna indietro. L’ultimo tempo, già. In quante canzoni l’abbiamo perso quel tempo, ascoltando canzoni e non da presso l’eros. Come se non conosceste questa viltà.
Sto cantando, e tu, in platea, con me ti apparti a vista. Abbiamo gli occhi toccanti. E mi comprendi, siamo in pieno senso finalmente (il senso della fine, sì, il senso dell’ultimo tratto, il senso che noi siamo). E ti comprendo anch’io. Insomma, siamo presi assieme. Spiritualmente, sì, intellettualmente anche. Sì, colmiamo, portando fino al nostro orlo il livello spirituale e quello intellettuale, sì, giusto, mi hai capito, sappiamo fare uno più uno che fa noi due.
Giusto, spirituale e intellettuale al colmo, sommati, fanno sangue, fanno corpo, fanno i sensibili. Sì, ti risulta? Anche a me risulta. Siamo noi la somma, la conclusione ultima, la realtà vera: la fisica sensibilità nostra del corpo. È il colmo? Sì lo è. È il fenomenale risultato. Ma sì, ma infatti, appunto, ma come no, affrontiamo la questione senza fare gli schizzinosi, certo che sì, certo che siamo fatti di spirito e intelletto, di fiato, di soffio, di respiro, e di capacità di legger dentro, dentro quel fiato, quel soffio, quel respiro, che noi vorremmo, dalla nostra, trasbordare in altra bocca.
Io mi ho sulla punta della lingua, e tu sulla punta della tua lingua t’hai, come quando non ci viene la parola. E non vogliamo che la parola venga, non la parola, ci analfabetizziamo, il dire non è il fare, il fare è il fare, e noi facciamo. Spirito e intelletto, qui scopriamo, non sono verbali, non sono chiacchiere, non sono a parole, sono piuttosto a baci, e li facciamo, con tutto il resto appresso.
Siamo la goccia che ci fa traboccare, e insieme a noi traboccano lo spirito e l’intelletto, che hanno raggiunto il colmo. Ché spirito e intelletto, secondo voi (voi chi?), a che tendono se non al godimento? Estasi esplosive, lampi illuminanti… Lei mi guarda, io la guardo e, a mezza via, sul filo dello sguardo, un solo filo, il “tra noi” con noi oscilla. È il tratto d’unione, nostro ultimo tratto, incredibilmente al centro della pista da ballo, sgombra al momento perché, quando canto in questo modo, incanto, come se dicessi “cuccia là” ai cani. Incanto, e la cagnara danzante del pubblico sta a cuccia. E lì ci combiniamo, ci facciamo nuovi nuovi.
Quando nella realtà accadono queste cose, capisci cosa accade nel sogno: accade quello che nella realtà accadrebbe se noi fossimo capaci di farlo accadere. Il sogno è la realtà che te la sogni se non sei capace di viverla. Cos’è, malia? È malia quando il sogno accade veramente? Strana la vita: quando accade al meglio non pare vero che accada, pare sogno o così si dice.
Queste ultime frasi sulla vita e il sogno sono cerealicole, sono granaglie, tipo frumento e avena, tanto per dar la biada alla mia canzoncina, la mia cavallina storna, stellata, che leva alto il nitrito del canto, perché io ho forse alzato, inumidito, un dito. Noi sotto i nostri occhi ci accoppiamo in tutti i modi, al centro della pista da ballo, e siamo all’ultimo tempo di questo nostro tempo. Il ballo non è forse l’approssimativa, direi scalpicciante, figurazione di quel che immaginate (qualsiasi cosa)?
Su questo coperchio d’abisso che è la pista da ballo… E i nostri baci, per dire solo i baci, i nostri baci abissali nessuno li vede. Come in sogno, tu mi insegni, mi dicesti, in mezzo a tanta gente, “baciami, tanto nessuno ci vede”, e così avvenne. Il pubblico fa l’ebete, ascolta la canzone, è la sua natura. La natura della canzone è inebetirlo. Un ottimo intruglio tra due propensioni naturali, il cui effetto rimbambente è, appunto, questo: che nient’altro accada. Mentre invece noi sì.