Arena socialI sondaggi non sono l’unico strumento per comprendere gli orientamenti politici

La tecnologia di Expert.ai, una delle aziende leader mondiali nell’analisi semantica, sta analizzando oltre un milione di post, insieme a reazioni e commenti digitali dedicati negli Stati Uniti alle elezioni presidenziali. Quello che la tecnologia restituisce è un inedito film emozionale con Trump protagonista

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Oltre i sondaggi, c’è un altro modo per capire gli orientamenti politici della gente? Capire cosa passa per la loro mente? Non il risultato politico, ma la fonte del risultato politico, cioè quello che li agita e li spinge all’agire politico? Un modo non alternativo, ma complementare ai sondaggi? Un modo c’è e nasce dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dalla nuova, impensata e immensa capacità di calcolo oggi disponibile.

È l’analisi semantica, condotta attraverso l’intelligenza artificiale. Un esempio l’abbiamo in questi giorni in cui la corsa per la presidenza americana si fa più serrata. Dedichiamo prima qualche parola alla tecnologia e alla metodologia e poi veniamo a un commento dei primi risultati.

Le persone scrivono migliaia di post, li commentano, li condividono, mettono dei like, ecc. insomma, fanno le cose che sappiamo e che, alla fine, facciamo tutti. Si dice che la verità emerga più chiaramente quando nessuno guarda quello che fai. Non è solo questo, naturalmente, ma è qualcosa che ha a vedere con le emozioni. Abbiamo capito tutti che la politica vive delle emozioni diffuse, cioè da quello che muove la gente. Quel che li muove a esprimersi, li muove a parlare (o scrivere) e, infine, li muove a votare. I social media nel bene e nel male sono un rispecchiamento emozionale tutt’altro che da sottovalutare. Si è mossi a condividere un post quando un fatto, un’opinione, o anche una suggestione, risuonano nella nostra testa come urgenti, fondamentali, necessarie. Ci spingono all’azione e oggi l’azione è un click.

La tecnologia di Expert.ai, una delle aziende leader mondiali nell’analisi semantica, sta analizzando migliaia e migliaia di post, anzi oltre la soglia del milione, insieme a reazioni e commenti digitali dedicati negli Stati Uniti alle elezioni presidenziali. Quello che la tecnologia restituisce è un inedito film emozionale del popolo americano rispetto alle elezioni. L’obiezione che non tutto il mondo si esprima sui social media (e su Twitter in particolare) è vera, ma è ancor più vero che non c’è nessun altro strumento capace di dare una rappresentazione così dettagliata di una parte così ampia della popolazione.

Non si tratta di proiezioni elettorali (quelle sono complicate in sé e lo sono ancor di più per il complesso sistema americano). Perciò non si tratta di questo. Si tratta, invece, di capire come si distribuisce lo spazio politico, tra quali argomenti, tra quali protagonisti e, soprattutto, con quali emozioni correlate a ciascuno di essi.

Vediamo allora le analisi relative agli ultimi tre giorni di questa lunga campagna elettorale. Il primo punto riguarda proprio lo spazio politico: di cosa si parla, quando si parla dei candidati? Ebbene, Trump è associato e si associa, nel bene e nel male, a cinque argomenti centrali: l’economia, il crimine/violenze, i problemi sociali, l’epidemia e la religione. Biden è associato (e si associa) principalmente ai problemi sociali, all’economia, ai problemi umanitari (emigrazione), all’epidemia e alla religione.

Fin qui nessun eccesso di clamore. Quando però si passa alla valutazione dello spazio politico occupato dai due contendenti (calcolato sui primi cinque nomi presenti nel dibattito politico) si scopre che Trump occupa il 60,1% della scena e Biden il 22,9%. Al terzo posto non ci sono i due candidati alla vice-presidenza, ma Barack Obama, che suscita emozioni più di Kamala Harris e di Mike Pence, che lo seguono in questa particolare classifica. Di solito chi occupa maggiormente lo spazio politico poi vince le elezioni, ma il caso di Trump è straordinario, perché il suo spazio è fatto anche dalle emozioni negative che catalizza. Bisogna aggiungere che li catalizza, seppur in misura minore, anche Biden.

