Il bunkerTrump non trova buone notizie e prepara trappole, mentre la figlia è corteggiata da un deputato

Le azioni legali per ribaltare il voto finiranno in niente, tanto che alcuni repubblicani cominciano a defilarsi. Fuori dalla bolla, nuove promesse dem, come John Fetterman, crescono. E si permettono di dare un consiglio ex post: se avesse legalizzato la marijuana, avrebbe stravinto

AP Photo/Susan Walsh

Trump al telefono
Il presidente uscente parla tutto il giorno al telefono, racconta il Washington Post. Chiama consiglieri, alleati repubblicani e amici. Un consigliere ha detto al Post che «sta cercando qualcuno che gli dia buone notizie».

Come rompere l’anima a Biden
Donald Trump non concede, ma di fatto concede quando dice che si ricandiderà nel 2024. Lo annuncerà entro fine anno, dicono. E dicono che sia un nuovo trucco per raccogliere soldi.

E qualche repubblicano, bontà sua, comincia ad ammettere che Joe Biden è il presidente eletto. Lo ha fatto il governatore dell’Ohio Mike DeWine. E il senatore dell’Oklahoma James Lankford, intervistato per il podcast di una radio di Tulsa, ha detto -addirittura- che Biden dovrebbe ricevere i briefing quotidiani che riceve Trump (e non legge, o non ascolta). Peggio ancora, Lankford ha detto che, se non succede per la venerdì, si attiverà lui con la Casa Bianca. Anzi, che lo sta facendo.

Intanto il capo di gabinetto di Trump, Mark Meadows, lavora per i posteri. Ha chiesto ai suoi di proporre tre obiettivi ciascuno, da realizzare prima dell’insediamento di Biden, con ordini esecutivi o modifiche ai regolamenti dei dipartimenti.

Tra gli obiettivi di Meadows ci sarebbero una stretta ai visti per lavoratori specializzati e l’uso di un pezzo di aiuti pubblici anti-Covid per voucher da usare in scuole private.

L’obiettivo è rompere l’anima a Biden: «Molte di queste iniziative sono popolari», ha detto a Politico Stephen Moore, consigliere economico della Casa Bianca. «Sarebbe politicamente complicato per Biden arrivare alla Casa Bianca e cancellarle» (Biden appena arrivato deve rientrare negli accordi di Parigi per il clima, ripristinare le protezioni per i giovani immigrati senza documenti, cassare il Muslim Ban, ribaltare infiniti regolamenti sulle spese mediche e l’ambiente; e poi far portare via la mobilia di Trump, che sarà dorata).

Brutte notizie nella lotta ai brogli
La Fraud Hotline, il numero verde della campagna trumpiana per denunciare brogli elettorali, ieri risultava non funzionante. O forse era in tilt, da quando esiste viene chiamata quasi solo da gente che vuol fare scherzi (sui social network se ne possono ascoltare molti, alcuni validi).

La riconta in Georgia – riconta a mano di milioni di schede – è cominciata, ma pochi pensano che ribalterà il risultato. E il principale studio legale che seguiva i ricorsi trumpiani, Snell e Wilmer, si è ritirato.

Non assisterà più la campagna di Trump in Arizona, in una causa che il segretario di Stato Katie Hobbs ha definito «un’arrampicata sugli specchi» (gli altri due grandi studi che seguono i ricorsi, Jones Day e Porter Wright Morris & Arthur, sono criticati online per aver accettato casi che «erodono la fiducia nel processo democratico», e sarebbe una puntata bellissima di The Good Wife, The Good Fight, e di altre serie procedural).

Rove ieri e oggi
Karl Rove, gran consigliere di George W. Bush, ha scritto sul Wall Street Journal che non c’è evidenza di brogli, che il risultato elettorale non verrà ribaltato. Che «Quando le cause saranno finite, il presidente dovrebbe fare la sua parte per unire il paese, guidando una transizione pacifica e smettendola con le lamentele».

Rove è un repubblicano di vecchia scuola; ma di quella vecchia scuola che a furia di manipolare l’opinione pubblica e i fatti ha aperto un’autostrada per i Trump.

