Nel quadro negativo generale, ecco «un’ottima notizia» per i librai. Secondo le disposizioni dell’ultimo Dpcm, firmato da Giuseppe Conte nella notte tra martedì e mercoledì, il libro viene dichiarato «bene essenziale». Tradotto: possono restare aperti anche nelle regioni considerate rosse. Lo conferma l’allegato 23, in cui figurano nella lunga lista delle eccezioni: sono insieme a supermercati, negozi di elettronica, ferramenta, centri per il giardinaggio, farmacie e negozi di ottica, oltre a edicole, cartolerie, negozi di biancheria, calzature, cosmetici e giocattoli.
Il catalogo è lungo, quasi a sottolineare lo scarto rispetto al lockdown generalizzato della primavera, e per il mondo del libro è una piccola vittoria: da tempo si erano susseguite richieste e proteste da parte di importanti editori e protagonisti del settore.
In una lettera aperta Sandro Ferri (edizioni e/o), Alessandro e Giuseppe Laterza (Laterza), Renata Gorgani (il Castoro) e Stefano Mauri (Mauri Spagnol) avevano rivolto un appello al governo per avere più chiarezza. «Nelle cosiddette zone rosse», avevano detto, «tra cui la Lombardia, il Piemonte e la Calabria, verrebbero chiusi tutti gli esercizi commerciali non reputati “essenziali”. Che ne sarà delle librerie? Chiediamo al governo di considerarle essenziali e di tenerle aperte in tutto il Paese».
A quanto pare la richiesta è stata accolta, sia per motivi economici – il periodo di Natale, sempre più vicino, è uno dei più importanti per il settore – sia, forse, per ragioni meno materiali: come scrivevano gli editori, «il libro è il modo meno contagioso di informarsi, approfondire, di imparare a distanza, di crescere e fare esperienza, come dimostrato dalla sete di libri» che è seguita alla fine del lockdown.
Una retorica che ha funzionato anche in altri Paesi europei: come la Germania, l’Austria, la Svizzera o il Belgio, quest’ultiimo sottoposto a un lockdown più rigido rispetto a quello italiano – proclamato da lunedì 3 novembre fino al 13 dicembre. Qui le librerie sono riuscite a rientrare, appena in tempo, tra le eccezioni alla chiusura. «Il libro è un modo per tenere botta e aiutare le persone a passare il tempo in modo intelligente», ha dichiarato Christian Carpentier, portavoce del ministro per la classe media, per l’agricoltura, per le piccole medie imprese, per gli autonomi, l’integrazione sociale e le politiche urbane David Clarinval, dopo che il governo ha corretto il tiro rispetto alle intenzioni di venerdì 30 ottobre, aprendo ai libri (prima c’erano solo le edicole).
In questo senso, la pecora nera rimane la Francia: qui, in mezzo alle polemiche, il libro non è stato considerato bene essenziale. Scrittori, editori e politici sono insorti: «I politici si vantano tanto dell’idea che la Francia sia un Paese con una grande tradizione letteraria, che sia una sorta di primogenita della lettura e delle librerie. Di colpo, ci si accorge che erano solo parole al vento», ha dichiarato Sylvain Tesson, l’autore. Intanto sono stati sospesi i principali premi letterari (tra cui il Goncourt) e sono stati invocate rivolte, boicottaggi di Amazon e petizioni per convincere il governo a cambiare idea.
Per il momento è tutto fermo: e la crisi, che ha colpito in modo pesante, rischia di portarsi via anche un monumento internazionale come la Shakespeare and Company, la celebre libreria sulle rive della Senna fondata nel 1919 da Sylvia Beach, dove erano di casa Hemingway e Fitzgerald. Dopo un secolo di vita, si è vista costretta a lanciare un appello ai lettori: sono finiti i risparmi, le vendite calate dell’80%, la chiusura si avvicina. Con il nuovo lockdown, potrebbe essere definitiva.