Il Sole oscurato, il cielo coperto da una nebbia di cenere, temperature precipitate improvvisamente. Un’eruzione vulcanica ricopre l’intero emisfero settentrionale sconvolgendo il clima, distruggendo i raccolti, provocando siccità e carestie, creando anche le condizioni per la diffusione della peste bubbonica che ucciderà circa 25 milioni di persone in tutto il mondo. Per molti esperti il 536 è uno degli anni più difficili della storia dell’umanità, un anno i cui effetti negativi hanno influenzato la vita delle persone per quasi un secolo.
«È stato l’inizio di uno dei periodi peggiori per l’uomo, forse l’anno peggiore in assoluto», ha spiegato l’archeologo e storico medievale di Harvard Michael McCormick in un articolo pubblicato sulla rivista Science.
Come il 536, sulla linea del tempo ci sono alcuni momenti che hanno segnato tragicamente la storia dell’uomo: anni in cui le temperature sono precipitate improvvisamente, anni di carestie, di epidemie che hanno falcidiato intere popolazioni, di guerre che impresse nella memoria collettiva di milioni di persone. Il 2020 è uno di questi, con una pandemia che ha cambiato la vita di miliardi di persone a tutte le latitudini.
«È difficile trovare dei parametri universali per catalogare gli anni peggiori – dice a Linkiesta lo storico Roberto Balzani, docente all’Università di Bologna – bisognerebbe capire quante persone sono state colpite da un cataclisma, da una epidemia, da una guerra; quanto si protraggono gli effetti negativi e che traccia lasciano nella memoria. Prendiamo ad esempio il periodo della peste nera nel ‘300: è considerato uno dei momenti più difficili per l’uomo, ma sappiamo che ha avuto picchi in momenti diversi in Europa e in Asia».
Come riportato da Catherine Kovesi della School of Historical and Philosophical Studies all’Università di Melbourne, «nel primo caso documentato di tentata guerra biologica, nel 1346 le forze mongole assedianti di Yanibeg Khan lanciavano i corpi di uomini morti di una misteriosa peste nella fortezza commerciale genovese di Caffa in Crimea. In appena 18 mesi, la peste si diffuse a grande velocità in Italia e nel resto d’Europa, anche in Islanda e in Russia, uccidendo tra 25 e 50 milioni di persone, circa tra il 30 e il 50% della popolazione europea».
La scia di morte causata dalla peste ha portato a considerare il 1347 un annus horribilis dell’umanità, «ma è così anche perché le nostre fonti storiche sono perlopiù relative al mondo occidentale, e più si va indietro nel tempo più quelle fonti hanno un orizzonte geografico ristretto», spiega il professor Balzani. Tra l’altro è proprio in quegli anni, a causa della diffusione della peste, che i veneziani introdussero la quarantena per i malati: un periodo di isolamento di 40 giorni per chi entrava nella laguna della Repubblica Serenissima.
Nel 1816 invece l’intero emisfero boreale conobbe quello che sarebbe passato alla storia come l’anno senza estate. La causa è l’eruzione del Monte Tambora in Indonesia del 1815 – ma sarebbe passato oltre un secolo prima di risalire all’origine del problema – che portò un’enorme nuvola di polvere nel cielo e condizioni meteorologiche estreme: il Sole si oscurò, le temperature precipitarono distruggendo i raccolti e portando carestia in Europa e in Asia, ci furono inusuali tempeste, piogge anomale e inondazioni di diversi fiumi. In Gran Bretagna e in Francia, ad esempio, vi furono rivolte per il pane e numerosi saccheggi ai magazzini del grano; in Svizzera il governo dichiarò emergenza nazionale; negli Stati americani del New England arrivarono tempeste di neve che provocarono migliaia di vittime.
Come il 1347 e il 1816, ci sono altri anni orribili, in cui epidemie e stravolgimenti climatici hanno portato costi enormi in termini demografici. Ma molto spesso si tratta episodi circoscritti in una determinata area. È il caso del 1520, anno in cui è iniziata la diffusione del vaiolo nel continente americano. La malattia infettiva fu il miglior alleato dei conquistadores spagnoli: nel giro di poco tempo la metà degli abitanti aztechi di Tenochtitlán morì di vaiolo e l’assedio alla città si concluse nel 1521 con sforzi e perdite minime per gli europei.
«Di eventi catastrofici circoscritti in un’area ristretta ce ne sono moltissimi. Si potrebbe citare anche la carestia cinese del 1959 successiva al Grande balzo in avanti: quella porterà circa 15 milioni di morti in tre anni o forse meno. L’assunto si complica al momento di cercare eventi di portata globale, soprattutto perché in passato l’uomo non aveva gli strumenti necessari per costruirsi una percezione reale di quel che accadeva in ogni parte del mondo. Il primo evento di portata globale riconosciuto dalle persone che lo hanno vissuto è stata l’influenza spagnola», dice il professor Balzani.
L’influenza spagnola, una pandemia da 50 milioni di morti, ha iniziato a diffondersi all’inizio del 1918, un anno segnato dalle ultime battaglie della Prima guerra mondiale. Il 1918 potrebbe rientrare nell’elenco degli anni più brutti per l’umanità. Ma probabilmente l’eredità di quella pandemia nella memoria storica non è pesante come quella degli anni precedenti – quelli centrali del primo conflitto mondiale – o quelli che sarebbero arrivati poco dopo, tra il ‘39 e il ‘45.
«Gli eventi di natura politica – spiega il professor Balzani – o comunque quelli causati dall’uomo, come le guerre, si trascinano più a lungo nella memoria collettiva. Perché la guerra può diventare anche motivo di fondazione o decadenza di una nazione. Mentre le epidemie si esauriscono in un tempo più breve. Prima del Covid-19 molti italiani sapevano che nel 1918 finiva la Prima guerra mondiale, non lo associavano alla terribile influenza spagnola. Si potrebbe fare lo stesso esempio con l’influenza di Hong Kong del 1968 (che ha ucciso tra 750mila e 2 milioni di persone, ndr) ma non viene ricordata come alcuni conflitti del Novecento».