L’intervista di Emmanuel Macron con la rivista Le Grand Continent, pubblicata in alcune sue parti dal Corriere della Sera, ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica europea non soltanto per i contenuti e alcuni concetti espressi dal presidente francese, ma anche per la piattaforma scelta.
La rivista, che pubblica unicamente online, è nata a Parigi nel 2019, ed è il progetto più importante del Groupe d’études géopolitiques (Geg), un think tank fondato nel 2017 da studenti ed ex studenti dell’École Normale Supérieure, l’università francese di eccellenza nell’ambito delle scienze umanistiche.
L’analisi che ha dato vita al Geg era piuttosto semplice: non esisteva, in Europa, un serio luogo di dibattito che affrontasse le questioni geopolitiche «su scala pertinente», cioè quella continentale. Allo stesso tempo esisteva una grande domanda, di cui il presidente francese è in qualche modo sintomo, vista l’enorme risonanza continentale della sua campagna elettorale e della sua elezione.
E infatti il sottotitolo di tutte le pubblicazioni del Groupe d’études géopolitiques, che comprendono una rivista di diritto, due newsletter settimanali, dei saggi e un seminario settimanale in collaborazione con il Collège d’Europe di Bruges, lo European Institute della Columbia University e il Cevipof di Sciences Po, è di contribuire a elevare il dibattito «a una scala pertinente». Quella continentale.
L’attenzione alla pluralità di lingue presenti in Europa è un altro tratto distintivo: la rivista è principalmente in francese, ma traduce già molti contenuti in tedesco, inglese, italiano, romeno, polacco e spagnolo. A partire da gennaio 2021 tutto il Grand Continent sarà disponibile in italiano e spagnolo; per adesso, come annunciato sul Corriere della Sera, la rivista pubblicherà almeno un contenuto alla settimana in italiano.
Oggi, spiega Gilles Gressani, presidente del Groupe d’étude géopolitiques e direttore del Grand Continent, quel luogo esiste e l’intervista di Emmanuel Macron lo dimostra.
«Emmanuel Macron ha imposto il concetto di sovranità europea, o di autonomia strategica dell’Europa. Non tutti gli Stati europei condividono la sua visione e però non esiste uno spazio dove si possa dibattere di tali questioni. Non si può costruire un’autonomia strategica senza avere uno spazio autonomo di discussione sui temi di strategia. Non lo puoi fare sul Financial Times, su The Economist o su Foreign Affairs: sono pubblicazioni anglofone che si rivolgono principalmente all’anglosfera, e hanno poco di europeo».
Questa è l’ambizione del Grand Continent, e le reazioni in molte capitali europee, come quella di Berlino vista la risposta articolata della ministra della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer, ma anche di paesi giudicati più periferici, come l’Estonia, dimostrano che la strada è quella giusta.
L’intervista di Emmanuel Macron legittima la rivista come uno dei luoghi dove tenere questo dibattito. Anche se Gressani preferisce non utilizzare questo concetto «Direi piuttosto che Macron “riconosce” a il Grand Continent di essere, tra le varie alternative per condurre questo tipo di dibattito, la più credibile».
Emmanuel Macron non soltanto riconosce la rivista, ma in qualche modo “si riconosce” in essa, dato che i loro percorsi sono abbastanza simili. Il presidente francese avvia la sua campagna elettorale per l’Eliseo quando si rende conto che non c’è più bisogno di passare per i partiti tradizionali per avere “la legittimità”, appunto, per aspirare alla magistratura suprema.
Allo stesso modo, il Grand Continent mostra che non è più necessario essere un grande media internazionale come il Financial Times, o una rivista centenaria come Foreign Affairs, per intervistare Emmanuel Macron, Josep Borrell, Romano Prodi o per ospitare contributi di Henry Kissinger e Pascal Lamy.
Ed è interessante notare che l’età dei tre membri del Grand Continent che intervistano Macron (tutti under 30) non è in alcun modo fonte di dibattito né di osservazioni: il presidente dialoga con una rivista di un think tank, poco importa chi pone le domande. Gressani ha 28 anni, ha studiato all’École Normale Supérieure e all’Institut Français de Géopolitique, ha passato un periodo di ricerca alla Columbia University ed è titolare di corsi al Lycée Henri IV e a Sciences Po. Particolare interessante, è italiano, nato in Val D’Aosta, vive a Parigi da quasi dieci anni ed è perfettamente integrato nella “noblesse d’État” descritta dal sociologo Pierre Bourdieu, il sistema di selezione e riproduzione dell’élite francese prodotto dalle Grandes écoles de la République.
Se Emmanuel Macron riconosce e si riconosce nel Grand Continent, allora siamo di fronte al think tank del macronismo? Gressani pone più di un dubbio: «Non direi, se all’Eliseo ci fosse Marine Le Pen intervisteremmo lei. E i contenuti che pubblichiamo sono molto eterogenei: ci sono analisi di teorici del nazionalismo così come saggi di “terzomondisti”, ospitiamo persone vicine a Emmanuel Macron ma anche a Viktor Orbàn. A noi interessa diventare uno spazio per tutti, avere una linea editoriale chiara. Prendere le parti di qualcuno sarebbe un controsenso: abbiamo pubblicato pensatori diversissimi come Gianfranco Miglio, Ken Loach, Carlo Ginzbourg, Yoram Hazony».
