Più litio per tuttiLa grande scommessa di Elon Musk per vendere sempre più auto elettriche

Tesla ha annunciato che taglierà di un terzo il prezzo minimo delle sue vetture, ma gli investitori non ci hanno creduto (da quel momento, l’azienda californiana ha perso circa il 18% del suo valore in borsa).

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Elon Musk ne ha fatta un’altra delle sue. Tra una dichiarazione negazionista sul Covid e l’altra, ha annunciato la scorsa settimana che taglierà di un terzo il prezzo minimo delle sue Tesla. Vuole raggiungere i 25mila dollari per la Model 3, la entry level del marchio, oggi venduta negli Stati Uniti per poco più di 35mila dollari. Per capire se si tratta di un annuncio rilevante o meno solitamente si guarda alla reazione dei mercati. Tesla è infatti quotata in borsa, e dal momento dell’annuncio ha perso circa il 18% del suo valore (alcune decine di miliardi di dollari, non briciole) non si può dire che Musk non abbia colpito gli investitori, anche se non nel verso sperato.

Riavvolgiamo per un attimo il nastro. Elon Musk sa che per mantenere la promessa di prezzi più democratici per le sue auto elettriche deve cambiare il modello di produzione. Non a caso ha già affermato di volerci riuscire nel giro di qualche anno e per farlo deve passare per il collo di bottiglia delle batterie. Guardando ai dati storici verrebbe da pensare che non ci sia ragione perché non debba riuscirci: nel 2011 un kilowattora da una batteria al litio costava 917 dollari, l’anno dopo 721, nel 2015 381, nel 2018 180, l’anno scorso 156 e quest’anno è previsto si arrivi a 135 dollari.

È la cosiddetta legge di Wright: più il costo di un prodotto cala, più quel bene viene prodotto. Ed è stata una discesa anche più rapida del previsto: un’analisi della società di consulenza McKinsey aveva previsto nel 2012 che per quest’anno non si sarebbe scesi sotto i 200 dollari per kilowattora e nel 2025 non avremmo abbattuto neanche il muro dei 150 dollari che oggi invece è già superato. Per raggiungere l’obiettivo di 25mila dollari ad auto bisogna stare sotto i 100 dollari al kilowattora. Secondo gli esperti, questo è il livello minimo per le automobili ad alimentazione elettrica per poter competere anche sul prezzo di acquisto con il motore a scoppio.

Allora perché gli investitori non hanno creduto a Musk, vendendo le azioni di Tesla in portafoglio? Il personaggio lo conosciamo, e sappiamo che il suo animo visionario porta l’imprenditore americano a prendersi qualche libertà nei suoi annunci e promesse. In effetti già qualche anno fa il patron della società aveva affermato che sarebbe riuscito a raggiungere quel prezzo di vendita per le sue Tesla. Ma in realtà riuscì a scendere “solo” a poco più di 35mila dollari, con la Model 3. Una novità che l’anno scorso ha comunque contribuito in larga parte al calo del prezzo medio dei veicoli elettrici negli Stati Uniti, passati dai 64mila dollari del 2018 a più di 55mila.

Un ottimo risultato nella prospettiva del mercato americano: negli Stati Uniti il prezzo medio di acquisto di una macchina è alto, proprio attorno ai 35mila dollari, mentre mediamente i modelli elettrici costano molto di più. Ma una promessa è una promessa, e in quel caso Musk non la rispettò. Secondo gli analisti interpellati dal sito The Verge dovremmo tagliare il nastro dei 100 dollari al kilowattora entro il 2023, ma Musk vuole fare le cose più in fretta. E non tutti sono disposti a crederci (per capirci, ha anche promesso di raggiungere i 20 milioni di auto vendute all’anno: si tratterebbe di un numero maggiore di Toyota, General Motors e Volkswagen messe assieme).

Elon Musk però ci crede, e per questo è disposto a portare avanti una piccola rivoluzione nel campo delle batterie al litio. Alla base del taglio dei prezzi infatti c’è un’aggressiva operazione per ridurre i costi della produzione delle batterie. E per riuscirci si è detto pronto a internalizzare la produzione delle celle- Attualmente, infatti, Tesla dipende da altre aziende per la fornitura, in particolare da Panasonic e altre aziende asiatiche. Il mercato però già oggi non riesce a rispettare gli ordini di Tesla e nel 2018 una mancata fornitura di Panasonic aveva messo in crisi la produzione della Model 3.

