«Decine di migliaia di persone stanno vivendo una discriminazione illegittima. La nostra è una battaglia per la sanità italiana, non contro i medici italiani come qualcuno vuol far credere, in un periodo peraltro emergenziale come quello che stiamo vivendo». Foad Aodi è il presidente dell’Amsi, l’Associazione Medici di origine Straniera in Italia. Da anni conduce una battaglia affinché dottori, infermieri, operatori sanitari nati fuori dall’Europa ma che vivono regolarmente in Italia, possano accedere ai concorsi pubblici e prestare servizio nella sanità pubblica. I numeri, raccolti dall’associazione, sono impressionanti: in Italia sono presenti circa 77.500 persone aventi cittadinanza straniera con qualifiche sanitarie.
Tra questi ci sono 22mila medici, 38mila infermieri, e poi fisioterapisti, farmacisti, odontoiatri. Solo il 10%, però, riesce ad accedere a posti di lavoro nell’ambito della sanità pubblica. «Negli ultimi cinque anni – racconta a Linkiesta il dottor Aodi – abbiamo ricevuto da strutture pubbliche o convenzionate circa 13.500 richieste di medici o infermieri. Però tutti loro hanno potuto lavorare perché a chiamata diretta, per contratti a termine. Nel momento poi in cui si indice un concorso sono esclusi».
La ragione va ritrovata nell’articolo 38 del Testo Unico del pubblico impiego che, di fatto, esclude i cittadini extra Ue – salvo alcune specifiche categorie come i rifugiati politici e chi, ad esempio, ha il coniuge comunitario – da ogni tipo di bando (non solo sanitario, dunque). Tutto questo nonostante in Italia ci sia uno spaventoso buco di medici: secondo le stime di Anaao Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri, mancano circa 5mila specialisti, la metà anestesisti e altrettanti tra internisti, infettivologi e pneumologi. Ancora più ampio il buco relativo all’organico degli infermieri. Dai dati dell’Ordine nazionale Fnopi sarebbero almeno 20mila quelli necessari per l’emergenza, da collocare tra terapia intensiva e assistenza territoriale.
È anche per questa ragione – e grazie alle pressioni non solo dell’Amsi ma di tante altre associazioni a partire dall’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) – che nel decreto Cura Italia si è deciso di inserire un provvedimento fondamentale. L’articolo 13 del testo prevede, solo per l’ambito sanitario e solo per il periodo di emergenza, un’importante deroga al Testo Unico del pubblico impiego: possono essere assunti «per l’esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario […] tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge». Una norma sensata per coprire un buco di personale che, specie nel periodo Covid, si sta facendo sentire soprattutto nell’assistenza territoriale.
Il risultato di tale apertura, tuttavia, è intangibile. Da marzo ad oggi i tanti concorsi indetti da ospedali e aziende sanitarie stanno completamente ignorando la deroga. Dai bandi visionati dall’Asgi in Lombardia, Lazio, Piemonte, Basilicata, Molise, Sicilia e Calabria, si fa menzione dell’ormai famoso Testo unico senza alcuna specifica riguardante la sopraggiunta deroga. Addirittura la Protezione civile (il cui dipartimento, è bene ricordarlo, ricade direttamente sotto l’egida di Palazzo Chigi) qualche settimana fa ha pubblicato un concorso per assunzioni di personale sanitario nell’unità di crisi, dimenticandosi però di aprire la partecipazione anche a medici stranieri: «Il bando – spiega la dottoressa Paola Fierro dell’Asgi – è rimasto attivo solo pochi giorni e incredibilmente non si è tenuto minimamente conto della deroga. Anche la presidenza del Consiglio ha di fatto escluso illegittimamente potenziali candidati extra-Ue».
Certo, molto probabilmente in questo come in tanti altri casi non c’è dolo, ma mera negligenza. Tuttavia il discorso non cambia: «La giurisprudenza insegna che la discriminazione non dipende dall’intenzione ma dall’effetto pratica di un atto o una norma. E in questo caso siamo indubbiamente dinanzi a un atto discriminatorio». Il caso più eclatante è senz’altro quello piemontese: «Sono stati banditi una decina di concorsi, tutti pressoché uguali, tutti per l’emergenza Covid e tutti senza tener conto del personale straniero», racconta ancora la Fierro.
Ed è proprio grazie alle denunce delle associazioni che qualcosa pare stia cambiando: «La Regione Piemonte ci ha fatto sapere che, pur non rifacendo daccapo i bandi, ora pubblicheranno delle manifestazioni di interesse in cui verranno ammessi anche i cittadini extra-Ue che potranno così auto-candidarsi». Dalle altre regioni, invece, almeno al momento tutto tace.
E a tacere sono anche le istituzioni centrali. «Mi stupisce – continua ancora il dottor Aodi – che il ministro Roberto Speranza non abbia mai dato un segnale, né ci abbia mai ricevuto. L’unico a mostrarsi sensibile al tema è stato il viceministro Sileri. Non vorrei che non si faccia nulla per via di qualche pressione. Quello che so è che diversi sindacati che lavorano nel pubblico non hanno speso una parola per la nostra battaglia…» Una battaglia, però, che non si arresta. In questi giorni, infatti, l’Asgi ha inviato una lettera al ministro Speranza, al sottosegretario alla Salute Sandra Zampa e al ministro per la Pubblica amministrazione Fabiana Dadone.
«Bisogna intervenire immediatamente – commenta ancora la dottoressa Fierro – presso gli enti del Servizio Sanitario Nazionale affinché, nella fase di emergenza, si garantisca l’accesso alle professioni sanitarie a tutti gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare». Dopodiché, assicurano già le associazioni, ci si rivolgerà al Parlamento tutto perché, conclude Aodi, «resta del tutto illogico che la possibilità del cittadino straniero di concorrere a un posto di lavoro sia limitata al solo periodo di emergenza».