I compiti non fattiLa triste realtà contiana e il sogno di riaprire le scuole a dicembre

Tutti auspicano un ritorno in classe (per primi gli studenti) ma sembrano non esserci le condizioni per evitare nuovi focolai. La chiusura degli istituti è il simbolo del fallimento disorganizzato del governo

Marco Alpozzi/LaPresse

Salvo clamorose intese, per usare il gergo contiano, la riapertura delle scuole prima di Natale non ci sarà. A farsene una ragione sarà innanzitutto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ma anche, se non si registrano nelle prossime ore radicali e al momento improbabili cambiamenti, gli stessi studenti che sperano di tornare presto in aula.

La data più accreditata è il 9 dicembre ma a quanto pare anche le Regioni sono per rimandare tutto a gennaio.

Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale dei medici chirurghi, boccia l’ipotesi: «Il nostro obiettivo – dice a Linkiesta – è ridurre la curva pandemica. Ma considerando i numeri attuali, tra contagi e decessi, credo sia sbagliato pensare di riaprire gli istituti scolastici prima delle vacanze invernali. Avevamo chiesto di istituire all’inizio di novembre un lockdown generalizzato con tutta Italia in zona rossa; se ci avessero dato ascolto, ora forse un certo ragionamento si poteva anche fare».

Ma quali sono, in particolare, gli aspetti che preoccupano ancora i medici? «Se si ammala un docente o uno studente è molto complicato ricostruire la catena dei contatti. Le famiglie entrano in crisi, i tamponi si fanno con ritardo e chi può ricorre al privato. Ritrovarsi in questa spirale perversa soltanto per poter dire che abbiamo riaperto le scuole per dieci giorni non mi sembra una grande idea. Ricordiamoci che la scuola non è avulsa dal contesto, anche perché resta il problema di fondo: se non disponiamo dell’organico per seguire 800mila persone in isolamento domiciliare tutto si complica. Eppure abbiamo 23mila medici neolaureati (tanti se ne sono presentati ai concorsi per le specializzazioni) che potevano essere impiegati proprio per supportare il sistema di prevenzione e di monitoraggio delle infezioni. Alcuni di loro sono impiegati nelle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale, ndr), altri sono stati contrattualizzati dai vari dipartimenti ma si tratta di casi isolati e sporadici. È mancata la pianificazione ed è un peccato perché queste professionalità potevano essere valorizzate».

Dunque si scontano ancora ritardi e inadempienze degli scorsi mesi quando il Covid ha colpito soprattutto adulti e anziani ma senza però risparmiare completamente i più piccoli.

I dati li fornisce Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria, in occasione del congresso straordinario digitale sul tema della pandemia che si tiene in questi giorni: sono stati 43.841 (pari al 3,6% del totale) i casi diagnosticati nella fascia d’età 0-9 anni e 105.378 quelli diagnosticati nella fascia 10-19 anni (8,6%).

Numeri che però non spaventano e per questo i pediatri chiedono di riaprire le scuole per evitare che alla crisi sanitaria se ne possa aggiungere una educativa e sociale dalle conseguenze pesanti per tutti i bambini.

E se tutti si dicono d’accordo sulla necessità di accorciare il più possibile i tempi dell’interregno costituto dalle lezioni a distanza, nessuno è pronto a scommettere sul fatto che ci siano le condizioni per tornare alla normalità tra due settimane.

Alla ministra Azzolina che ha incontrato i sindaci delle aree metropolitane dove vive un terzo degli studenti italiani, il primo cittadino di Bari e presidente dell’Anci Antonio Decaro, pur confermando la disponibilità dei comuni a collaborare, è tornato a chiedere l’impegno del governo sugli orari di ingresso e di uscita scaglionati e sull’incremento dei mezzi di trasporto, soprattutto extraurbani, per evitare affollamenti sugli autobus e alle fermate.

Dello stesso parere è Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’associazione nazionale dei dirigenti pubblici a cui sono iscritti anche i presidi: «Prima di riaprire le scuole bisogna potenziare sia il trasporto pubblico locale che il sistema sanitario territoriale, per quanto concerne il monitoraggio e il tracciamento dei contatti stretti; occorre inoltre mettere a disposizione dei dirigenti scolastici il personale supplente da impiegare in caso di assenza dei titolari. Non serve il braccio di ferro tra autorità centrali e istituzioni locali ma una discussione di merito perché da Regione a Regione, e in alcuni casi anche all’interno della stessa provincia, registriamo situazioni differenti che meritano risposte diverse. Per fare questo c’è bisogno di tempo».

Maddalena Gissi, segretario generale della Cisl Scuola, si mostra scettica: «Si dovrebbe fare in pochi giorni ciò che non si è fatto nei mesi precedenti. Cito però un esempio positivo: l’ospedale Bambin Gesù di Roma ha firmato una convenzione con un istituto comprensivo della capitale grazie alla quale ogni mese tutti gli operatori scolastici effettuano il tampone. Perché non si replica su larga scala questa esperienza che aiuta a contenere la diffusione del contagio? Ma c’è poi un’altra nota dolente – aggiunge la sindacalista – di cui si parla poco: in diverse scuole, soprattutto al Nord, mancano ancora i docenti. Meglio affrontare queste criticità perché il sistema scolastico per funzionare bene ha bisogno di garanzie e di stabilità».

Già, le garanzie. Quelle che chiedono anche i docenti dell’istituto Pascal di Reggio Emilia che hanno preso carta e penna e sono usciti allo scoperto chiedendo «sforzi maggiori nel settore del trasporto pubblico locale, che si è rivelato uno dei talloni d’Achille del sistema, con la sua scarsissima elasticità. Su questi temi, e su altre misure che vadano nella stessa direzione – si chiedono – ci sono già tavoli di lavoro, progetti, studi di fattibilità?».

La risposta è no, perché altrimenti la data del rientro nelle aule, anche se graduale e scaglionato, sarebbe stata già calendarizzata.

Intanto iniziative ed eventi simbolici si moltiplicano in tutta Italia per dire che la scuola vera è quella in presenza e che la didattica digitale è solo uno strumento per affrontare questa fase di emergenza.

A Milano, professori e studenti del liceo scientifico Bottoni si sono ritrovati nel cortile dell’istituto per fare lezione, alla presenza della preside Giovanna Mezzatesta e di alcuni genitori degli stessi ragazzi.

Il sindaco Beppe Sala spera nella riapertura, anche solo per pochi giorni prima della pausa natalizia, ma Marino Faccini, direttore delle Malattie Infettive di Ats Milano Città Metropolitana, predica prudenza: dipendesse da lui si tornerebbe in classe a gennaio, numeri del contagio permettendo.

Tra tante speranze e pochissime certezze, emerge un dato oggettivo: quando tutto sarà finito, le algide statistiche racconteranno dell’Italia come il paese europeo, tra quelli che contano, che ha lasciato a casa gli studenti più a lungo degli altri.

Dieci giorni in più o in meno non cambierebbero lo stato delle cose.

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