Voto 4 alla locationPerché le case in Belgio sono così brutte

Dalla Vallonia alle Fiandre, passando tra centri urbani e campagne, si possono incontrare edifici dall’aspetto fin troppo singolare. È iniziato tutto nel secondo Dopoguerra e nel periodo del boom economico, quando la mancanza di edifici spinse il governo a concedere finanziamenti alla popolazione per poter costruire le proprie abitazioni in modo pressoché arbitrario

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Il Belgio è sicuramente famoso per ospitare Bruxelles, capitale ufficiosa dell’Unione Europea. È famoso per le sue frites e per il numero infinito di birre prodotte su appena poco più di 30mila km quadrati di territorio. È noto anche per le bandes dessinées, e per essere la patria del jazz. Ma se c’è una cosa che chi non conosce bene questo paese probabilmente ignora è la presenza copiosa di case e palazzi definibili solo con un solo aggettivo: brutti.

Passando dalla Vallonia così come per le Fiandre, girovagando per i centri urbani e le campagne, non sarà difficile imbattersi in edifici dall’aspetto singolare che, nel migliore dei casi, sembreranno usciti da mondi fantastici; nel peggiore faranno pensare a sadici architetti decisi, per qualche motivo, a infliggere una punizione ai rispettivi committenti.

Le origini del fenomeno risalgono al secondo dopoguerra e al conseguente boom economico, quando la mancanza di edifici abitativi spinse il governo di alleanza nazionale allora al potere a concedere finanziamenti alla popolazione per poter costruire le proprie abitazioni in modo pressoché arbitrario.

Una trovata che non solo avrebbe risolto il problema della scarsità di case, ma avrebbe potuto anche aumentare il consenso popolare nei confronti dell’esecutivo in carica. Da quel momento in poi il numero di case brutte all’interno del Paese non ha fatto che aumentare, diventando praticamente un vanto dei suoi stessi abitanti.

Ancora oggi infatti i regolamenti urbani in Belgio offrono molte più libertà rispetto, ad esempio, a quelli in vigore in Italia. Non si tratta ovviamente di una libertà assoluta e illimitata: le regole vengono declinate in modo diverso in ogni comune, e cambiano in base alla zona in cui ci si trova. Come è facile immaginare, nelle grandi città sono più stringenti soprattutto per quel che riguarda i centri storici: per rispettare il patrimonio storico-culturale circostante è necessario mantenere una certa armonia di forme, colori, strutture architettoniche.

Ma è anche vero che la posizione centrale del Paese ha attirato e attira tuttora a sé diverse influenze architettoniche provenienti dal resto d’Europa. Non è quindi troppo strano imbattersi in edifici che a prima vista sembrano cozzare con il contesto circostante. In realtà è proprio questo a renderli caratteristici.

Ma è nei paesi più piccoli e isolati che la regolamentazione si fa ampiamente più permissiva, non dovendo prestare troppa attenzione a cosa si ha intorno – anche perché spesso intorno c’è poco o niente. È così che la campagna belga è diventata l’inaspettata ospite di pagode orientali, case con infissi troppo grandi o troppo piccoli, tetti che sfidano la forza di gravità, o ancora, giusto per fare un altro esempio, facciate adornate da elementi marini.

Ed è proprio da un paesino delle Fiandre occidentali che ormai dieci anni fa Hannes Coudenys twittò per la prima volta la foto di una casa da lui giudicata innegabilmente brutta. «L’ho fatto perché fin dall’adolescenza continuavo a trovarmi davanti a uno spettacolo dell’orrore ogni mattina mentre dal mio paese andavo a scuola in bici fino a Bruges. A quel tempo non mi riconoscevo affatto nei canoni estetici della maggioranza dei belgi e pubblicando quella foto volevo banalmente solo liberarmi di una frustrazione che mi accompagnava quasi da sempre».

La reazione, enorme, ha sorpreso anche Hannes, che forse per la prima volta si è reso conto di quanto quella stessa frustrazione fosse condivisa da un gran numero di suoi connazionali. «Perché – racconta – un po’ tutti noi pensiamo che il Belgio sia incredibilmente caotico, e che le case che vengono costruite siano brutte: tutte, esclusa la nostra ovviamente».

A dieci anni da quella prima foto, le case brutte del Belgio sono diventate prima protagoniste di un blog dal titolo emblematico – Ugly Belgian Houses – e delle rispettive pagine Facebook, Twitter e Instagram, seguite da centinaia di migliaia di persone.

Ma non solo, Ugly Belgian Houses è anche diventato un libro, e su Instagram sono nate nuove pagine provenienti da altri paesi; a prova del fatto che se il Belgio rimane la patria incontrastata delle case brutte, queste in realtà si trovano un po’ ovunque. L’ideatore del blog ha addirittura conquistato un suo spazio in tv: con Hannes zegt sorry (in fiammingo, Hannes si scusa), in onda sulla prima rete della Vrt, l’emittente tv pubblica fiamminga, Hannes incontra chi in quelle case raccontate per immagini ci abita per davvero.

Ed è proprio grazie alle conversazioni scambiate con loro che Hannes ha finito per rivedere la sua posizione sulla fantasiosa architettura belga: non più simbolo delle sue più profonde frustrazioni ma senso di orgoglio, per come i belgi hanno deciso di interpretare in modo assolutamente unico e spesso inaspettato una libertà che il loro Paese, storicamente assoggettato a potere e volontà altrui, non ha potuto esprimere in pieno.

Anche perché «è abitudine molto diffusa che chi voglia costruirsi la propria casa, decida anche di disegnarla. La casa di proprietà in Belgio (così come in Italia) rappresenta ancora l’aver raggiunto un certo status, un dimostrare di avercela fatta», spiega Hannes. Soddisfazione che i belgi, o comunque gran parte di loro, decide di interpretare come “posso costruire quel che voglio”.

E quelli che decidono di comprarle brutte, ma già esistenti, quindi senza la possibilità i disegnarle, perché lo fanno? Magari perché spesso sono un buon affare? «Assolutamente no. La quasi totalità di loro pensa che siano semplicemente bellissime».

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