Ci vogliono i diritti di proprietà per combattere il Covid. Una certa narrazione insiste sul fatto che la presente pandemia potrebbe essere un colpo finale per il capitalismo globalizzato, o neo-liberalismo come dir si voglia. Un’altra narrazione risponde che il guaio è in realtà cominciato in un paese comunista che ha sì acquisito alcuni tratti del capitalismo, ma senza accompagnarlo a quei fondamenti di Stato di Diritto e apertura che avrebbero permesso di rivelare subito il pericolo. Al di là dell’una o dell’altra analisi, è stato appena presentato il rapporto del 2020 della International Property Rights Index (Ipri). E una delle conclusioni di questo studio è, appunto, che dalla tutela dei diritti di proprietà viene la risposta al male.
Innovation Accelerated: Factors Enabling Rapid COVID-19 Vaccine Development si intitola infatti un caso studio accluso al rapporto. È a cura di Philip Thompson e Mary Ann Cortese: rispettivamente Policy Analyst for Intellectual Property and International Trade e International Affairs Associate di quel think tank Property Rights Alliance che ha sede a Washington e che, appunto, tra le altre cose ogni anno prepara un rapporto per comparare la situazione dei diritti di proprietà nei vari Paesi del mondo. Lungo 20 pagine, il documento spiega in particolare che in media l’innovazione in campo biotecnologico richiede 12 anni per passare dalla scoperta al lancio sul mercato. L’investimento medio richiesto è di 2,8 miliardi di dollari, e per di più solo il 10% dei tentativi porta poi a un qualche risultato monetizzabile sul mercato. Ovvio dunque che se questa remunerazione non è tutelata da un regime di tutela dei diritti di proprietà adeguato, per i privati non vale la pena dedicarvisi.
Secondo gli ultimi dati, in questo momento starebbero venendo studiati 773 ritrovati contro il Covid. 194 sarebbero vaccini, 213 antivirali e 366 trattamenti. I vaccini nelle fase 3 delle prove sono 13, e la gran parte di essi sono stati approntati da aziende del settore privato. Tra i più importanti Moderna, Johnson and Johnson, Pzifer e AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford. Ne risulta che ben il 73% delle terapie anti-Covid in sviluppo sono realizzate in quel 20% di Paesi che sta in testa alla classifica di protezione della proprietà intellettuale. Il alternativa, ci sono i vaccini di Stato. Ma sia nel caso della Russia che in quello della Cina vediamo poi che ci sono evidenti problemi di trasparenza su queste realizzazioni. E a parte l’«opacità» rilevata da molti scienziati, secondo il rapporto «vi è la preoccupazione che Cina e Russia possano utilizzare i vaccini come strumenti per ottenere influenza politica e economica».
Il tutto, va ripetuto, collegato al più ampio International Property Rights Index 2020, il cui Editor è l’italiano Lorenzo Montanari: un reggiano classe 1974. La prima edizione dell’Ipri risale al 2007 grazie alla stretta collaborazione con il famoso economista e sociologo peruviano Hernando de Soto e ai suoi studi sull’impatto dei diritti di proprietà sullo sviluppo economico in regioni come l’America Latina o i paesi dell’ex blocco sovietico.
Il rapporto di quest’anno copre 129 Paesi, che costituiscono il 97,72% del Pil mondiale e il 93,91% della popolazione planetaria. Oggetto delle misurazioni sono i diritti di proprietà fisica, quelli di proprietà intellettuale e l’ambiente legale e politico in cui sono inseriti. «La pandemia si è rapidamente diffusa in tutti i continenti e il mondo è in attesa del vaccino che metterà fine alla paura», spiega la presentazione del documento. «I diritti di proprietà sono fondamentali per trasformare il potenziale di innovazione in valore di mercato.
Un sistema di diritti di proprietà è efficace se copre tutti i settori dell’industria ed è stato in grado di aumentare la prosperità umana e la sicurezza sociale, dando fiducia a individui e imprese che vogliano investire». «Durante questi tempi di pandemia», ha puntualizzato Montanari, «ora più che mai è evidente come l’innovazione e la proprietà intellettuale stiano giocano un ruolo importante nel trovare soluzioni al Covid 19. I Diritti di Proprietà sono non solo uno de più importanti pilastro di ogni società libera ma anche diritti umani, come stabilisce l’articolo 17 della Dichiarazione Universale Onu dei Diritti dell’Uomo».