Nel 2004, in un’intervista, era anonimo ma si è subito saputo chi era, Rove spiegò cosa faceva alla Casa Bianca: «Gente come voi (quelli dei liberal media, per esempio, ndr) vive ancora in quella che chiamiamo la  reality-based community (di gente che ancora si basa sui fatti, ndr) Credete che le soluzioni emergano dal vostro studio giudizioso della realtà percepibile. Ma il mondo non funziona più così».

«Siamo un impero ora, e quando agiamo creiamo la nostra realtà. E mentre voi studiate quella realtà noi agiremo ancora, creando nuove realtà…Siamo gli attori della storia, e a voi, a tutti voi, non resta che studiare quel che facciamo» (anche Trump).

I consigli di John Fetterman
Quando il vicegovernatore del Texas ha offerto un milione di dollari a chi portasse le prove di brogli elettorali, il vicegovernatore della Pennsylvania gli ha twittato di preparare i soldi.

Aveva trovato «un tizio a Forty Fort, PA, che ha cercato di far votare la mamma morta per Trump». Aggiungendo «Vorrei il milione in buoni regalo. Ps. I (Dallas, ndr) Cowboys fanno schifo». Seguiva ovazione su Twitter.

Una delle molte in questi giorni per John Fetterman, nuovo idolo democratico che «vende politiche progressiste nella Rust Belt» trumpiana dal 2016. Il suo stato è contestato da Trump e lui ha commentato: «Possono portare in tribunale noi come un panino al prosciutto, non cambierà niente. Non puoi far causa alla matematica».

Fetterman non teme le cause, né molto altro. È alto due e metri e sette, ha un capoccione pelato, una barba solo sul mento, tatuaggi, tre figli e una moglie brasiliana abbastanza abbronzata da ricevere insulti razzisti al super.

Vive a Braddock, città operaia fuori Pittsburgh dove è stato sindaco, in un autosalone ristrutturato (ci sono le foto online). Ha studiato Public Policy ad Harvard, ha avuto un enorme successo in tv nei giorni dei risultati, è l’unico maschio bianco alfa abbastanza giovane e pure simpatico che i democratici possano lanciare nel prossimo futuro.

Anche per via del suo stile (lui dice «sembro un buttafuori, o un rapinatore», ma i suoi collegamenti in felpa con cappuccio e giacca a vento sono un successone). E delle sue posizioni che piacciono alla gente («sono sempre stato per il salario minimo a 15 dollari; ho rischiato l’incriminazione per aver celebrato matrimoni gay»).

E i suoi buoni consigli, anche agli avversari. Ieri, intervistato da Kara Swisher nel podcast Sway del New York Times, si è detto «convinto che, se Trump avesse legalizzato la marijuana ad agosto o settembre, avrebbe vinto».

«Il presidente ha parlato sempre del fracking di cui non frega niente a nessuno, specie in pandemia, e ha ignorato il bazooka dell’erba legale. Avrebbe preso qualche centinaio di migliaia di voti in più che in certi stati avrebbero fatto la differenza» (nel podcast, Fetterman parla continuamente di cannabis, come capita ai grandi fattoni, in caso sarebbe in sintonia con decine di milioni di elettori ).

Florida Men, un deputato per Tiffany
Tiffany Trump, figlia di Donald e della seconda moglie Marla Maples, viene ignorata dal padre ma corteggiata online da un congressman a lui fedele. Lui è Matt Gaetz, 38 anni, deputato del Panhandle conservatorissimo della Florida, grande amico del fratellastro Don junior.

Tiffany ha postato una sua foto in tailleur rosso alla Casa Bianca, Gaetz ha replicato con fiamme e cuoricini. E l’opinione pubblica dei social network, provata da giorni di conteggi elettorali e stranezze, si è appassionato a questa simulazione di amor cortese su Twitter. Qualcuno pensa che Gaetz voglia diventare genero del quasi ex presidente. La maggioranza lo trova viscido, e c’è chi, ancora una volta, compatisce Tiffany (Gaetz, scapolo anti-tutto e per la famiglia tradizionale, vive con Nestor, un diciannovenne immigrato cubano che dice di aver adottato)

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