Più della televisione interattiva, i siti web di film e YouTube hanno cambiato il mio modo di guardare il cinema quando non sono in sala, ma a casa, cioè la massima parte delle volte. Credo che sia successo a molti.
Se vedere e rivedere a volontà un film intero o la scena, le scene, di maggiore interesse, è normale dai tempi delle videocassette e poi dei DVD, la sterminata offerta di Internet consente anche in questo ambito (come in tanti altri) ricerche velocissime, acrobazie, aberrazioni e contaminazioni. Fino alla possibilità di tagliare e cucire opere nuove.
Pioggia scopre, neve copre
da “I compari” (McCabe & Mrs. Miller), di Robert Altman
a colori, 1971
Quando arrivò a Presbyterian Church, John McCabe era un giocatore d’azzardo e un puttaniere. A fargli scegliere la destinazione un villaggio del Nordovest abitato da un pugno di minatori non troppo svegli, soli o con le famiglie era stata la seconda specialità.
Dicevano che ne avesse una terza, che fosse un pistolero, ma se lo era non intendeva né agire né svelarsi come tale.
McCabe si avvicina a Presbyterian Church su un cavallo seguito da un altro cavallo affardellato con i suoi bagagli. Sta cominciando a piovere, e da queste parti basta che cominci e poi viene sempre più forte.
La montagna è vicina, gli alberi sono radi e in breve ogni scolatoio si trasforma in torrente, le gocce, percuotendo la pietraia, sembra che scortichino i ciottoli e mettano a nudo la terra, le sue fibre vivissime e i suoi morti. Battono sulle foglie e sui rami come se volessero sottometterli.
Ma prima della pioggia è stato il vento l’assolo che McCabe ha sentito sopra la ritmica degli zoccoli al passo. Il vento gli ha svegliato nella mente una canzone che parla di lui, come succede quando arriviamo da soli in un posto nuovo: e anche la canzone è vento ritmato, ritmato dai bassi pizzicati di una chitarra.
Parla della sua vita e di quello che sarà, con lo stesso sarcasmo persuaso con cui McCabe segue la pista accidentata che lo porta al villaggio di minatori – poche case di legno ai piedi della chiesa presbiteriana che gli darà il nome, di legno anche lei e arroccata vicino al campanile di legno.
E sarà ormai uno scettico McCabe, perché viaggia sui trentacinque anni, età nel West di sogni già al tramonto. È al tramonto anche il West, in questo inizio Novecento, e come il West McCabe è ridotto a giocarsi le poche carte che gli restano in mano nell’estremo Nordovest, sotto la pioggia. E sarà ormai uno scettico, ma appena entra nell’abitato scende da cavallo e si toglie il pastrano.
McCabe disse qualcosa, una parola o due – al suo cavallo o a se stesso, probabilmente una sfida alla fortuna, un ciak si gira alla sua nuova impresa. Tra vento pioggia e distanza non lo sentì nessuno, ma non gli importava di farsi sentire.
Si tolse il pastrano e si calcò in testa la bombetta che, con il vestito scuro e il cravattino sopra la camicia bianca, affermava la sua supremazia sull’andirivieni di uomini e donne dimessi, quasi cenciosi, che doveva incontrare sulla via del saloon.
Uomini e donne che gli venivano incontro come trascinati dal torrente in cui si trasformava la strada principale, e unica, del villaggio; uomini che gli attraversavano la strada spingendo un carro nel fango, trasportando barili di qualcosa. Rimase quindi nella sua tenuta da giocatore e, sebbene piovesse, intanto che marciava verso il saloon si infilò in bocca un lungo sigaro prepotente.
Lo fece perché aveva sbirciato un abitante del villaggio che, sebbene al riparo sotto un portico, teneva in bocca la pipa con il fornello volto in basso.
Insomma quel giorno McCabe entrò a Presbyterian Church come un re, un condottiero: sicuro che la gente del villaggio fosse succube come le tribù dell’Amazzonia dove i maschi tengono la koteka volta in basso, mentre lui era di quelli che la portano eretta, e come no?