Vediamo allora quali sono le emozioni più diffuse (la tecnologia ne individua e ne misura oltre 80). Al primo posto è il successo, e trattandosi di elezioni, è naturale. Al secondo e al terzo posto però ci sono la paura e l’odio. Non possiamo fare confronti con il passato, ma l’esperienza e il buon senso ci dicono che non è mai successo che i sentimenti negativi dominassero così una campagna elettorale. Questa volta lo fanno. Chi sostiene ancora che in politica non si deve fare comunicazione negativa ha motivo su cui riflettere.

La quarta emozione in ordine di frequenza è la speranza e poi il desiderio (che si avverino le cose che ognuno ha in mente e nel cuore), ma subito dopo arrivano l’ansia, la ruvidezza (impoliteness), e poi ancora tristezza, vergogna e repulsione. In questo quadro fanno fatica a emergere le emozioni positive. Se è vero che Trump è più presente (ma non di molto) per le emozioni molto negative, è anche vero che prevale su Biden anche nelle emozioni più positive (love, per esempio). Si tratta comunque di piccole differenze, il che dimostra che i sentimenti negativi sono ampiamente reciproci.

Mettendo insieme tutte le emozioni per ricondurre la variegata mappa dei sentimenti a un indicatore sintetico, perciò dando un valore via via più grande per l’emozione più forte (gioia è più forte di successo, ad esempio) e opposto per le emozioni di segno negativo (l’odio è più forte dell’ansia, ad esempio), si ottiene una metrica (People Emotion Index) in grado di valutare i due candidati alla Presidenza. Otteniamo per Trump il valore 47,3 (in una scala a 100) e per Biden il valore 50,2. Ripetiamo: non è una previsione elettorale, ma è una misura sintetica di come si muovono le emozioni rispetto ai due protagonisti della corsa alla Casa Bianca.

Perciò anche in questo confronto sulla capacità di suscitare e di catalizzare emozioni, positive e negative, Biden è avanti a Trump, anche se in misura inferiore a quella che mediamente gli attribuiscono i sondaggi. Possiamo aggiungere che Trump è più polarizzato (e polarizzante) di Biden e perciò bisogna capire quanta gente andrà a votare; si può azzardare l’ipotesi, sulla base di queste risultanze, che più ampia è la popolazione votante, meno peseranno le opinioni polarizzate. È un’ipotesi, molto ragionevole, ma pur sempre un’ipotesi.

Quel che rimane certo sono alcune conseguenze: a) oggi riusciamo ad avere una letturamdei sentimenti delle persone in una maniera che era impossibile nel passato. Queste tecnologie vanno rafforzate in relazione all’ampiezza dei dati analizzati e alla varietà delle loro fonti, ma la tecnologia per farlo c’è già; b) le campagne elettorali si svolgono e si vincono oramai sulla capacità di suscitare emozioni. Sappiamo dagli studi di Antonio Damasio in avanti, che l’emozione crea la ragione e non il viceversa; c) le questioni che danno maggiormente emozione sono quelle identitarie. Di questo ne abbiamo un esempio clamoroso proprio in queste elezioni, dove persino la questione della diffusione del coronavirus ha assunto accezioni e prospettive in qualche modo identitarie.

L’analisi semantica lacera il velo della razionalizzazione della politica, perché mette in luce le posizioni politiche non (solo) di chi le propone (l’offerta politica, cioè in questo caso i due candidati alla Presidenza) ma di chi le segue (la domanda politica, cioè gli elettori). Spesso si fanno risalire i secondi ai primi, come se gli elettori fossero semplicemente gli esecutori del sentimento del leader, mentre è sempre più vero il contrario, che i sentimenti del leader sono la proiezione sintetica delle emozioni degli elettori. Abbiamo ancora da imparare.

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