La carica dei rapperTrump è ancora indietro nei sondaggi ma 50 Cent, Kanye West e Ice Cube sono con lui

Il cantante autore di In da Club si è lamentato su Instagram sostenendo che Joe Biden voglia alzare le tasse a chi guadagna più di 400mila dollari l’anno. Nel frattempo 32 milioni di americani hanno già votato e l’unico sentimento bipartisan negli Stati Uniti pare il desiderio che questa campagna elettorale finisca al più presto

Afp

Trump, la Cina e il 5G
Ultime della notte su Donald Trump. Sarebbe in una guerra commerciale con la Cina ma ha un conto in Cina perché lì ha vari commerci. E poi in vari dipartimenti dell’amministrazione americana, riferisce la Cnn, c’è gente preoccupata per un contratto richiesto da Trump. Sarebbe senza gara, per concedere lo spettro a banda media del Pentagono – essenziale per il 5G – a Rivada Networks, una compagnia in cui hanno investito vari repubblicani e finanziatori del presidente.

E poi ieri, durante un’intervista con Lesley Stahl del programma  “60 minutes”, ha interrotto l’intervista, twittato contro Stahl, poi detto di voler mettere l’intervista online prima della messa in onda. Un ex trumpiano critico, Anthony Scaramucci, ha contro-twittato: «Trump lavora duro per non far eleggere il dottor Fauci, Hunter Biden e Lesley Stahl. È una strategia audace».

Trump e la Trump Fatigue
A due settimane dal voto, alla vigilia dell’ultimo dibattito che non si sa se si terrà, Joe Biden si sta preparando, anche se qualcuno si chiede che vada a fare. Trump chiede al suo trumpianissimo attorney general Bill Barr di indagare sulla famiglia Biden. Melania Trump annulla gli impegni perché ha l’influenza. Kamala Harris ha compiuto 56 anni e ha fatto una festa virtuale con elettori del Wisconsin. Trentadue milioni di americani hanno già votato. In molti accusano casi pesanti di Trump Fatigue, stanchezza da Trump. L’unico sentimento bipartisan in America pare il desiderio che questa campagna finisca.

Sentenze giuste ma ansiogene
La Corte Suprema ha deciso che la Pennsylvania deve contare le schede postali arrivate fino a tre giorni dopo le elezioni. Vuol dire che il risultato dello stato in bilico più importante per Biden ci sarà forse il 7-8 novembre, forse dopo in caso di ricorda (tutti ora sperano non sia lo stato decisivo; Biden avrebbe 4 punti percentuali di vantaggio ma vai a sapere; nei prossimi giorni farà un comizio-drive in, a Philadelphia, con Barack Obama).

Altri guai per Bannon
Era stato decisivo nel costruire il Trump cupo, destro e populista che aveva vinto la presidenza seppur di poco. Era stato cacciato dopo essere stato brevemente potentissimo alla Casa Bianca. È stato arrestato poco tempo fa per truffa, aveva creato una finta organizzazione di raccolta fondi per il muro col Messico, e intascava i soldi; e per quanto non si pianga molto per chi dona per un muro, è un reato. 

Ora è fuori su cauzione e si dice che stia per ricevere un avviso di garanzia per ricettazione. Per aver ottenuto in circostanze dubbie un computer di Hunter Biden, sul quale è stato costruito uno scoop sui Biden e l’Ucraina e in cui ci sono e-mail che potrebbero anche essere state create da hacker russi (ci sono cinque versioni diverse della storia, se ne attendono altre).

Le belle notizie
Del computer e di Hunter Biden si parlerà ancora, e potrebbe diventare un caso da manuale del successo delle fake e parzialmente fake news. Se sono ghiotte e torbide il giusto, se sono montate e promosse bene, piacciono molto più delle notizie vere. La storia di Hunter Biden ha generato due milioni e 600 mila contatti. Il doppio di qualunque notizia verificata su Biden padre o su Trump. 5 delle 10 notizie più seguite sui social americani in questi giorni sono sul caso Hunter, sulle polemiche, su come Facebook e Twitter hanno provato a limitare la diffusione. L’articolo del New York Post che ha aperto il caso è il sesto più letto del mese, dopo Trump malato di Covid e la morte di Eddie Van Halen. Probabilmente, il fatto che Twitter abbia disabilitato la condivisione dell’articolo e Facebook l’abbia limitata ha creato molto più interesse. «Questo porta alla domanda fondamentale: cos’è l’informazione, e come fanno piattaforme come Twitter e Facebook a valutare cosa è vero?», ha detto ad Axios l’esperto di cyber intelligence Bryce Webster-Jacobsen. «Nudità, terrorismo e violenza sono questioni abbastanza oggettive. La verità è più soggettiva», quest’anno più che mai.

I sensi di colpa
Ora Facebook e Twitter stanno lavorando «a determinare le politiche più effettive per limitare la diffusione della disinformazione…senza violare la libertà di parola» ed è complicato. Ma il ruolo di Facebook, i suoi guadagni grazie a entità manipolatrici (russi, trumpiani, Cambridge Analitica) nella vittoria di Trump quattro anni fa sta chiaramente creando sensi di colpa nei miliardari da social network. 

