Archiviata la soddisfazione per la vittoria di Joe Biden e avviato il dibattito se la sua presidenza costituirà o meno un modello per la sinistra italiana, il Partito Democratico, Italia Viva, Più Europa e Azione, insomma le forze liberaldemocratiche del nostro panorama politico, dovrebbero prepararsi per benino nelle prossime settimane. E, dal 20 gennaio 2021, farsi trovare pronti quando il nuovo presidente si insedierà alla Casa Bianca, lasciando certamente a Biden il tempo necessario per acclimatarsi nella nuova residenza, ma tanto sarà un tempo breve, per poi chiedergli senza indugio una cosa semplice semplice: caro presidente Biden, apra i cassetti della CIA e della Sicurezza nazionale di Washington, tenuti chiusi negli anni di Trump, e renda pubblico ciò di cui siete a conoscenza a proposito dei tentativi di manipolazione russa della politica italiana, a cominciare dal 2016 ma anche dopo, e ci faccia sapere tutto dell’ingerenza e dell’impatto che hanno avuto le operazioni di disturbo del Cremlino sul processo democratico referendario, partitico e politico del nostro paese.
Dovrebbero far sapere a Biden, inoltre, che i suoi alleati italiani a Roma si attendono un ambasciatore americano che aiuti l’indissolubile amicizia tra gli Stati Uniti e l’Italia a individuare e a contrastare gli agenti stranieri che in questi anni di assenza dell’America hanno imperversato nel nostro paese, inquinando i pozzi del dibattito pubblico.
Biden non li prenderebbe per matti, perché conosce bene l’argomento. In un articolo del gennaio 2017 su Foreign Affairs, l’allora da poco ex vicepresidente di Barack Obama aveva spiegato bene le intrusioni del Cremlino nei sistemi democratici occidentali, compreso quello italiano, ma da numero due dell’Amministrazione Obama non aveva fatto molto di più che accorgersi delle ingerenze russe.
L’assenza di una denuncia perentoria di quanto stava accadendo intorno alla sfida Trump-Clinton del 2016, con repliche in tutta Europa, rimane uno dei punti dolenti dell’eredità politica di Obama e di Biden, perché la Casa Bianca di allora era convinta che nonostante tutto Hillary Clinton avrebbe prevalso su Trump e quindi ha scelto di agire sotto traccia contro i russi per evitare di essere accusata di favorire il candidato del Partito democratico.
Non è andata così, né in America né in Europa. Al contrario, Trump è entrato alla Casa Bianca e l’Europa è stata infestata da partiti e movimenti populisti e sovranisti impegnati a indebolire l’Unione europea e la Nato e a ripetere a pappagallo la propaganda del Cremlino. L’Italia più di altri, con il primo governo populista d’occidente e con un sistema politico dominato dai populisti di governo e dai populisti di opinione, entrambi pro Trump, pro Putin e antieuropei in politica estera.
Trump ha provato a cancellare le tracce russe, e a negare la realtà, anche per depotenziare un impeachment che ha svelato le ingerenze del Cremlino in America e da cui è uscito indenne soltanto grazie al voto di appartenenza partitica dei senatori repubblicani.
Con la complicità del governo Conte uno, il più trumpiano e putiniano dell’occidente con Salvini e Di Maio, Trump ha provato anche a ribattere alle accuse di essere stato aiutato dai russi inventandosi la controstoria farlocca di un un piano Obama-Pd per diffamarlo, sguinzagliando a Roma il ministro della Giustizia Bill Barr cui è stato dato un inaudito accesso dai nostri apparati. Ne è venuta fuori una grottesca fake news internazionale per allocchi di qua e di là dell’oceano a sostegno peraltro di un’analoga operazione russo-ucraina per infangare la famiglia Biden.
Quando Trump sarà costretto a lasciare la Casa Bianca arriverà finalmente il momento di sapere come sono andate davvero le cose: che hanno fatto i russi in Italia dal 2016 in poi, quali partiti o istituzioni hanno finanziato, con chi hanno avuto rapporti e per fare che cosa.
È ovvio che Giuseppe Conte e Luigi Di Maio non apriranno mai questo dossier con Biden, del resto durante la campagna elettorale hanno mantenuto una finta imparzialità istituzionale tra i due sfidanti da cui in realtà traspariva una malcelata preferenza per Trump.
Il premier Conte non si è nemmeno congratulato con il presidente eletto per la vittoria, ma solo con il popolo e con il processo democratico americano, e al momento in cui scrivo è tra i rari leader occidentali a non aver ancora parlato con Biden. Il ministro Di Maio, invece, si è affrettato a incontrare l’ambasciatore trumpiano a Roma. L’opposizione di destra, figuriamoci, si girerà dall’altra parte non tanto perché gli idoli Trump e Bannon stanno per finire nella spazzatura della storia, ma perché Salvini e Meloni sono quel genere di “prima gli italiani” che tuonano contro l’Europa, ma che si addolciscono davanti al Cremlino.
Ecco perché spetta al Partito democratico, a Italia Viva, a Più Europa e ad Azione, cioè a due partiti di governo e a due di opposizione, il compito di far sapere alla Washington liberatasi da Trump che anche a Roma resiste un piccolo presidio liberal-democratico, antipopulista e non trumpiano, che condivide con il suo ritrovato alleato storico la battaglia in difesa del mondo libero, delle istituzioni internazionali e dell’alleanza atlantica.
Un piccolo presidio liberal-democratico, antipopulista e non trumpiano, che ha il diritto di chiedere agli americani le informazioni a loro disposizione sulle manovre per la manipolazione del consenso italiano e il dovere di rendere pubblici gli intrighi di chi in questi ultimi anni ha lavorato al servizio del caos.