Servizio pubblicoCensurare non serve a niente, meglio far emergere le bugie nel confronto

Una democrazia morente come la nostra è pronta a rianimarsi se le si offre una cosa semplice: lo scontro diretto di opinioni, senza registrazioni e montaggi

Da quando le principali catene TV americane hanno dato del bugiardo, in sovrapposizione, a Donald Trump mentre denunciava brogli elettorali, la censura – anche in Italia – è stata sdoganata, e non è un bene.

La RAI, ormai in totale smobilitazione del vertice e quindi in pieno marasma, si è distinta per confusione, prima chiudendo la porta al presidente grillino antimafia, poi riaprendola con tante scuse non unanimi. Ma anche l’infotainment non è stato da meno, chiudendo trasmissioni per inopinati scivolamenti nella volgarità.

Con la censura è così. Meglio evitare di tirarla fuori dall’armadio degli strumenti medioevali. Se si comincia pensando di farlo a fin di bene, poi va sempre peggio.

C’è una sola censura che funziona, ed è quella che amministra preventivamente buon senso, cultura, educazione civile. Si chiama autocontrollo a priori, non sanzione a posteriori.

Meglio – parere personale – non sbugiardare in sovraimpressione l’ex Presidente USA, per quanto siano patetiche le sue proclamazioni.

Se non si fa affidamento sulla capacità di giudizio del pubblico e se non si comprende che ci sarà una parte di quel pubblico che apprezza comunque le bugie e le fanfaronate (anzi, meglio non farlo arrabbiare in diretta), non si troverà mai la strada giusta della prevenzione, dell’educazione, della formazione. Un popolo cresce solo se sbaglia da solo, non perché lo si è tenuto con il paraocchi. Oltretutto il popolo ora parla sui social, e li la censura suscita ancor più indignazione di massa.

D’altra parte, ci rendiamo conto di quello che succederebbe nel nostro Paese, se a tutte le ore – dal primo mattino alla tarda serata – i censori TV dovessero mandare in sovraimpressione una smentita?

Ci lamentiamo perché il VAR interrompe le partite di calcio, ma lì è almeno un’emozione. Dovessimo farlo ogni volta che uomini e donne si accapigliano in favor di telecamera, ogni volta che scappa la battuta insulsa in una trasmissione “per casalinghe”, avremmo una TV non spazzatura ma gruviera, con i buchi dei beep. Idem se Salvini racconta che quota 100 ha abolito la Fornero: sarebbe una tortura spiegare ogni volta che non è vero. O quando Luigi di Maio fa lo statista lungimirante ed esalta il ruolo della Nato e degli USA, dovremmo ricordargli che Obama veniva definito un golpista e Biden un vicegolpista? Non ci salveremmo più. E quando Brunetta dà atto che il ministro degli esteri ha finalmente “studiato”, potremmo chiedere una controprova sulla geografia del Sud America, magari con l’aiuto del viceministro Di Stefano sulla differenza tra Libia e Libano? E Bettini, che ormai parla a reti unificate, potremmo contraddirlo quando fa lo zio buono dei grillini ma dimentica di essere l’ideologo del partito di Bibbiano?

Aver impedito al senatore Morra di andare in trasmissione a spiegare la sua sciagurata idea sulle colpe dei calabresi nell’aver votato una persona ammalata, ci ha lasciato pensare che forse era solo una scivolata. Poi, quando invece è andato a ribadire il concetto, una volta autorizzato da non si sa chi in Viale Mazzini, abbiamo capito che quella che voleva dire era proprio un’idiozia. Non censurare le posizioni ha questo di buono: si vedono meglio le cose. Nella fattispecie, scoprire che uno dei pochi grillini che sa leggere e scrivere, è votato alle castronerie, ci consente di valutare che il movimento è proprio irredimibile. Non funziona neppure la legge dei grandi numeri, che qualcuno – nel mucchio – lo salva. Qui non ci sono speranze. Complimenti agli ottimisti che giudicano “strategico” il rapporto con gli ex seguaci di Grillo e Casaleggio.

Ma, allora, dobbiamo proprio lasciar correre ogni volta che sentiamo affermazioni senza senso o vediamo trasmissioni inguardabili? Basterebbe ricorrere alla sovranità del telecomando, quello che sceglie o non sceglie i Giletti e i Giordano senza far male a nessuno, salvo il proprio buon gusto.

Ma è chiaro anche che non basta. Non dice niente il fatto che l’ultima trasmissione di maggior successo sia stata l’intervista di Lilli Gruber a Conte? La prova che i telespettatori non sono proprio come pensa Casalino, solo carne da ascolto di interminabili monologhi alla Chavez, sta nel fatto che l’incalzare della conduttrice – tra un colpo di tosse e una sbirciata al telefonino del presidente del Consiglio – è stato apprezzato. Il telespettatore capisce al volo la differenza. Gruber ha fatto un ottimo lavoro, e speriamo solo che non dimostri eterna riconoscenza al suo intervistato per questo. Qualche sera dopo ha massacrato un assessore della Giunta Fontana al di là dei pur rilevanti demeriti, infierendo senza pietà, sembrava Conte 2 la vendetta.

E comunque non è solo colpa della TV. Le paginate di interviste che il Corriere dedica a Di Maio, senza che quest’ultimo dica una sola cosa che rappresenti una notizia, fanno pensare con rimpianto ai Forlani, che però almeno governavano.

Insomma, quello di cui si sente la mancanza non è la censura, ma il confronto. Milioni di persone apprezzerebbero giornalisti incalzanti ma ancor più confronti veri, senza veli, tra i politici. Non ne vediamo più da anni. Eppure chiedere in contemporanea a Renzi e Di Maio se è vero che sono d’accordo nel far fuori l’avvocato di Palazzo Chigi, sarebbe un bel esercizio di democrazia. Così come non chiamare più in trasmissione chi detta condizioni su chi può contraddirlo.

Altro che censura. Una democrazia morente come la nostra è pronta a rianimarsi, se le si offre una cosa semplice: il confronto diretto di opinioni, senza registrazioni e montaggi (vero Floris?). È bello sentire gli aforismi di Bersani, ma ancor più bello sarebbe un confronto – oggi impossibile – su chi è più a sinistra tra lui e Calenda.

Il telecomando non scaricherebbe le pile, come accade oggi.

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