Trump, il Covid e il pensiero magico
Negli Stati Uniti gonfiano le cifre dei decessi da Covid perché «così i dottori prendono più soldi e gli ospedali prendono più soldi», l’ha detto Trump, continuando a sostenere che il virus sta sparendo. E la sua presidenza, iniziata con l’’America First ripetuto e scandito nel discorso inaugurale, si chiude in un’epidemia di pensiero magico covidiota-no mask che neanche la terapia intensiva riesce a sconfiggere.
Trump non sa più a chi dare la colpa e accusa medici e infermieri di corruzione; il suo vicepresidente è in giro a fare campagna elettorale aggressiva dopo che il suo capo di gabinetto e metà del suo staff hanno preso il Covid; tanti repubblicani – anche anzianissimi, come venerdì in Florida – vanno sprezzanti, accalcati e privi di mascherine ai comizi di ambedue.
Verrebbe da pensare “ammesso che sopravvivano, hanno perso”, ma non è detto, al netto di soppressione del voto e dei brogli. Biden conduce sempre, ma un po’ meno di prima. Gli elettori registrati come repubblicani stanno cominciando a votare in massa. E poi gli americani, dalle origini, pensano «di poter creare il proprio mondo, la propria verità». E spesso, quando non è possibile, preferiscono «credere alle bugie, illudersi». È la tesi di uno dei libri sul fenomeno, Fantasyland di Kurt Andersen, che cerca di ricostruire il rapporto degli americani col fantastico; dalle corse all’oro al complottismo al successo di personaggi come Buffalo Bill, Joe Exotic, Donald Trump.
Mark Meadows ha un momento Arcuri
Meadows, capo di gabinetto di Trump, intervistato ieri da Jake Tapper della Cnn ha reagito con l’aria scocciata che ha il nostro commissario quando è costretto a parlare di contenimento della pandemia. Ha informato il conduttore che «non la possiamo controllare”» Quando Tapper gli ha chiesto perché, ha risposto «perché è contagiosa» (Il pensiero magico guida anche Meadows e famiglia, a guardare le foto del banchetto di nozze covidiota di sua figlia ad Atlanta, decine di persone in belle sale in stile moresco e tanti abbracci).
Un’app per sopprimere il voto
In Alabama, nella contea più popolata, democratica e afroamericana, migliaia di schede postali potrebbero essere scartate: sono state spedite seguendo tutte le regole, ma le regole nel frattempo sono state cambiate. È assurdo, le nuove regole potrebbero essere dichiarate illegittime, intanto le schede scartate potrebbero far perdere un democratico in difficoltà, Doug Jones, e pesare sulla nuova maggioranza in Senato.
È un caso tra centinaia, ed è solo la soppressione del voto via burocrazia. Poi ci sono le file per votare, di ore, ovunque. Poi c’è la soppressione per iniziativa spontanea. Dei volontari dell’Esercito di Trump (è un’iniziativa del suo sito ufficiale) che si presentano come osservatori ai seggi, e dei molestatori isolati che possono agire via app.
L’app l’ha creata True the Vote, un’organizzazione ultraconservatrice. Serve a denunciare in tempo reale frodi elettorali e e a «monitorare gli elettori che giudicano non ammissibili a votare» (sì, son cose razziste). La fondatrice di True the Vote, Catherine Engelbrecht, ha spiegato: «Questi marxisti rivoluzionari vogliono distruggere le elezioni e il paese».
Mark Twain 2020
Se poi si è marxisti rivoluzionari e si vogliono denunciare irregolarità e intimidazioni, ci sono siti come Seesay2020. Con moduli online per denuncia e una mappa interattiva degli Usa, da cliccare, con puntini di colori diversi per ogni sopruso, rosso problemi con le schede, blu problemi ai seggi, giallo le minacce.
È un pazzesco affresco di microconflittualità americana e un racconto di Mark Twain ambientato quest’anno: «Nel seggio di Port Orange, Florida, c’è un volontario che accoglie tutti dicendo che i democratici bruceranno le città. Lui e gli altri del suo gruppo sono senza mascherina». Fuori dal centro anziani di Southport, North Carolina, «due sostenitori di Trump siedono su sedie pieghevoli accanto alla fila e fanno commenti intimidatori». A Johnson City, Tennessee, «un corteo di trattori impedisce l’accesso al seggio». La maggior parte delle segnalazioni riguardano le schede, la maggioranza dei puntini è negli Stati in bilico (tranne il Wisconsin, che al netto di qualche milizia è ancora Midwestern Nice: solo tre segnalazioni, e una è «gli scrutatori di Dunkirk non portano mascherine e mia nonna non vuole entrare», giustamente).
