In prima lineaChe cosa sta facendo Emergency in Calabria

L’associazione umanitaria fondata da Gino Strada è arrivata a Crotone a inizio dicembre per dare una mano nella crisi sanitaria. Ecco come sta organizzando i reparti per aiutare i pazienti a combattere l’infezione

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Il reparto gestito da Emergency all'ospedale di Crotone. Foto: Davide Preti

Quando Emergency arriva in un posto, è sempre un evento. L’ong fondata da Gino Strada nel 1994 è da sempre associata agli aiuti umanitari che, in quanto tali, sono estremamente divisivi perché c’è chi li considera una salvezza e chi li vive come un’intrusione di un elemento esterno, alieno, difficile da inserire nella propria realtà locale. È successo in Afghanistan, così è stato anche a Crotone, dove l’organizzazione è arrivata a inizio dicembre per dare una mano nel contrasto dell’emergenza Covid.

Crotone ha 63mila abitanti, di posti di terapia intensiva Covid all’ospedale San Giovanni di Dio ce n’è solo uno, ragion per cui i casi più gravi vengono mandati a Catanzaro, a una settantina di chilometri. A Emergency è stato affidato un settore dell’ospedale che sta accanto alla struttura principale, il reparto Covid 2. È un reparto a media-bassa complessità, ovvero i pazienti che passano di qui non hanno più bisogno di essere intubati, ma vengono gradualmente staccati dal respiratore prima di andare a casa. Al momento, su 31 posti letto totali, ne sono occupati circa la metà. La situazione è tranquilla.

«La seconda ondata al Sud è stata più importante rispetto alla prima, ma comunque non come è stata la nostra primavera al Nord», racconta Paolo Grosso, anestesista del Policlinico di Monza, in pensione da giugno, e responsabile del reparto Covid 2. Con Emergency Grosso è attivo da oltre vent’anni, alle spalle ha esperienze in Sierra Leone, Libia, Sudan e Cambogia. Trascorrerà il Natale lì, fra i malati. «Non è certo la prima volta», dice a Linkiesta, ma non gli pesa: Emergency è come una grande famiglia, le persone sorridono, si respira solidarietà.

Paolo Grosso, anestesista. Foto: Linkiesta

A Crotone, l’organizzazione ha implementato le procedure già utilizzate per l’Ebola in Sierra Leone: dentro al tendone di ingresso, oltre allo spogliatoio, ci sono spazi ben delineati per la vestizione e svestizione del personale. Chiunque entri nel reparto, ben isolato dalla testa ai piedi, quando esce deve seguire una procedura specifica per togliersi di dosso camice, sottocamice, guanti, mascherina e tutto il resto dei dispositivi di protezione, buttandoli in appositi bidoni. Ad assistere ciascun professionista c’è una figura specifica, che segue il processo passo passo per evitare errori.

«La competenza e generosità di Emergency sono invidiabili», commenta Gaetano Mauro, primario di medicina interna del San Giovanni di Dio, direttore dell’ASP di Crotone e responsabile dell’area di degenza Covid. Una volta al giorno, Mauro passa dai colleghi dell’organizzazione per coordinarsi su ricoveri e dimissioni, sullo stato dei pazienti e sul lavoro. «Sto qui in media 12-13 ore al giorno», dice a Linkiesta. E dire che quaggiù il numero di casi non è mai esploso come al Nord. A preoccupare di più sono le carenze del sistema sanitario. «Sarà per questo che la gente è responsabile, sanno quali sono i rischi se finiscono in ospedale», prosegue il medico.

La sanità calabrese è in difficoltà da anni, la presenza di un commissario fin dal 2010 e il recente carosello sui nomi del potenziale nuovo dirigente, compreso lo stesso Gino Strada, hanno contribuito a puntare i riflettori sullo stato della sanità in regione, ma aiutato poco nel concreto del quotidiano. «Il problema non è chi fa il commissario, ma la squadra che gli sta intorno, che deve essere preparata», puntualizza Mauro. «Qui potrebbero volerci decenni per cambiare le cose. Se invece un commissario arriva e poi se ne va l’anno dopo, non si conclude niente».

Gaetano Mauro, primario di Medicina interna a Crotone. Foto: Linkiesta

«Gino Strada sarebbe stato un commissario fantastico», dice a Linkiesta Rossella Miccio, presidente di Emergency. «Sono di parte, naturalmente, ma avrebbe avuto un unico obiettivo, quello più importante: garantire sanità pubblica gratuita e di qualità ai cittadini della Calabria».

Dall’inizio dell’emergenza, la sanità in Calabria non è cambiata poi molto. Qualche posto letto in più, certo, ma con difficoltà e ritardi diffusi. «La carenza di posti letto e di laboratori per processare i tamponi sono stati e sono tuttora un problema grosso, perché questo ritarda la diagnosi e il tracciamento. Il rischio di una diffusione incontrollata è stato concreto», spiega Miccio.