Quando aprì la porta la luce del saloon era umida e calda, gli occhi che incontrò e a cui offrì da bere erano tardi, sfiniti dal lavoro; ma nell’opacità serbavano barlumi sufficienti a riflettere il suo spirito di iniziativa.
John McCabe impiantò un bordello a Presbyterian Church, ma quando incontrò una puttana bellissima, inglese e bionda, non la divise con nessuno. La prese come amante e socia in affari. Restava da capire se lei avrebbe amato di più lui o la pipa da oppio. E se la compagnia mineraria lo avrebbe lasciato fare o avrebbe deciso di liquidarlo e gestire le puttane in monopolio.
Adesso è inverno, la terra si copre di neve, e augureremmo a McCabe di essere avvolto nel bozzolo soporoso del pastrano; o meglio ancora, in compagnia dell’inglese bionda in quel lettone sgangherato nella camera sopra il bordello. Ma invece dovrà vedersela con tre sicari inviati dalla compagnia per farlo fuori.
Non indossa il pastrano, ma la solita tenuta da giocatore. In pieno inverno il rigagnolo che si confondeva con la strada è diventato un vero corso d’acqua; e al posto della passatoia dove al suo arrivo aveva acceso il sigaro, hanno gettato un vero ponte a tralicci.
Se McCabe avesse visto Mezzogiorno di fuoco, forse scommetterebbe su se stesso.
Lo sceriffo Will Kane aveva eliminato quattro banditi in pochi minuti e con tutta la credibilità del real time, grazie alla sua perfetta conoscenza del campo di battaglia. McCabe deve affrontare solo tre uomini (sebbene rischino di diventare quattro anche loro, perché scendendo dal campanile dove era salito a spiare l’arrivo dei sicari trova il prete che lo minaccia proprio con il suo fucile, da lui lasciato pigramente in giro).
Comunque, come lo sceriffo Kane, McCabe è sul suo terreno, va a occhi chiusi, può indirizzare l’avversario nei punti a lui stesso più favorevoli.
Va bene, ma non basta. McCabe è il primo a sapere che era un altro West quello in cui avrebbe potuto contare sulla mira infallibile, e – meglio ancora su una tacita garanzia di invulnerabilità. Era un West satinato dal sole e votato alle mandrie e all’agricoltura, non un avanzo di bordelli per minatori mandati in bianco dalle mogli beghine, dove piove o nevica, sempre. Non questo secolo nuovo.
Ammazzare i sicari a uno a uno. Arrancare ferito sotto la neve senza tingerla di rosso, assorbendo il proprio sangue con la camicia da puttaniere, il panciotto da giocatore, la giacca da pistolero. Mentre il prete era stato ucciso e il campanile di Presbyterian Church bruciava, con tutta la popolazione occupata a spegnere l’incendio, McCabe zoppicò attraverso il villaggio come uno spettro scuro nella chiarissima luce nevosa.
Aveva scaricato senza errori il suo fucile da assassino e la piccola derringer nascosta nel taschino, ultima risorsa del baro smascherato. Aveva risposto ai colpi a bruciapelo, aveva aperto un buco nella fronte di qualcuno, chissà chi. Ora si trascinava, sempre più solo a ogni passo, più sanguinante in un freddo senza riscontro, attonito nel suo personale labirinto, nell’impossibilità di dare un senso a quel villaggio, bordello, casa, ospedale, letto.
Poi si fermò e, questione di minuti, la neve lo ricoprì trasformandolo in un uomo di neve. Poco lontano insisteva la vita, splendida e scriteriata come la faccia dell’inglese bionda distorta dall’oppio nella nuova fumeria, anche lei con una canzone in mente, ma con la sorte di soffermarsi ancora qualche tempo.
da “Il lampo nel sambuco della siepe” di Massimo Bocchiola, La nave di Teseo, pp. 234, 14 euro