Giovani e deboliIl fondamentalismo islamico sta sfruttando la pandemia per reclutare nuovi adepti

Il ragazzo responsabile dell’attacco a Nizza è il tramite perfetto del messaggio degli estremisti, che non hanno mai smesso di fare proseliti. Paolo Branca, islamologo: «Là dove non arriva lo Stato, hanno dei centri e delle moschee che fanno guadagnare loro dei simpatizzanti. E che poi, tra questi reclutino anche delle persone per degli atti terroristici, purtroppo, può succedere. L’emergenza sanitaria ha aggravato la situazione»

Lapresse

Ha agito in autonomia, nel silenzio di una cattedrale più desolata del solito a causa delle nuove disposizioni sanitarie. Non ha utilizzato bombe, cinture esplosive o armi che fanno rumore, ma semplicemente un coltello, con cui il 29 ottobre ha ucciso tre persone nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza. In base alle prime informazioni, si tratterebbe di un 21enne di origini tunisine, giunto in Europa da poco.

Arrivato (e transitato) in Italia, il giovane, nato nel marzo del 1999, dopo un periodo di quarantena obbligatoria , si sarebbe ritrovato in Francia nel giro di poche settimane. Senza un lavoro, nessuna prospettiva di successo, probabilmente emarginato, solo, fragile e, probabilmente, privo di un sostegno economico adeguato. E così, il giovane responsabile dell’attacco è diventato ancora una volta, nel giro di poche ore, il tramite (e il bersaglio) perfetto del messaggio dei fondamentalisti. Che non hanno mai smesso di fare proseliti. Anche in tempo di pandemia.

Prima regola: sfruttare le difficoltà (come il nuovo virus)
La diffusione del Covid-19, travolgendo le economie e i sistemi sanitari di tutti i Paesi del mondo, da est a ovest, ha generato (e rafforzato) una crisi economica che esisteva già e ha peggiorato gravi situazioni di povertà. Soprattutto ai margini e nelle periferie.

Questo elemento non è sfuggito ai gruppi terroristici che, più di altri, sanno sfruttare le difficoltà sociali per inserirsi in contesti difficili, dove non sembrano esserci vie d’uscita. Daesh, la più “social” delle organizzazioni fondamentaliste, questo lo sa perfettamente e da tempo specula sulle fragilità (soprattutto dei più giovani).

Lo conferma anche Paolo Branca, islamologo e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: «Da decenni, i gruppi islamici radicali, dove sono presenti, hanno anche delle attività sociali, tipo luoghi dove i bambini possono giocare o dove forniscono aiuti alimentari e sanitari. Là dove non arriva lo Stato, specialmente nelle periferie delle città o nei villaggi isolati e particolarmente poveri, hanno dei centri e delle moschee dove è previsto un aiuto sociale ramificato che, naturalmente, fa guadagnare loro dei simpatizzanti. E che poi, tra questi reclutino anche delle persone per degli atti terroristici, purtroppo, può succedere. La pandemia ha aggravato la situazione economica e chi faceva parte magari della classe media si è ritrovato impoverito, quindi un meccanismo del genere può succedere». 

Un attacco “più semplice” (per il lockdown)
E, anche se nessuno è ancora in grado di certificare se il giovane tunisino fosse arrivato in Europa proprio per compiere quel gesto o per motivi di lavoro, finora, di lui si conoscono pochi dettagli.

«Abbiamo saputo dalla madre che, negli ultimi periodi, si era molto isolato, pregava tanto e probabilmente viveva già una situazione di disagio, se non altro lavorativo  e del suo futuro nel Paese d’origine. Che sia venuto in Europa per compiere un attentato non lo sappiamo: può anche darsi che abbia cominciato questa avventura e poi si sia ritrovato in Francia abbastanza rapidamente (anche perché l’attenzione probabilmente era tutta concentrata sui contagiati), in piena crisi delle vignette sul Profeta di Charlie Hebdo. Probabilmente, questo è stato uno schock supplementare a quello della partenza e della migrazione, su una persona probabilmente già poco equilibrata e disagiata psicologicamente», aggiunge ancora Branca.

E se è vero che il fondamentalismo sa su chi può “contare”, certamente una fase di semi-lockdown in Francia può aver agevolato in qualche modo il suo gesto. «Entrare in una chiesa in questo periodo particolare significa trovare meno persone del solito. Vuol dire anche potersi nascondere dietro una colonna e aggredire con più facilità un’anziana o i pochi fedeli all’interno. Colpirli con un coltello è più semplice rispetto a una situazione normale, dove ci sono decine se non centinaia di persone a visitare quel luogo di culto», specifica il docente. 