Se dunque Musk vuole superare stabilmente quota 100mila veicoli venduti a trimestre (per ora ci è riuscito solo nel terzo trimestre 2019 e nell’ultimo appena concluso) non può che fare diversamente. E così ha scelto di ripercorrere la strada già intrapresa da un’altra sua creatura, SpaceX, che a differenza della Nasa e altri storici produttori di veicoli spaziali statunitensi, ha accentrato la produzione nei propri centri e ridotto al minimo le forniture da aziende esterne. In questo modo si riducono i costi e i potenziali ritardi. Scelte simili le ha fatte anche Apple per la produzione di iPhone e iPad.

Così Musk ha annunciato che Tesla produrrà in prima persona – nel giro di qualche anno – le proprie batterie e che saranno di un nuovo tipo: cinque volte più capienti e con un raggio di autonomia il 16% più ampio. L’amministratore delegato ha anche annunciato di voler eliminare il cobalto dalle batterie al litio. Oggi ne è un elemento fondamentale, perché è un componente chiave per realizzare il catodo, cioè il polo negativo della batteria. Da anni i giornali internazionali, e ultimamente anche il neonato quotidiano Domani, pubblicano inchieste sulle condizioni disumane di molti siti di estrazione di questo minerale, in particolare nella Repubblica del Congo dove per queste attività sono coinvolti anche migliaia di minori.

La scelta degli investitori segue una settimana in cui la società si è trovata in relativa difficoltà. A inizio settembre la notizia della sua esclusione dall’indice S&P 500 a Wall Street, quello che segue l’andamento azionario delle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione, aveva portato a una prima sequenza di vendite e ribassi. In S&P 500 sono presenti Apple, Alphabet, Microsoft, ma anche General Motors e Ford. La sua esclusione aveva portato alcuni a mettere in dubbio il reale valore dell’azienda.

In effetti Tesla a luglio è diventata l’azienda automobilistica con il valore più alto riconosciuto dalle borse – la cosiddetta capitalizzazione – superando Toyota, a poco più di 200 miliardi di dollari. Ma allo stesso tempo la casa giapponese vende trenta volte le auto vendute da Elon Musk e i suoi ricavi sono dieci volte superiori. Mentre sul conto economico, se a luglio Tesla ha centrato l’obiettivo di guadagnare profitti per il quarto trimestre consecutivo, è anche vero che dal 2015 ci è riuscita solo in sette trimestri su ventidue. Ma sappiamo anche che in borsa non tutto è lineare, e a incidere sono soprattutto le prospettive. Per Tesla evidentemente gli investitori credevano in un futuro più che roseo e profitti in crescita, ma ora aleggia qualche dubbio in più. Tra mancanza di fiducia nelle promesse di Musk e l’incertezza generale sul mercato automobilistico.

D’altronde, come ha fatto notare a Sky TG24 Business Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, la curva della crescita del titolo Tesla in borsa assomigliava molto, troppo, alle bolle di dot.com e in particolare di Cisco del 2000. Con le dovute proporzioni, preoccupanti: se l’andamento è effettivamente simile, un’azione Tesla vale circa cinque volte tanto una di Cisco negli anni duemila e l’azienda di auto elettriche, per ora, ha ottenuto il risultato in pochi mesi mentre allora Cisco ci aveva impiegato anni.

L’imprenditore visionario ha aperto la sua ultima battaglia decisiva. Dopo aver conquistato la fascia luxury entrando nell’immaginario collettivo del lusso e della tecnologia, grazie all’anticipo con cui è arrivato sul mercato (ha investito in Tesla nel 2004, quando nessuno ci credeva), Musk ora vuole essere un punto di riferimento anche per chi vuole un’auto elettrica senza spendere troppo. Ma non sarà facile, anche per via dei competitor. La seconda più grande azienda automobilistica al mondo, Volkswagen, ha appena annunciato un piano di investimenti da 15 miliardi in Cina per il mercato delle auto elettriche, per produrre lì 15 modelli anche plug-in. E per Musk convincere i finanziatori che vuole fare sul serio potrebbe essere questa volta più difficile, che so, che mandare l’uomo nello spazio.

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