Dei tre caballeros leghisti autoproclamatisi economisti – Claudio Borghi, Alberto Bagnai e Antonio Maria Rinaldi – il primo è senz’altro il più politico. Figuratevi gli altri, direte: ma Bagnai è un eccentrico Dottor Stranamore mentre Rinaldi è un caratterista che una volta piazzatosi a Bruxelles è sparito; e dunque c’e tutto il campo libero per le incursioni del Borghi, uno che deve avere un’altissima opinione di se stesso visto che ama svariare su campi non suoi (ammesso e non concesso che esistano campi suoi).
E così il caballero lombardo, che grava però sulla Toscana, si è lanciato ieri alla Camera in un discorso senza capo né coda, confutando Giuseppe Conte su una squisita questione giuridica, ricordandogli che i diritti costituzionali hanno tutti la medesima forza, non è che il diritto alla salute viene prima di altri.
Voleva dire, il Borghi, che sì, va bene tutto ma poi bisogna pure laurà, fare i soldi, no? E qui è caduto come «corpo morto cade», avrebbe detto Dante, facendo notare che il diritto alla salute figura in Costituzione solo all’articolo 32: è nel gruppone degli inseguitori insomma, è una norma costituzionale così così, quasi anonima, quindi non ci rompete l’anima con restrizioni e divieti.
Una risposta italiana a Donald Trump con la differenza che quello è – mentre scriviamo – il presidente degli Stati Uniti e il Borghi è uno che ha perso sempre qualunque elezione: non eletto al Parlamento europeo nel 2014, battuto in Toscana nel 2015 da Enrico Rossi, e ancora da Piercarlo Padoan nel collegio di Siena alle politiche del 2018 ma viene ripescato nella provvidenziale lista bloccata del proporzionale.
La cosa preoccupante però non è Borghi: è che la Lega lo lasci parlare. Che cioè il partito risultato più forte alle ultime elezioni europee affidi a uno così il proprio messaggio. E tanto più in un momento delicatissimo nel quale la destra avrebbe potuto cogliere la liana che, seppure un po’ confusamente, Conte le aveva lanciato, invitando l’opposizione quantomeno a farsi coinvolgere (non per forza condividendole, anzi) nelle scelte del governo. Macché.
Il Borghi, facendo il sostenuto, come si dice a Roma, ha dimostrato di non aver capito niente, pensando che il solito cabaret parlamentare avrebbe funzionato anche stavolta. E invece non solo ha fatto una brutta figura personale (come dice il deputato costituzionalista Stefano Ceccanti, «decenni di dibattiti tra giuristi, cittadini, decisioni delle Corti su come bilanciare tra loro i diritti, il caso Ilva col conflitto salute-lavoro, quali siano i diritti fondamentali e quali no, come limitarli in modo ragionevole, erano inutili. Si risolve tutte col criterio di precedenza numerica»), ma il Borghi si è messo anche fuori linea visto che dopo gli interventi ci sono state diverse votazioni unitarie fra maggioranza e opposizione. Un segno di relativa, molto relativa, voglia di abbassare i toni. E anche un segno che lì dentro, nella Lega, non sono proprio tutti scemi.