«Con Emergency qui ci sentiamo più tranquilli», dice il primario Mauro. «A inizio dicembre avevamo 43 pazienti in reparto, eravamo quasi al limite. Adesso invece sono diminuiti, ci preoccupa solo qualche focolaio nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). La maggior parte dei casi e dei morti che abbiamo avuto qui erano comunque soggetti anziani e pluripatologici».

L’intervento di Emergency durerà almeno fino al 31 gennaio, sperando che la terza ondata, complice l’arrivo del vaccino, non arrivi. Fra i medici si vocifera che il vaccino contro il Covid, per loro, potrebbe arrivare già entro la fine dell’anno.

«Il mio intervento dovrebbe durare un mese, ma in realtà mi è già stato chiesto di fermarmi un po’ di più», spiega a Linkiesta Rita Carravetta, giovane medico originaria di Cosenza arrivata a Crotone da meno di una settimana. Con Emergency ha iniziato a collaborare nel 2013, quando lavorava in un ambulatorio mobile per migranti e persone fragili nella zona del foggiano. Di Emergency ama lo spirito di squadra e il fatto che è una struttura con solidi principi alle spalle. «Da ragazzina, invece che mandare lettere ai calciatori, io scrivevo a Gino Strada», racconta sorridendo. In questi mesi ha lavorato come libera professionista in diverse regioni italiane, prevalentemente nel Lazio. «Già nei mesi scorsi avevo visto bandi e manifestazioni di interesse per raccogliere medici in Calabria, i miei mi dicevano pure: “perché non cogli l’occasione, così ci vieni a trovare?”. Io però non ho mai voluto, e stavolta ho accettato solo perché si trattava di Emergency. Senza quella sicurezza, non l’avrei fatto».

Rita Carravetta, medico di Emergency. Foto: Linkiesta

Il senso di scoraggiamento, in una regione dove tutto funziona con difficoltà, è palpabile. Molti, troppi sono quelli che se ne vanno, anche in ambito sanitario. «Ma qualcuno torna pure», assicura Mauro, che racconta di aver appena assunto un paio di nuovi medici e cinque infermieri. «C’è chi se n’è andato, ma anche chi è tornato, perché vede che altrove le cose non sono poi così diverse. Se hanno la possibilità, anche i giovani restano», puntualizza.

L’intervento di Emergency è limitato nel tempo, ma quanto più necessario in un clima di incertezza accentuato dalla pandemia. «Tanta gente è spaesata, disorientata, ma in realtà è più facile stare più vicini alle persone in reparto piuttosto che fuori. L’altro giorno un infermiere mi ha chiamato perché c’era un’anziana che si lamentava di qualcosa, ma lui non capiva cosa stesse dicendo. Mi è bastato dirle qualche parola in dialetto e si è subito tranquillizzata», racconta Carravetta.

Se fuori il mondo corre veloce, i numeri della pandemia ormai ridotti a statistiche, dentro a queste mura si ritrova un senso di umanità. Al punto che c’è persino chi non se ne vorrebbe andare. «Giusto ieri una signora mi diceva di non voler tornare a casa per Natale, perché sarebbe stata sola: i figli vivono lontano e lei aveva appena perso la sua migliore amica per il Covid. Erano entrate insieme in ospedale», dice il giovane medico.

Il Natale del 2020 non sarà poi così anomalo per gli operatori: «Sarò in turno, in zona rossa», dice Carravetta. La cosa non sembra pesarle. «Mettersi al servizio, dando il proprio meglio e in cooperazione, è ciò che più contraddistingue Emergency. Come diceva un grande microbiologo, la medicina non è altro che politica su larga scala. In questo senso la sua presenza qui è un intervento politico nel senso più alto del termine».

Fuori dal reparto, fuori dai tendoni, il Paese si ferma per Natale, mettendo da parte almeno temporaneamente le discussioni fra i partiti di governo, il dibattito su task force e Recovery Plan, e la persistente miopia di una politica che non sa guardare oltre al proprio naso. In ospedale, invece, il lavoro proseguirà incessante. «Io spero in un coordinamento e coesione forti, è di estrema importanza avere comportamenti uniformi su tutto il territorio. Altrimenti diventa difficile gestire su base regionale una risposta alla pandemia, specialmente quando si tratta di mettere in piedi una delle più grandi campagne vaccinali a livello globale», conclude Miccio. Bene o male che sia vista, Emergency c’è. «Come c’è sempre stata», dice la presidente. «Ci saremo anche per la campagna vaccinale, se dovesse esserci bisogno».