Gli indignatiDalle sommosse dei cinefili contro l’apertura delle chiese alla proposta di murare vivi gli anziani, la verità è che ne siamo usciti peggiori

Sembra che tutto possiamo sopportare, ma solo a condizione che il nostro vicino soffra almeno quanto noi. E forse è anche per questo che abbiamo fatto due mesi di lockdown nazionale, e probabilmente li rifaremo

victor-he, unsplash

Capisco che in questi giorni di contagi alle stelle, caos disorganizzato a Palazzo Chigi e scaricabarile tra Regioni e Governo, anche solo parlare di come ne usciremo possa apparire quanto meno prematuro; mentre di come ne siamo usciti, ovviamente, non parla più nessuno, anche perché l’unico libro in cui se ne parlava esplicitamente è stato ritirato dalle librerie pochi giorni fa dal suo autore, il ministro della Salute Roberto Speranza (il che non rassicura, a dirla tutta, sull’affidabilità delle previsioni fornite dagli esperti del ministero).

Ciò nonostante le polemiche di questi giorni inducono a qualche riflessione anche a proposito di come, diciamo così, avremmo dovuto uscirne: dalle furiose sommosse anticristiane dei cinefili laici sui social network, mortalmente offesi dalla decisione governativa di lasciare aperte le chiese pur avendo appena chiuso i cinema, alla ricorrente proposta di murare vivi gli anziani – per quanto tempo non è chiaro: tre mesi e poi si vede? fino all’arrivo del vaccino? finché non ci viene un’idea migliore? – per consentire a tutti noialtri di continuare a uscire di casa, vivere e lavorare come prima.

Non mi soffermo, perché non mi piace vincere facile, sull’infelice tweet di Giovanni Toti, poi non meno maldestramente rettificato, a proposito dei tanti anziani deceduti per Covid che avrebbero potuto stare a casa, in quanto «non indispensabili allo sforzo produttivo del paese» (se adottassimo lo stesso criterio, o anche uno molto più blando, limitandoci a rinchiudere solo i soggetti dannosi allo sforzo produttivo del paese, dovremmo mettere in isolamento interi partiti).

Degno di nota è piuttosto il brusco cambio di clima, dal desiderio di cantare l’inno nazionale dal balcone, stringendoci a coorte dai rispettivi cortili, a questa disperata ricerca del capro espiatorio, di qualcuno su cui scaricare la colpa, il peso e i costi della pandemia. È come se la logica del «prima gli italiani» tipico dei sovranisti avesse contagiato tutti, trasformandosi di volta in volta in «prima i cinefili», «prima i giovani», «prima i commercianti», «prima i pensionati». Una reazione comprensibile in chi ha già subito perdite enormi e ora rischia di perdere tutto, per non parlare di chi è rimasto senza lavoro sin dall’inizio, che si estende però a macchia d’olio, persino in chi al massimo ha dovuto rinunciare alla piscina.

Sembra che tutto possiamo sopportare, anche le privazioni più dure, ma solo a condizione che il nostro vicino soffra almeno quanto noi. Se poco poco ci viene il sospetto che lui abbia anche solo la possibilità di andare a pregare in chiesa mentre noi non possiamo andare al cinema, o di andare in palestra mentre noi non possiamo andare a teatro, ecco che tutto diventa intollerabile.

In fondo, è lo stesso triste spettacolo in corso tra Governo e Regioni. E forse è anche il vero motivo per cui, almeno fin qui, si è preferito imporre un lockdown nazionale durissimo a tutto il paese, pur di non scegliere e distinguere, assumendosene la responsabilità.

Insomma, da Palazzo Chigi alle piazze di Roma, Napoli, Firenze e Milano, dai presidenti di Regione agli intellettuali di Twitter, l’impressione, spiace dirlo, è che ne siamo usciti peggiori. E forse è anche per questo che ci siamo già rientrati.

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