I moniti di Dan Rather
«Quel che è successo nel 2000 – nessuno ha voglia di parlarne – è che nelle sale di controllo – in alcune – c’erano rappresentanti, anche capi delle corporation che possedevano le reti tv. Che insistevano perché le reti proclamassero George Bush, perché era nell’interesse delle loro aziende oltre che nel loro, personale, politico e ideologico… Se succederà o no stavolta… non dico a nessuno come lavorare. Ma se me lo chiedessero direi di tenere fuori le corporation». Non lo dice un Bernie Bro, lo dice Dan Rather, anchor e direttore delle news Cbs per un quarto di secolo, uno dei giornalisti più rispettati d’America. Intervistato in un podcast di Slate, ha ricordato il 2000 sperando non si ripeta, e ha dato dei consigli a media e pubblico: «Guardate, non sarà la vostra solita notte elettorale. Servirà pazienza. Potrebbe volerci molto tempo… Potrebbe essere un risultato travolgente, è improbabile ma rimane una possibilità… Spero che i giornalisti mettano in chiaro che se ci vuole molto tempo a contare i voti, questo non dovrebbe mettere in dubbio la legittimità delle elezioni».
Florida Men, Obama contro Alex
C’è in Florida una scuola di pensiero secondo la quale Barack Obama è andato a Miami non tanto per Trump quando per Alex Otaola. Otaola è una star cubano-americana su YouTube, seguito soprattutto dai più giovani. L’altra volta era per Hillary Clinton, poi è diventato di destra, forse per calcolo, comunque è stato un successo. Inveisce in spagnolo contro i media di sinistra, prende in giro i reggaetoneros e Black Lives Matter, organizza cortei per Trump oppure invita a non votare. E allontana dai democratici i cubani più giovani, già non pazzi di Biden.
Per loro, soprattutto, Obama a Miami ha fatto un bel comizio, ricco di riferimenti alla cultura pop. Parlando di Trump ha notato che «non si comporta in modo normale»: «Neanche Florida Man farebbe quello che fa lui». La citazione del nuovo simbolo dello Stato, il tizio che fa cose molto strane (ed è convinto, come Trump e gli americani del libro Fantasyland, di poter creare la propria verità), è piaciuta. Molti hanno suonato il clacson perché era un comizio drive-in.
Florida Men, quelli che non votano
«L’unico tipo di affluenza che può sconfiggere nettamente Trump è un’affluenza da Obama Coalition, con tanti giovani, specie afroamericani e ispanici. Per Biden non la stiamo vedendo. Per questo Obama è stato portato a Miami», ha detto Ryan Tyson, analista di flussi per i repubblicani in Florida. Anche perché, secondo la società di political marketing TargetSmart, gli elettori neri tra i 18 e 29 anni nello Stato sono stati finora il 15,8 per cento, meno che per Hillary Clinton, e potrebbe essere un problema. Che nel primo giorno di voto ai seggi sono arrivati a votare i repubblicani. I democratici sono ancora in vantaggio ma mancano molti giorni.
I sondaggisti ora dicono che «tutti gli indicatori puntano alla solita elezione della Florida, decisa per un 1-2 per cento». Che i giovani votano ma i vecchi di più. Che Trump ha un imprevisto gradimento del 33 per cento tra gli uomini afroamericani sotto i 50 (non vuol dire che lo votino, anzi; vuol dire che non hanno voglia di votare Biden).
Che a Miami ieri – sempre segnalazione su Seesay – «un camion tappezzato di cartelli per Trump girava intorno alla gente in fila fuori da un seggio afroamericano gridando al megafono “votate Trump o vi verremo a prendere”» (in contesto più borghese, una signora di Boca Raton ha trovato nel suo garage un Florida Man che voleva parlarle di Trump e aveva pure la mascherina abbassata, e per cacciarlo ha dovuto chiamare la polizia).