Un super PAC poco noto, Future Forward, sta spendendo più di 100 milioni di dollari in spot elettorali pro Biden nelle ultime due settimane prima del voto (i super PAC si muovono autonomamente da partiti e candidati).  Il più generoso è Dustin Moskoviz, uno dei fondatori di Facebook, che ha dato 22 milioni. Il gruppo vuole poi investire 28 milioni per M.J. Hegar, candidata al Senato contro il repubblicano John Cornyn in Texas. E l’idea di elezioni decise dai soldi di miliardari democratici contro miliardari reazionari è prevedibile ma non è rassicurante, a pensarci. 

Joe e i donatori
E Biden, che ricorda sempre «ho battuto il socialista», non è contrario ai contributi dei capitalisti. Ha scritto ieri Shane Goldmacher sul New York Times: «Da Hollywood alla Silicon Valley a Wall Street, la campagna di Mr. Biden ha corteggiato aggressivamente la classe dei mega-donatori. Ha raccolto quasi 200 milioni da donatori che hanno contribuito con 100 mila dollari o più…due volte quello che il presidente Trump ha avuto dai donatori a sei cifre».

Anche perché Biden è diventato più discreto. All’inizio della sua campagna, gli eventi con donatori straricchi erano aperte ai media. Poi sono diventate serate più intime, dove si può parlare. In più, Biden non ha rivelato l’identità di alcuni grandi raccoglitori di fondi elettorali, che potrebbero essere molto ascoltati in una sua amministrazione (c’è un sistema di cariche tipo club di Topolino, con due milioni e mezzo di dollari raccolti si diventa Biden Victory Partner).

Il tutto è problematico per la sinistra del partito, che sta facendo una campagna serrata per Biden e non polemizza, ma lo farà, in caso, dopo (qualche Biden Victory Partner potrebbe sentirsi danneggiato da politiche troppo vicine al Green New Deal, per dire).

50 Cent per Trump
50 Cent è un rapper che ha appena incoraggiato a votare per Trump, e il motivo è tra i più pressanti per la comunità afroamericana: Joe Biden vuole alzare le tasse a chi guadagna più di 400 mila dollari l’anno. Se ne è lamentato su Instagram, postando un deciso «WHAT THE F—!(VOTE ForTRUMP) IM OUT, F— NEW YORK,», aggiungendo rassegnato che comunque «i Knicks (squadra di basket di New York, ndr) non vinceranno». 

Altri afroamericani della musica sono per Trump. Ice Cube, perché aveva concepito un suo Contract for Black America, ha contattato la Casa Bianca, e Trump ha incluso alcune proposte nel suo piano per gli afroamericani. E Kanye West, che ha cercato di fare il candidato di disturbo a Biden, e comunque è personaggio complesso, lo dice anche la moglie Kim Kardashian. 

I tre sembrano casi strani, non lo sono troppo. Molti maschi basici, bianchi ma anche neri – e ancor di più ispanici – apprezzano il machismo trumpiano (gli attivisti Latinx di La Lucha in Arizona, per convincere gli elettori così, sono addestrati a sciorinargli i conti terrificanti delle prestazioni sanitarie; l’assistenza medica è la questione più importante per gli ispanici, per l’esposizione al virus e le famiglie numerose).

Florida Men, il socialista e il caudillo
Doral, fuori Miami, è detta Doralzuela perché ci vivono moltissimi venezuelani. Nel 2016 sono stati loro a far vincere la città a Hillary Clinton, col 52 per cento. Quest’anno non succederà. I venezuelani della Florida – sondaggio del sito El Diario – al 66 per cento sono per Trump. Anche il 53 per cento dei democratici voterà per lui. Sembrano percentuali reazionarie da cubani di Miami, ma non è così: solo il 54 per cento dei cubani del South Florida ha votato Trump nel 2016, ora sono aumentati ma secondo i sondaggi sono fermi al 59.

Perché, in sintesi, Fidel Castro è morto e Nicolàs Maduro è vivo. Molti venezuelani sono immigrati recenti, e apprezzano il sostegno dell’amministrazione Trump al leader dell’opposizione Juan Guaidò, anche ospite del presidente a uno stato dell’Unione. E la propaganda trumpiana in Florida continua a raccontare un Biden socialista. La campagna di Biden controbatte con uno spot in spagnolo tutto dittatori, da Putin a Kim a Maduro, in cui si tratta Trump da caudillo, ma non pare abbastanza.

Florida Men, l’onda rossa
Al momento è un’ondina, ma potrebbe crescere. Lunedì era il primo giorno di voto ai seggi in Florida, e ha votato il 17 per cento in più del primo giorno nel 2016. Gli elettori registrati come repubblicani erano più dei democratici. Di pochissimo, 43 e 42 per cento, abbastanza da creare panico preventivo (in Florida, i democratici sono spesso in vantaggio prima, creano grandi coalizioni sulla carta; solo che i loro elettori, più poveri e più di colore, spesso non hanno tempo o voglia di andare a votare; mentre i repubblicani hanno centinaia di migliaia di “super voterà” anziani e tignosi, che ai seggi vanno sempre; ora Trump e Biden sono alla pari, e la corsa in Florida è too Close to call, come sempre).

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