Crescerà l’inflazione, aumenteranno i salari, ci sarà un po’ più produttività e il mondo del lavoro ritroverà un potere contrattuale maggiore. È il ritratto dei prossimi trenta/quarant’anni che Charles Goodhart, economista britannico, professore emerito della London School of Economics, e Manoj Pradhan, ex managing director di Morgan Stanley, raccontano in “The Great Demographic Reversal”, corposo saggio dalle idee provocatorie che, partendo da una fitta serie di osservazioni demografiche, cerca di tracciare la traiettoria dei prossimi decenni. Come si premurano di scrivere nelle prime pagine, «il futuro sarà del tutto diverso rispetto al passato».
In parte lo si intuisce già: gli allarmi sul crollo demografico della popolazione occidentale – fatto importante non solo in Italia, Paese che comunque costituisce un caso limite – cui gli autori aggiungono anche quello della Cina e dell’Europa orientale, si intersecano con l’aumento dell’età media della popolazione. Cosa succederà? Quale società e quale economia deriveranno da questi fattori?
Secondo i due autori la risposta, o meglio l’ipotesi «controversa» (ammettono) sarà un ribaltamento del panorama economico e sociale degli ultimi 40 anni. Non solo la fine della globalizzazione, insomma, ma la sua ritirata. Alle origini dello sviluppo planetario che fanno cominiciare dalla fine degli anni ’80 fino al 2018 sarebbe più di tutto l’ingresso nel mercato del lavoro di un’enorme quantità di forza-lavoro a livello globale.
Prima con l’ingresso della Cina nel quadro economico capitalista avvenuto grazie alle riforme di Deng Jiaoping, poi con il crollo dell’Unione Sovietica e la liberazione delle repubbliche dell’Europa dell’Est e infine con l’ingresso della generazione dei boomer e della popolazione femminile.
Risultato: «Il più grande ingresso di forza lavoro della storia». Di fronte a questa disponibilità sarebbe seguita una «generale accettazione di principi economici liberali» che ha ridotto le barriere agli scambi, fatto crescere il Pil mondiale e portato numerose nazioni a livelli di sviluppo impensabili. Ma anche a un calo costante dei salari dei Paesi più avanzati, delocalizzazioni e aumento delle disuguaglianze interne, con annessi i vari populismi sorti negli ultimi anni.
Arrivati a questo punto comincia la marcia all’indietro. Lo dice la demografia e soprattutto lo dice quella cinese: al declino della sua popolazione si aggiunge la fine delle migrazioni dalle aree rurali verso le città, fenomeno che aveva portato al boom degli anni ’90.
Insomma, il nastro si riavvolge: crollo delle nascite e invecchiamento della popolazione determineranno la scomparsa di forza lavoro a un’economia generata sulla sua abbondanza.
A tutto questo si aggiungeranno i costi, in crescita, per la cura e il mantenimento in salute di una sempre più ampia fetta della popolazione, segnata dalla diffusione della demenza senile, la quale «a differenza delle malattie della nostra epoca non accorcia la vita ma rende inabili le persone», aumentandone in modo implicito l’impatto. La ricerca medica e tecnologica del settore, ricordano, non sembra offrire al momento alcuna soluzione praticabile.
Il nuovo mondo però non somiglierà a quello, novecentesco, che ha preceduto la globalizzazione: sarà, appunto «del tutto diverso». L’output della produzione sarà, giocoforza, più basso («a meno di significative innovazioni sul fronte della produttività») ma la domanda di consumo, determinata da una ampia fetta di popolazione che non produce (gli anziani), sarà più alta.
L’effetto sarà una crescita strutturale dell’inflazione, un aumento dei salari dovuto alla maggiore forza contrattuale dei lavoratori e un aumento della tassazione su questi stessi stipendi proprio per la cura della popolazione più vecchia. Questo però non fermerà gli investimenti, che continueranno a crescere soprattutto nel settore dell’housing, e porterà a un rientro delle pulsioni populiste. Andrà così?
Ci sono tanti caveat che inducono a prendere con le molle questo scenario, come fa questo articolo del Financial Times. Prima di tutto quello della produttività e dell’innovazione tecnologica, aspetto che nel libro viene tenuto da parte non perché sia ignorato bensì perché, secondo i due autori, non avrà un impatto sufficiente per contrastare le dinamiche dell’invecchiamento.
Dopodiché il tema delle politiche sociali, in particolare le pensioni, che secondo il libro non andranno incontro a significative modifiche per ragioni di consenso elettorale (si prende come a modello, di nuovo, l’Italia). Il blocco elettorale degli anziani, sostengono tenderà a punire chi cercherà di introdurre tagli o innalzamenti delle soglie.
È un assunto che potrebbe essere smentito: forze politiche coraggiose potrebbero mettere in atto riforme più severe e modificare, almeno in parte, il quadro delineato. Anche se alla forza della demografia, soprattutto se considerata sotto un aspetto globale, sembra difficile opporre resistenza.