Recovery ItaliaCome ripartirà il Paese dopo la seconda ondata? Le ricette delle imprese e delle istituzioni

Più semplificazioni, riforme azzeccate e, soprattutto, più fiducia e disponibilità da parte delle istituzioni. A Linkiesta Festival hanno discusso con il viceministro Antonio Misiani, il segretario generale di Confartigianato Cesare Fumagalli, il country manager di Adecco Group Andrea Malacrida e la presidente della commissione economia del Parlamento Europeo Irene Tinagli. Obiettivo: sostenere la ripresa dell’economia

Come si riprenderà l’Italia? La seconda ondata di pandemia non ha bloccato idee e progetti per la ripartenza ma, senza dubbio, ha imposto un freno. I risultati del Pil vacillano, il governo è dovuto intervenire – di nuovo – con un decreto di aiuti – i Ristori – cui ne seguirà un secondo. Intanto ci sono 4 Regioni in lockdown. Il cammino intrapreso, con difficoltà, dall’Italia è già rallentato. Ma pur nelle difficoltà, c’è spazio per speranza, tenacia e nuove buone idee da considerare.

Nel panel “Recovery Italia” del festival de Linkiesta, moderato dalla giornalista Lidia Baratta e dove sono intervenuti il viceministro dell’Economia e delle Finanze Antonio Misiani, il country manager Italia di Adecco Group Andrea Malacrida, il segretario generale di Confartigianato Andrea Fumagalli e la presidente della Commissione per i problemi economici e monetari, del Parlamento europeo, si è parlato proprio di questo: previsioni, anticipazioni, analisi e scenari. Non sono mancate le polemiche.

Il quadro della situazione

Di fronte ai numeri dei contagi in salita, il governo è intervenuto per mettere in campo misure di contenimento, il secondo lockdown. Ma al tempo stesso, spiega il viceministro Misiani, si è mosso per sostenere l’economia. «Il decreto Ristori bis è pensato come adeguamento alle misure restrittive, che sono diverse a seconda delle Regioni. A chiusure diverse, corrispondono forme di aiuti diversi. Mentre quelli generali – l’Imu e il contributo del 60% per le aziende con orari ridotti – restano uguali». Il problema della prospettiva però rimane: l’Italia era entrata nell’autunno con stime e previsioni precise e rischia di modificare il quadro anche se, «non tanto». Per Misiani «il terzo trimestre è andato molto meglio delle stime degli osservatori, con una ripresa imprevista del 16,1%». Questo significa che «l’economia italiana può sopportare, in generale, anche un quarto trimestre peggiore rispetto alle stime». Se servirà uno scostamento di bilancio «non escludiamo di tornare a chiederlo», anche se per il momento ci si muove nei limiti dei 100 miliardi già autorizzati.

Ma oltre al soccorso momentaneo, serve anche pensare al futuro, che per l’Italia vuol dire un piano per la resilienza e soprattutto gli obiettivi del Recovery Plan.

Il cammino ha tappe fissate, spiega Irene Tinagli. Nel giro di pochi giorni si vota il piano per il Recovery and Resilience Facility, (prima in Commissione, poi in plenaria), a quel punto prevediamo di chiudere i negoziati entro Natale». Dopodiché da gennaio la Commissione Europea «potrà ricevere i piani ufficiali, non le bozze o proposte avanzate da alcuni in anticipo». Serviranno le ratifiche dei parlamenti nazionali («Ma dubito che ci sarà un Paese che si prenderà la responsabilità di bloccare questo processo») ed entro l’estate, «diciamo a giugno» si potrà avere l’anticipo.

È un progetto enorme, una iniziativa importantissima che per alcuni dovrebbe diventare permanente: «Si pensa che, dopo aver raggiunto un livello di integrazione, di comunanza di intenti, risorse, di debito messo in comune, non si possa più tornare indietro». Di sicuro ha avuto risultati benefici: la maggiore stabilità e «il successo del piano Sure».

Il problema, semmai, «è superare i mesi che ci separano dall’estate» sperando di arginare l’infezione e soprattutto i suoi effetti con strumenti e iniziative efficaci.