L’identikit dell’assalitore ai tempi del coronavirus
E anche se il 21enne responsabile dell’azione potrebbe identificarsi nella categoria dei lupi solitari (di chi, cioè, agisce in totale autonomia), non è ancora chiaro se lui faccia parte di una cellula. «Molto materiale ora si trova facilmente in rete e non è necessario che uno frequenti un centro dove viene indottrinato. Potrebbe essersi trovato in una situazione di confusione mentale ed è possibile si sia lasciato indottrinare e suggestionare da degli slogan», spiega Branca, che ricorda come lo Stato islamico, per esempio, pubblicasse in inglese, in francese e in altre lingue europee i suoi proclami.

Perché nella rete del fondamentalismo e della radicalizzazione ci finiscono i soggetti più diversi e più problematici, soprattutto chi con la religione ha pochissima confidenza e magari incontra la fede in contesti come il carcere (dove il messaggio confessionale viene completamente stravolto da predicatori improvvisati).

Le nuove “armi” delle cellule terroristiche: chiusura e internet
La diffusione del nuovo coronavirus ha imposto periodi di chiusura totale e il fatto di rimanere per tante ore all’interno delle mura domestiche, magari senza un impiego stabile, può favorire la diffusione di messaggi pericolosi.

«Stare tanto in casa vuol dire anche stare connessi sui social media ancora più del solito. Bisogna tenere presente che molti, con il lockdown, hanno perso il lavoro, fanno fatica anche a trovare un posto dove dormire (perché nei dormitori, ora, c’è molto più controllo) e quindi questi invisibili, che sono gli irregolari, hanno visto peggiorare le loro condizioni rapidamente e radicalmente in pochi mesi. Chi sta collegato a internet ci trova di tutto, comprese le istruzioni per fabbricare una bomba e non necessariamente su un sito islamista», conferma ancora il professore. 

L’arma bianca e la vendetta “primordiale”
L’islamologo si è soffermato anche sulla tipologia di arma utilizzata dal 21enne per colpire le tre vittime: «Ora siamo all’arma bianca, quindi, secondo me c’è una sorta di regressione. Cioè, è vero che esistono tutte le informazioni per fare degli ordigni sofisticati, però sia il ragazzo che ha ucciso il professore (Samuel Paty, ndr), sia quest’ultimo hanno utilizzato dei coltelli: questo dimostra anche il loro livello intellettuale e progettuale, probabilmente molto basso».

C’è poi, secondo il professore, una «guerra di simboli» a cui è necessario prestare particolare attenzione: «Loro pensano “Tu hai denigrato il mio profeta, mi hai insultato e offeso e io ho bisogno di una vendetta concreta”. La bomba, in fondo, è mediata: la lasci e te ne vai. Invece, se aggredisci qualcuno con un coltello, fai un corpo a corpo, anche se l’altro non c’entra niente. È come un desiderio più primordiale di vendetta e di sangue. Per questo siamo ancora all’arma bianca».

Ma degli ultimi fatti accaduti in Francia, uno degli elementi che ha scosso maggiormente l’opinione pubblica è stato il gesto della decapitazione (sia nel caso di Nizza, sia in quello del professore ucciso). Nel Corano, come chiarito da Branca, non ci sono versetti particolari relativi a questa pratica e ha aggiunto: «Nella storia, i potenti, dai califfi ai sultani, utilizzavano la decapitazione come pena capitale, ma non credo che questi giovani vadano a giustificare i loro gesti con i versetti coranici».

Il Covid-19 rafforza il messaggio messianico
La diffusione del nuovo coronavirus ha cambiato tutto, compreso il messaggio messianico che sta dietro alla radicalizzazione e alla dottrina fondamentalista. «La pandemia può sicuramente rafforzarlo: le persone più ignoranti possono leggere nei terremoti, nelle grandi epidemie, nelle disgrazie, nella corruzione, nella caduta dei valori e della morale dei segni premonitori di una fine prossima e di un giudizio incombente sull’umanità. Questo è stato alla base anche di molte partenze dei cosiddetti foreign fighters, che non andavano a combattere in Siria per la Siria, ma perché là sarebbe avvenuto l’armageddon, lo scontro finale tra la luce e le tenebre, fra Dio e il diavolo», spiega il docente, che ricorda come, con il tempo, questa convinzione se sia stemperata, soprattutto dopo la sconfitta (militare) dello Stato islamico.

E come ricorda Branca, l’ipotesi di un giudizio imminente seduce i più fragili, spingendoli talvolta in queste maglie: «Il sentimento di un sistema mondiale che sta uscendo dai binari, con le sue poche prospettive e la prevalenza di corruzione, può essere letto da alcuni come anticipatore della fine dei tempi». E così i più deboli agiscono. Anche da soli.

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