Il Grand Continent è in effetti un contenitore sui generis. Al suo interno si trovano delle “brevi” sui fatti geopolitici più importanti, poi riassunti in una newsletter settimanale, la lettera del lunedì, una parte dedicata alle interviste, un’altra ancora ad articoli di approfondimento sull’attualità, infine una sezione che si occupa di raccogliere le “pièces de doctrine”, delle letture molto approfondite sulla visione del mondo, la dottrina appunto, di personaggi fondamentali del nostro tempo, come il presidente russo Vladimir Putin o il presidente cinese Xi Jinping. Si trovano anche della poesia, dell’arte, delle letture culturali.
Secondo Gressani la principale sfida del Grand Continent è riuscire a unire «Il tempo del tweet e il tempo del libro. Per stare davvero nel dibattito pubblico bisogna avere la reattività per rispondere a stimoli che poi si perdono nel giro di qualche ora e allo stesso tempo non cedere alla dittatura della viralità, provare a pubblicare contenuti approfonditi anche quando si affrontano notizie molto veloci».
Insomma, una rivista in grado di stare al centro dell’ecosistema democratico, mettendo in connessione i decisori politici, il mondo universitario e quello dei media tradizionali. «È importante spiegare che non siamo un giornale, i giornalisti fanno delle interviste per chiedere ai politici di rendere conto delle loro azioni, per analizzare e mettere a nudo le loro contraddizioni, per commentare i fatti del momento. A noi interessa mettere in luce altri aspetti, fornire più tempo, fare domande più larghe, consentire (e costringere) Macron a dare una rappresentazione più precisa della sua dottrina, della sua visione. L’intervista è un documento che aiuta la ricerca, il giornalismo e gli altri decisori politici a rendere più intellegibili le sue azioni, è un punto di partenza per criticare, se si vuole», aggiunge Gressani.
Il modello di business è un altro tema che spiega la particolarità del Grand Continent e del Groupe d’études géopolitiques, che sono due entità difficilmente separabili. La “manodopera” che serve per gestire il sito, aggiornare i social media, correggere le bozze, titolare gli articoli e tradurli è portata a lavorare gratis perché può monetizzare in altro modo.
Per come funziona il mondo universitario europeo, e in particolare quello francese, è molto utile avere delle esperienze di lavoro durante il periodo di studio, perché questo rende il proprio curriculum meno banale. Partecipare, seppur saltuariamente, al lavoro del Grand Continent e del Groupe d’études géopolitiques permette di “sfruttare” il marchio del think tank e la sua rete di contatti. Oltre, ovviamente, a essere parte di un movimento culturale intellettualmente molto stimolante, difficile da trovare altrove e dove è possibile pubblicare fin da subito, difficile altrimenti per studenti universitari o ricercatori molto giovani.
Questo consente al Groupe d’études géopolitiques di gestire le sue varie attività con costi molto contenuti. E se il rischio è che la professionalità possa risentirne, il vantaggio è che risulta più semplice coinvolgere nuove persone, perché queste percepiscono di poter facilmente entrare a contatto con il progetto, e diventarne subito parte integrante.
Gressani spiega che il nucleo fondativo che si occupa a tempo pieno del Grand Continent è composto da 15 persone, la maggior parte con contratti di ricerca nelle più importanti università francesi che consentono loro di mantenersi.
L’immagine della startup è ricorrente per far capire il processo «Le startup si basano su un’idea molto forte e sulla disponibilità di un gruppo di persone ristretto e unito a sacrificare tempo e risorse (rinunciando per esempio ad altre attività più remunerative) in virtù delle grandi potenzialità del progetto. Su queste poi si costruisce l’ecosistema: il Grand Continent attira pensatori globali come Henry Kissinger e studenti universitari sconosciuti. Ognuno ha la sua motivazione personale».
Il tema del finanziamento delle attività esiste, ma non è ancora un problema urgente da affrontare. Anche perché, argomenta il direttore del Grand Continent, la priorità è concentrarsi sui contenuti: «Quando cominci a lavorare con delle sovvenzioni o con degli attori privati di un certo livello, il tuo lavoro si burocratizza immensamente, sei molto meno libero nella ricerca. Per adesso quindi abbiamo evitato di legarci: è una scelta strategica, la maggior parte del nostro tempo è dedicata ai contenuti. I finanziamenti arriveranno, ma vorremmo avere un potere contrattuale più forte prima di affrontare questo discorso».
L’idea è provare a sfruttare la capacità di essere presenti in più lingue per allargare il pubblico e raccogliere parte delle risorse economiche necessarie alle attività della rivista con contenuti a pagamento. Considerato che il Grand Continent è una delle produzioni del think tank, è chiaro che altri ricavi potrebbero essere aggiunti attraverso attività di consulenza per aziende o governi.
In ogni caso, spiega Gressani, il progetto non è pensato per fare soldi: «Se vuoi arricchirti non lavori a un progetto come il Grand Continent. Parte delle cose che pubblichiamo non ha grande appeal commerciale, ma continueremo a farlo perché è l’insieme dei contenuti che ci rende originali. Noi vogliamo diventare la rivista di riferimento sul dibattito strategico europeo, l’obiettivo è questo, non aumentare il fatturato. Produrre reddito è fondamentale, perché il Grand Continent dovrà essere in grado di mantenersi, ma non sono molto incline a cercare finanziatori che poi potrebbero imporci, a giusto titolo, di aumentare i profitti nel semestre successivo e quindi implicitamente cambiare la linea editoriale».
Quale sia il modello di business non è ancora tuttavia chiaro: «Si capirà quando lanceremo il nuovo sito a gennaio 2021», chiosa il presidente del Geg.
L’autore ha collaborato con il Groupe d’Études Géopolitiques nel 2018, lavorando in particolare al lancio della lettera del lunedì, la newsletter geopolitica del think tank.