In testa alla classifica quest’anno sono Finlandia, Svizzera e Singapore, il cui «voto» è rispettivamente di 8,654, 8,53 e 8,481. Nessuno ha 10 e neanche 9 ma, insomma, è molto più che la sufficienza. Nella prima «ventina» di primi della classe seguono poi Nuova Zelanda, Giappone, Australia, Paesi Bassi, Norvegia, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Austria, Stati Uniti e Canada, sopra l’8; e poi Hong Kong, Germania, Belgio, Regno Unito, Islanda e Irlanda, che sta a 7,529.
Attenzione che l’Italia è solo 47esima, con un voto di 6,152. Appena sopra la sufficienza, anche se in miglioramento! Meglio di noi stanno ben 19 membri dell’Unione Europea; peggio di noi ma ancora con la sufficienza del 6 stanno solo 48esima la Slovenia (6,149) e 50sima la Lettonia (6,03), mentre la Cina è 49esima con 6,05. Insufficienti sono invece come 54esima la Romania, 55esima la Bulgaria, 58esima la Polonia. 74esima la Grecia, 75esima la Croazia.
Meglio di noi stanno anche Emirati Arabi Uniti, Taiwan, Israele, Qatar, Cile, Malaysia, Corea del Sud, Oman, Arabia Saudita, Costa Rica, Bahrein, Mauritius, Giordania, Ruanda, Sudafrica e Uruguay. Col l’India, 56esima, il Brasile 64esimo e la Russia 86esima, agli ultimi cinque posti stanno l’Angola (3,362), il Bangladesh (3,293), il Venezuela (2,848), lo Yemen (2,707) e Haiti (2,655). Tenendo conto che realtà come Cuba, Corea del Nord, Laos, Myanmar, Mongolia, Siria o Iraq non sono stati neanche valutati. Ci sono in particolare nella cartina vaste zone grigie che corrispondono più o meno a mezza Africa e a gran parte dell’Asia Centrale.
La media mondiale, in effetti, è poco sotto la sufficienza: 5,73. E per il secondo anno di fila è peggiorata. Scomponendo per i voti in pagella, da bocciatura sono in particolare la media del 5,14 dell’ambiente legale e politico e del 5,55 sui diritti di proprietà intellettuale. Solo la proprietà fisica passerebbe, con un sei e mezzo che corrisponde al quinto anno consecutivo di miglioramento. Per la proprietà intellettuale il voto più alto lo ha la Finlandia con 9,92, seguita dall’8,82 degli Usa. Per la proprietà fisica è invece in testa la Svizzera con 8,73, mentre il miglior ambiente lo ha con 8,73 la Nuova Zelanda.
Ognuno di questi sotto-indici può poi essere ulteriormente articolato, L’Italia, ad esempio, che ha migliorato l’Ambiente dello 0,032% fino ad arrivare a 5,506, ha in realtà la sufficienza sono in stabilità politica: 6,022. Ma stiamo a 5,495 in Stato di Diritto, a 5,471 in controllo della corruzione e a un misero 5,039 in indipendenza giudiziaria. Insomma, le tangenti fanno male alla nostra economia, ma la politicizzazione della magistratura fa addirittura peggio. Meno male che nel Paese dove è nato il Diritto Romano il nostro sistema di registrazione dei diritti di proprietà sia tra i migliori del mondo: 9,491.
Purtroppo però la percezione di protezione dei diritti di proprietà è di 5,632: un caso studio che negli anni scorsi fu dedicato alle occupazioni abusive di immobili in Italia lascia intendere facilmente perché. E con la facilità di accesso al credito che sta a un micidiale 3,341, ecco qua che l’indice sulla proprietà fisica si ferma a 6,155, pur migliorando dello 0,018. Lo sgombero di Casa Pound?
Quanto alla proprietà intellettuale, anche qui la media tra un eccellente 8,667 di protezione dei brevetti e un mediocre 5,7 di protezione del Copyright ci ferma a 6,794, Poco più della sufficienza, anche se comunque è migliorato dello 0,026. Insomma, un po’ di buona volontà ce la stiamo mettendo, ma chiaramente potrebbe andare molto meglio.