Delitti ambientaliIn Italia il racket degli ecoreati è nelle mani della mafia e vale oltre 16 miliardi

Secondo l’ultimo dossier di Legambiente, solo nel 2018 ci sono stati 28mila reati, 35.104 denunce, 252 arresti e più di 10mila sequestri legati principalmente al ciclo dei rifiuti e del cemento. Il business è nelle mani di 368 clan, attivi in tutta Italia

LaPresse

Oltre un milione di tonnellate di rifiuti sequestrati, 23 aziende coinvolte, 128 denunce, 106 arresti e 13 inchieste. Sono alcuni dei numeri – relativi a indagini concluse entro il 31 maggio 2019 – che testimoniamo la diffusione di uno degli ecoreati più impattanti in Italia: il ciclo illegale dei rifiuti.

Nel 2018, invece, il giro di affari abusivo dei delitti contro l’ambiente ha raggiunto il valore di 16,6 miliardi di euro, con 28mila reati, 35.104 denunce, 252 arresti e più di 10mila sequestri. Sono numeri che testimoniano la lotta italiana all’ecomafia e agli ecoreati raccontata da Legambiente nei Dossier che, annualmente, la più importante associazione ambientalista del Paese dedica alle storie e ai numeri della criminalità ambientale.

«Sono dati da leggere attraverso uno sguardo un po’ strabico. Da un lato raccontano la gravità e la diffusione di questi fenomeni, dall’altro rappresentano un indicatore dell’impatto che hanno le economie criminali e mafiose sull’ambiente», spiega Enrico Fontana responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente. È stato proprio lui a coniare, nel 1994, il termine ecomafia – entrato ufficialmente nel dizionario Zingarelli nel 1999 – e a ideare la formulazione del primo Dossier, curando poi gran parte dei quelli successivi.

I numeri proposti da Legambiente, in riferimento al 2018, raccontano un business nelle mani di 368 clan, attivi in tutta Italia. Tra gli ecoreati più diffusi spiccano quelli legati al ciclo dei rifiuti, con 8mila reati accertati, e del ciclo del cemento, cresciuti in un anno del 68%, insieme ai delitti contro animali e fauna selvatica. «Le prime due sono le tipologie di illecito che si contendono il primato per il maggior impatto dal punto di vista dei disastri ambientali – commenta Fontana – Sono le due macroaree che si giocano la leadership anche per quanto riguarda gli interventi delle Forze dell’Ordine. Si definiscono reati spia, che nella stragrande maggioranza dei casi sono reati di impresa, perché oltre il 40% di questi si concentra in 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa». Nel 2018 il 45% dei reati ambientali è stato infatti circoscritto a sole 4 regioni: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.

L’attività di ricerca su ecoreati ed ecomafie nasce sedici anni fa in virtù di una collaborazione tra Legambiente, Arma dei Carabinieri e l’Istituto di Ricerca Eurispes. «Allora realizzammo l’Osservatorio ambiente e legalità che produsse la prima ricerca, intitolata “Le ecomafie”, presentata a Roma nel dicembre del ‘94». Per Legambiente si è trattato di un impegno storico: l’associazione è infatti da sempre impegnata in attività come la lotta all’abusivismo edilizio e alle discariche illegali di rifiuti. «Siamo un’associazione di cittadini che, da Nord a Sud, con questi fenomeni si è scontrata da subito». Per l’Arma dei Carabinieri si è trattato invece di un impegno nato negli anni ‘90 con l’Istituzione del nucleo operativo ecologico dell’arma dei carabinieri (Noe), un ramo di unità specifica con il compito prioritario di occuparsi dei fenomeni di illegalità ambientale.

Dall’incontro di queste tre realtà si sviluppa la realizzazione del primo Dossier, proposto da Fontana. Un report che nasce dall’analisi della sovrapposizione tra fenomeni particolarmente acuti di criminalità ambientale e presenza diretta delle organizzazioni mafiose. Ciò che ha spinto Fontana a impegnarsi in questo progetto è stata la sproporzione dei fenomeni che aveva riscontrato e l’assenza di strumenti in grado di consentire alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura di indagare e rintracciare chi si rendeva responsabile di ecoreati. «Ricordo i colloqui con i marescialli del Noe impegnati nelle prime inchieste sulle discariche abusive della provincia di Caserta, diventata poi tristemente famosa come “Terra dei Fuochi”. Avevano le spade di latta. Allora potevano contestare solo reati di natura contravvenzionale, dunque non avevano la possibilità di arrestare nemmeno persone colte in flagranza. Non potevano impegnarsi in intercettazioni telefoniche ambientali. Insomma, non potevano fare nulla».

«Questo è stato ciò che mi ha spinto a dire “bisogna fare qualcosa” ed è arrivata l’opportunità di collaborazione, e quindi l’inizio dell’attività di ricerca». Da quel momento Legambiente ha iniziato a stilare i report annuali che nel corso degli anni sono riusciti a far luce su un problema diffuso e particolarmente impattante su ambiente, economia e salute.

