Nell’interminabile saga della Brexit una cosa sembrava certa: l’uscita di scena di Nigel Farage, una volta portata a termine la missione di separare il Regno Unito dall’Europa. Ma il leader del Brexit Party non sembra avere nessuna intenzione di abbandonare il palcoscenico della politica britannica. Mentre presenzia con entusiasmo alla campagna elettorale di Donald Trump, ha trovato il tempo di ribattezzare il suo partito Reform UK e di scegliere un nuovo bersaglio: la gestione della pandemia da parte del governo.
Farage e l’attuale presidente del Brexit Party Richard Tice hanno inoltrato alla Commissione Elettorale britannica una richiesta di modifica per chiamarsi Reform UK, un «nome che riflette la nostra ambizione», come scrivono i due in un editoriale sul Daily Telegraph.
Farage e Tice spiegano di voler rilanciare il partito per «combattere questo crudele e non necessario lockdown». Reform UK, che non ha ancora un manifesto ufficiale né un sito internet, mira a promuovere cambiamenti radicali in settori chiave del Regno Unito, tra cui il sistema parlamentare, la politica migratoria e la gestione della BBC, mantenendo al contempo un occhio vigile sugli sviluppi della Brexit. Nell’immediato, però, c’è un problema più urgente da risolvere: la “penosa” risposta del governo al Coronavirus. Su questo punto Farage costruisce la narrativa della sua nuova formazione politica, attaccando frontalmente le misure volute dal Primo Ministro Boris Johnson.
In termini assoluti, il Regno Unito è uno dei Paesi più colpiti d’Europa dal SARS-CoV-2: più di un milione di casi dall’inizio della pandemia e quasi 47mila morti. Sul primo dato, però, influisce molto l’enorme mole di tamponi processati dal sistema sanitario britannico: come riporta l’European Centre for Disease Prevention and Control, il Regno Unito ha registrato nelle ultime due settimane 469 casi ogni 100mila abitanti, un numero inferiore a Paesi simili per popolazione come Italia, Francia e Spagna.
Spaventato da uno scenario peggiore del previsto, il governo conservatore ha annunciato per l’Inghilterra un lockdown di un mese a partire da giovedì 5 novembre, una misura che per entrare in vigore dovrà essere confermata dal parlamento di Westminster mercoledì 4. Fino al 2 dicembre, gli inglesi non potranno spostarsi se non per ragioni certificate e vedranno chiudere bar, ristoranti e negozi non essenziali, sebbene rimarranno aperte scuole, asili e industrie. Scozia, Galles e Irlanda del Nord hanno già adottato restrizioni simili, pur con sfumature diverse.
Il lockdown inglese è nel mirino dei vertici del partito, che lo definiscono parte di «una strategia per terrorizzare e sottomettere il Paese». Secondo Farage e Tice i confinamenti non funzionano perché fanno più male che bene alla popolazione. Nonostante in passato lo stesso Farage avesse criticato il governo per il motivo opposto, cioè la mancanza di forti limitazioni per contrastare la diffusione del virus, ora la linea è quella di scongiurare in ogni modo una chiusura totale.
Il nuovo Reform UK punta forte sulla Great Barrington Declaration, un manifesto firmato da un pool di epidemiologi che suggerisce un approccio diverso alla pandemia, con un alto tasso di protezione per anziani e persone vulnerabili e uno stile di vita sostanzialmente privo di limitazioni per tutti gli altri. L’obiettivo di questa strategia è il raggiungimento dell’immunità di gregge, tenendo sì a bada la mortalità ma anche i danni sociali che possono essere provocati da un prolungato confinamento. Le misure della Great Barrington Declaration, grossomodo simili a quelle adottate dalla Svezia, avrebbero il pregio di non incidere in maniera troppo pesante sull’economia nazionale, ma anche di tutelare la libertà personale dei cittadini, scrive lo stesso Farage: «Alcuni pensano che i confinamenti siano un dovere morale. Ma è vero il contrario: imprigionare le persone è un’indicibile crudeltà»
Cavalcare il malcontento
Reform UK sarà il partito con cui gli ex Brexiteer si presenteranno alle elezioni locali britanniche del 2021 e la la piattaforma politica per dare una voce a tutti coloro che si oppongono alle restrizioni imposte dal governo. «Un numero crescente di persone pensa che il lockdown sarà un disastro», ha spiegato Farage in un video. Questa istanza sta già facendo breccia in parte dell’area conservatore: del resto gli stessi vertici del governo avevano nelle ultime settimane escluso il ricorso a un lockdown, chiesto invece con insistenza dall’opposizione laburista.
Nel partito di Johnson esiste poi una corrente di deputati preoccupati per l’impatto economico di una nuova chiusura totale, tra cui spiccano il Cancelliere dello Scacchiere (ministro delle Finanze britannico) Rishi Sunak e l’ex Sottosegretario di Stato per la Brexit Steve Baker. Secondo la stampa britannica questa fronda nei Tories non comprometterà il voto cruciale sul lockdown, ma è un segnale che non tutti, dentro e fuori da Westminster, condividono la linea del Primo Ministro.
Farage è pronto a sfruttare questo malcontento, raccogliendo i delusi fra i conservatori, ma anche pescando dagli elettori degli altri partiti, esattamente come ha fatto con la Brexit. Le prospettive di Reform UK non si possono analizzare senza prendere in considerazione la figura di Nigel Farage, un «animale politico capace di capire e interpretare il mood delle persone» come lo definisce l’influente analista britannico Jeff Taylor.
Dopo la ratifica del trattato di Maastricht, l’ex broker londinese ha cavalcato l’orgoglio dei britannici fondando prima l’UKIP e poi il Brexit Party per rivendicare l’autonomia dall’Unione Europea. Non è mai entrato a Westminster ma ha ottenuto cinque volte consecutive un seggio al Parlamento Europeo e, soprattutto, vinto lo scontro campale del referendum sulla Brexit, presentandosi come volto di punta del fronte del Leave. Con la sua creatura politica è persino riuscito in un’impresa impensabile nel sistema bi-partitico britannico: ottenere il primo posto in una tornata elettorale, le Europee del 2019.
Esaurita ora la traiettoria della formazione anti-europeista, Farage potrebbe aver trovato un modo per rivitalizzare la sua carriera politica, lanciando la sfida su un altro single-issue, un tema destinato presumibilmente a restare a lungo in cima all’agenda, proprio come la separazione dall’UE. Il dibattito sulla gestione della pandemia crea divisioni, polemiche, critiche e di conseguenza nuove opportunità politiche. E, parole sue, «sta diventando più tossico di quello sulla Brexit». Difficile lasciarsi scappare un’occasione del genere.