Giuseppe Conte è nudo. Nel senso che adesso tocca a lui convincere la sua maggioranza di essere l’uomo che può condurre il Paese alla vittoria sul virus con una efficace e veloce campagna di vaccinazione e guidare la ricostruzione italiana grazie all’uso intelligente dei miliardi del NextGenerationEu, ma oggettivamente sulla pandemia è un disastro e sulle idee per il rilancio non si muove foglia. Nudo vuol dire anche che non è scontata la sua copertura con quel drappeggio cucito al largo del Nazareno che finora ha avvolto l’avvocato di una sorta di intangibilità politica («perché altrimenti arriva Salvini», il refrain). Fra il presidente del Consiglio e l’ex segretario Matteo Renzi, Nicola Zingaretti si mantiene equidistante, ma è una barricata che non può reggere per molto.
Già, forse esagera nella percentuale ma Renzi non ha torto quando dice che «il 99% dei parlamentari del Pd d’accordo» con il merito delle questioni contenute nella lettera al presidente del Consiglio: come Andrea Orlando, tutti i dem criticano «il modo di fare» del loro ex segretario attraverso gli ultimatum – forse invidiandone la capacità di movimento – e però contemporaneamente ritengono che «ora Conte deve fare delle scelte».
Da Graziano Delrio allo stesso Dario Franceschini le lamentele sono tante, il primo critica la distanza che c’è fra Conte e il paese reale a partire dalla costruzione del Piano per il NextGenerationEu mentre il secondo è ormai avversario permanente del presidente del Consiglio sulle regole per l’imminente Natale: messe insieme, significa più o meno tutta l’agenda del governo. A questo si deve aggiungere l’ira nazarena per la pretesa di Conte di appropriarsi del dossier sui servizi segreti e la cybersicurezza («Spetta a noi», ha tuonato Enrico Borghi, uomo forte del settore): «Certo questa cosa di Conte sui servizi è inquietante», commenta un uomo del secondo piano del Nazareno.
Ma poi la sostanza è un’altra. E cioè che il Pd ha capito che Renzi fa sul serio. Fino a qualche giorno fa non gli era così chiaro, specie dopo averlo un po’ mollato, e invece il rilancio renziano per esempio sul Meccanismo europeo di stabilità – tema divisivo per eccellenza – ha acceso i sensori del Nazareno dove intanto si è predisposto un documento in ben 25 punti (Mes compreso) come contributo per l’azione del governo: naturalmente la cosa è stata mediaticamente sovrastata dall’offensiva di Italia viva e tuttavia il vagone critico del partito di Zingaretti vi si è agganciato, facendo restare agli atti in cosa debba consistere il famoso cambio di passo del presidente del Consiglio, cioè Mes, riforma fiscale, economia green, scuola: un programma di governo da rifare, insomma. E infatti i contiani dem, che sono poi alcuni ministri, stanno perdendo terreno, accusati di gestire il loro potere senza intesa col Partito: a quanto pare, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri era a conoscenza del famigerato Recovery Plan quello ormai da riscrivere, e sembra che i big del Pd si siano molto risentiti.
Adesso il punto è esattamente quello posto da Renzi nell’intervista al Corriere della Sera: «Tocca al gruppo dirigente del Pd decidere se fare sul serio o no». L’ultimatum si allarga da Conte ai dem. Se Conte è nudo – come ha detto un autorevole parlamentare dem – di certo Zingaretti è senza cappotto, mentre fuori è tempo di neve.