E qui conta il punto di vista delle imprese: secondo Andrea Malacrida di Adecco, ci sono numerose cose da fare. «Di fronte alla seconda ondata occorre capire il prima possibile che si dovrà porre molta attenzione sulle competenze dei lavoratori: dovranno essere preparati, formati per venire incontro ai bisogni del mercato», spiega. «A questo proposito va bene anche una misura come la cassa integrazione, ma andrebbe accompagnata da obblighi formativi di aggiornamento. Il lavoro deve cambiare, ma anche le professioni». Lo sguardo è rivolto al futuro: «Anche se questo secondo lockdown è più rispettoso delle imprese», sottolinea, «il punto è il bilancio tra imprese e occupazione». Anche perché il settore che finora ha sofferto di più è quello delle piccole e medie imprese.

Lo conferma Cesare Fumagalli di Confartigianato: «Questo, per chi è a capo di una PMI è uno dei momenti più deprimenti di sempre». Le imprese ci sono, le proposte sono state fatte, ma è come «svuotare il mare con un secchiello». Per Fumagalli le misure messe in campo dal governo non funzionano: «L’utilizzo dei codici ATECO è un disastro. Anche la formulazione “Ristori” è inefficace, perché non si ristora nulla. Al massimo si dà un aiuto». Sarebbe stato molto meglio utilizzare «uno strumento più generalizzato, che comprenda meglio le categorie da aiutare» e tornare «al fondo perduto, impiegato a primavera» per chi ne ha davvero bisogno.

Le ricette per il futuro

È così? Misiani, nella sua replica, riconosce che i codici ATECO siano «imperfetti» ma che non c’erano molte alternative perché «avevamo ricevuto molte critiche per i cosiddetti “aiuti a pioggia”». Il problema, ricorda, è riuscire a gestire al tempo stesso l’emergenza e costruire le prospettive post-crisi. A questo proposito ha anche una ricetta: «Ridurre la frammentazione degli ammortizzatori sociali – perché non un ammortizzatore unico? – e immaginare un meccanismo più semplice per far arrivare gli aiuti ai lavoratori. E terzo, un assegno anche a chi ha la Naspi per indirizzarlo a trovare nuove occupazioni».

Ma il tempo stringe. Nell’ottica di fine marzo, Malacrida ricorda che «gli imprenditori italiani non è che aspettano quel giorno per licenziare». È tutto più complicato: «Tutti vogliono far ripartire l’economia», ma alla fine «le decisioni vengono sempre lasciate in mano alle imprese». La cosa migliore da fare è «sospendere la causalità voluta nel decreto Dignità» – o anche toglierla. «Se non si prende una decisione specifica entro tre settimane almeno, rischiamo di perdere mezzo milione di posti di lavoro». Un dispositivo che si è rivelato dannoso e che «ha creato differenze, soprattutto in un quadro in cui i licenziamenti sono bloccati».

Per Fumagalli, «visto che con la pandemia è come se in Europa fosse entrata la safety car, l’Italia dovrà puntare sui suoi punti di forza per mettersi al livello degli altri». Uno di questi sono proprio le PMI: «Diffuse sul territorio, sostenibili a livello sociale, ambientale e anche economico». L’artigianato è fattore di innovazione? Certo. Ma «ci vuole anche un nuovo inserimento giuridico: ad esempio, la riforma della legge quadro, che risale al 1985. Un’era geologica fa». Mentre rispetto all’ammortizzatore unico «sarebbe meglio un ammortizzatore universale».

Tutte proposte e provocazioni per Misiani: sulla causalità «siamo già intervenuti», ma la sede migliore per parlarne è, a suo avviso, «la contrattazione collettiva». Per il resto – uno degli effetti di Linkiesta festival – si riserva di incontrare di persona sia Malacrida che Fumagalli. Un incrocio di agende che lascia ben sperare per un futuro in cui, prima di tutto, serve fiducia: «Nelle banche», sottolinea Fumagalli, «c’è un anno di Pil depositato. Bisogna che venga rimesso in circolazione per far ripartire l’economia».

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