«Nel 1995 la Camera dei deputati istituì la prima Commissione monocamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse, che poi verrà istituita in tutte le legislature successive e diventerà ciò che oggi conosciamo come Commissione d’inchiesta sulle ecomafie». Prima di questa svolta, le Forza dell’Ordine classificavano i reati ambientali in due categorie, ambiente ed ecologia, e i dati che testimoniavano il problema non erano leggibili. «Abbiamo così suggerito loro di contestare, dopo aver fatto le denunce, la violazione di determinati articoli di normative in base alla tipologia di norma violata, rendendo i dati più chiari e quindi diffondibili».

Fontana ha curato la stesura e i lavori di ogni report annuale dal ‘94 al 2005, per poi tornare a farlo nel 2020. Nell’arco di tempo intercorso tra la pubblicazione del primo Dossier e l’ultimo Fontana ha rilevato «continuità dell’impegno istituzionale, in particolare del Parlamento, ma anche una fortissima attenzione da parte dei media e quindi una maggiore consapevolezza della gravità dei fenomeni».

Nel 2001 arriva un’altra, positiva, svolta: l’introduzione del delitto di attività organizzata del traffico illecito dei rifiuti (l’allora art 53/bis decreto Ronchi). Da quel momento, gli ecoreati hanno iniziato a essere indagati in maniera più incisiva e puntuale dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura. «L’impatto di questa norma è stato notevolissimo: ha permesso di affrontare un problema dalle proporzioni inquietanti. Basti pensare che il numero di inchieste condotte in Italia dal 2002 al 2019 per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti è di 459, con oltre 2mila ordinanze di custodia cautelare, 9mila denunce, 1195 aziende coinvolte, 90 procure impegnate, tutte e 20 le regioni interessate, 46 Stati esteri coinvolti in varie attività di indagine. I rifiuti trafficati illegalmente nel nostro Paese nello stesso periodo sono stati di oltre 53milioni di tonnellate. Senza la nostra attività di ricerca congiunta, tutto questo non sarebbe stato scoperto. E nessuno ne avrebbe risposto».

Poi, nel 2015, vengono introdotti nel codice penale i delitti contro l’ambiente come l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, l’omessa bonifica. «Parliamo di una delle normative più monitorate d’Italia. Anche in questo caso i dati, trasmessi dal Ministero della Giustizia, sono importanti. Da giugno 2015 a maggio 2018 i procedimenti penali (cioè le inchieste) in applicazione della legge 78/2015 nei confronti di noti e ignoti ammontano a 2859 di cui solo 623 (circa il 14%) sono stati archiviati. Gli arresti sono stati 2389, di cui 296 per delitto di inquinamento ambientale. Circa 8000, invece, le denunce, di cui 734 per inquinamento ambientale».

«Anche alla luce di questi numeri drammatici è necessario che il disegno di legge Terra Mia del ministro dell’Ambiente Sergio Costa venga approvato quanto prima dal Consiglio dei ministri e portato all’esame del Parlamento, perché contiene norme importantissime per contrastare gli illeciti ambientali. Si tratta di una proposta che sosteniamo e richiediamo, insieme all’approvazione dei decreti attuativi che rendono operativa la riforma del sistema nazionale di protezione ambientale del nostro Paese, l’altro alleato fondamentale nella tutela dell’ecosistema».

Dal primo all’ultimo report stilati da Legambiente, è emersa anche una evoluzione – positiva – riguardo l’efficacia dell’azione preventiva e repressiva delle Forze dell’Ordine: i numeri di illeciti ambientali come gli incendi volontari boschivi sono diminuiti. «Ciò significa che c’è stato un impatto positivo, questo perché le norme penali hanno anche un’efficacia e una deterrenza preventiva: è chiaro che se so che commettendo un certo reato non rischio nulla e guadagno molto – e, parallelamente, ho poca sensibilità e coscienza – sono anche incentivato farlo. Nel momento in cui invece mi rendo conto che rischio molto, ci penso un attimo. La nostra azione ha dunque portato a una diminuzione del numero totale di illeciti che, però, sono oggi più aggressivi e minacciosi, e ora cercano di insinuarsi nelle filiere virtuose dell’economia circolare e delle rinnovabili».

Questo aspetto emergerà con forza nel prossimo report di Legambiente, il “Dossier Ecomafia 2020”: «gli illeciti ambientali sembrano sempre più accompagnare e approfittare dei settori green, inquinando e inducendo disastri ambientali». Il futuro rapporto farà riflettere anche e soprattutto sulla capacità che le organizzazioni criminali hanno di adattarsi e di essere resilienti. A tal fine, secondo Fontana, «come sistema Paese l’Italia deve essere attenta e capace a mettere a punto sistemi che consentano di prevenire questi fenomeni. Per questo è importante approvare il ddl Terra Mia. Per irrobustire il sistema sanzionatorio e, così, rafforzare l’impegno a tutela dell’ambiente».

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