Abbiamo gestito molto male la questione immigrazione. Dando l’idea che quel fenomeno, in particolare tra il 2014 e tutto il 2016, fosse assolutamente fuori controllo. E non parlo solo degli sbarchi, che a un certo punto Marco Minniti, da ministro dell’Interno del governo Gentiloni, ha saputo frenare, ma soprattutto della gestione «a terra», disastrosa.
Abbiamo prodotto centinaia di migliaia di irregolari – dopo aver loro negato il permesso di soggiorno – che non siamo stati in grado di rimpatriare e che non ci siamo minimamente preoccupati di provare a integrare.
La gente si è spaventata, anche perché costantemente sollecitata dalla propaganda xenofoba della destra, e si è affidata a chi – a parole – diceva che avrebbe riportato ordine, legalità e sicurezza. È accaduto? Manco per idea. Anzi, Salvini ha usato il suo tempo al Viminale per peggiorare volutamente la situazione, incrementando il numero degli irregolari e la situazione di degrado nelle città, apposta per ricavarne ulteriori elementi di propaganda e consenso elettorale. (…)
La destra maneggia la paura con grande cinismo e maestria, la alimenta per poterne trarre il massimo beneficio. Ma se trova cittadini pronti a farsi sedurre è perché la sinistra non ha fatto bene il suo mestiere.
Riconoscere le paure non significa assecondarle. Mentre non riconoscerle significa ignorarle, ignorare i sentimenti delle persone: può essere questa la linea della sinistra? Di fronte alle paure che hanno preso ad attraversare il cuore di tanti nostri concittadini, la sinistra è sembrata lontana.
Mentre l’interessamento peloso della destra, quel suo prendere le paure e amplificarle – sotto sotto, addirittura operando per esasperarle, come nel caso dei cosiddetti «Decreti sicurezza» di Salvini – ha dato agli italiani un senso di maggiore prossimità, che è stato ripagato alle urne.
Del resto per i riformisti riconoscere non può significare una semplice presa d’atto. Se mi rendo conto che la gente ha paura ho il dovere di lavorare per superare le cause di quella reazione. Se è l’immigrazione all’apparenza incontrollata a scatenare la paura degli stranieri e l’ostilità nei loro confronti, non posso fermarmi a contrapporre una posizione umanitaria, come ha fatto in questi anni la sinistra: devo controllare il fenomeno, devo gestire l’immigrazione.
Ed è chiaro che è molto più complicato che limitarsi a cavalcare e ad amplificare la paura.
C’è dunque un doppio deficit da parte della sinistra: un difetto di attenzione, di sensibilità, e un difetto di azione, nella messa in campo di efficaci politiche riformiste. Ed è paradossale, se pensiamo che tra gli spiazzati e i perdenti della globalizzazione si trovano quei ceti popolari – gli operai della manifattura e i cittadini delle periferie, i lavoratori della gig economy e gli abitanti delle aree interne, dei piccoli paesi – che la sinistra dovrebbe prioritariamente ambire a difendere.
Per molte di queste persone, vale la pena ricordarlo, globalizzazione e immigrazione sono apparse sostanzialmente come la stessa cosa: il venir meno delle difese, il mondo che entra in casa nostra e sconvolge i nostri equilibri, un oggettivo degrado dei luoghi – dalle piazze antistanti le stazioni alle parti comuni delle case popolari.
E anche qui: non si tratta ovviamente di essere contro l’immigrazione – non lo sono, anzi – così come non si tratta di essere contro la globalizzazione – ci mancherebbe. Si tratta di saper governare questi processi, nella consapevolezza che gli effetti non sono solo positivi, per cercare di attutirne l’impatto.
Non si tratta dunque di «fermare» la globalizzazione – o il progresso tecnologico, o le migrazioni – ma di gestire questi processi, di accompagnarli nel loro dispiegarsi temporale, perché le conseguenze negative siano perlomeno mitigate. (…) Questa è l’essenza del riformismo di sinistra.
da “Riscatto. Bergamo e l’Italia, appunti per un futuro possibile”, di Giorgio Gori (in conversazione con Francesco Cancellato), Rizzoli, 2020