Transizione sostenibileL’idrogeno verde diventa sempre più importante e l’Italia deve ritagliarsi un ruolo chiave adesso

Dai trasporti al settore chimico, il combustibile derivato dall’acqua sarà uno dei protagonisti in ambito energetico nei prossimi anni. Enel e Snam sono già tra le aziende in prima linea nel settore, ma la politica deve riuscire a garantire standard in linea con gli obiettivi di lungo periodo indicati dall’Unione europea

Lapresse

Negli ultimi mesi molte compagnie del settore dei trasporti hanno annunciato di voler investire nel mercato dell’idrogeno. Lo scorso luglio Huyndai aveva firmato un accordo con alcune aziende cinesi per la fornitura di 4mila tir alimentati a idrogeno: un primo passo di un progetto in cui l’azienda coreana prevede di vendere solo in Cina circa 30mila mezzi pesanti a idrogeno entro il 2030.

A settembre Airbus aveva annunciato che proverà a sviluppare un aereo a idrogeno nei prossimi cinque anni, nonostante i tanti ostacoli che richiederà la progettazione delle tecnologie. E a inizio dicembre Toyota ha fatto sognare gli amanti delle barche presentando il modulo Rexh2, una soluzione di alimentazione a idrogeno per uso marittimo basato sulla tecnologia delle celle a combustibile sviluppata dalla casa giapponese partendo da una tecnologia ibrida elettrica.

Se n’è parlato anche per in Italia: nel 2023 dovrebbe arrivare la prima linea ferroviaria con treni a idrogeno per sostituire quelli diesel nel Sebino e in Valcamonica, nel progetto H2iseO che prevede anche la realizzazione di nuove centrali per la produzione di idrogeno.

L’evoluzione che il settore dei trasporti sembra aver messo nel mirino, con l’idrogeno al centro di molti progetti, rientra in un più ampio processo di decarbonizzazione che punta a tagliare le emissioni di CO2.

«Il problema è che ci sono diversi tipi di idrogeno e se non si usa quello verde non può esserci alcuna transizione green». A smorzare l’entusiasmo è il professor Alessandro Abbotto, direttore del dipartimento di Scienza dei Materiali Centro di Ricerca Energia Solare Mib-Solar Università di Milano – Bicocca. «Nel mondo si producono circa 70 milioni di tonnellate l’anno, in forte aumento se consideriamo che nel 2010 erano 50 milioni. Ma gran parte dell’idrogeno che produciamo non è a emissioni zero».

L’idrogeno verde è quello prodotto da energia solare o eolica. Ma oggi quello maggiormente usato, circa il 95 per cento della produzione di idrogeno, è “grigio”, cioè prodotto da idrocarburi; mentre quello blu, più utilizzato del verde, è più eco-friendly grazie a processi di cattura della CO2. «Il blu può andar bene in una prima fase di transizione, in attesa che il verde sia producibile su grande scala. Ma anche quello può essere inquinante», dice il professor Abbotto.

È l’idrogeno verde, prodotto dall’elettrolisi dell’acqua – scindendola in idrogeno e ossigeno – che può diventare un fattore nel raggiungimento degli obiettivi climatici globali di lungo periodo, contribuendo alla decarbonizzazione delle industrie ad alta intensità energetica: aviazione, trasporto marittimo e trasporto pesante, settore chimico.

Al momento nei trasporti è un fattore ancora marginale. «Gran parte dell’idrogeno – spiega Abbotto – si usa nei processi di raffinazione del petrolio e per la sintesi dell’ammoniaca, oltre a diversi usi industriali minori come la preparazione del metanolo e in alcune plastiche sintetiche».

Il primo lavoro da fare, suggerisce il professor Abbotto, è allontanare l’idea che l’idrogeno di per sé sia pericoloso: «È un gas infiammabile e come tutti i gas infiammabili deve essere utilizzato con attenzione. Ma viene prodotto e utilizzato da decenni. La produzione e la conservazione dell’idrogeno richiedono attenzione al pari del gas metano, la stessa benzina ha una soglia di infiammabilità più bassa».

Il vero interrogativo al momento, più che sulla sicurezza, sembra essere quello della capacità di produrne su larga scala. «Dobbiamo migliorare la capacità di conversione: a parità di energia verde si deve poter produrre più idrogeno. Quindi dobbiamo lavorare alla realizzazione di elettrolizzatori ancora più grandi e più efficienti», spiega Abbotto.

Aumentare la capacità di produzione deve contribuire anche a un altro cambiamento fondamentale: l’abbassamento dei prezzi. Un recente report stilato da Credit Suisse parlava di costi quasi dimezzati entro dieci anni, da circa 5 a 2,5 dollari al chilo: «Entreranno in gioco diversi fattori, come per esempio il fatto che il costo del carbonio possa muovere al rialzo il costo dell’idrogeno grigio. Vediamo inoltre una flessione nel mercato dell’elettrolisi, aiutata da progetti pilota di aziende energetiche e servizi di pubblica utilità».

Una delle chiavi di lettura più gettonate nel settore è che l’abbassamento dei costi delle rinnovabili e degli elettrolizzatori negli ultimi anni abbiano avuto un ruolo decisivo nella spinta verso la hydrogen economy. «Ad oggi sono cambiati fondamentalmente tre fattori: riduzione rilevante del costo delle rinnovabili; riduzione del costo degli elettrolizzatori grazie anche all’evoluzione tecnologica e un focus crescente sulla necessità di avanzare spediti nel processo di decarbonizzazione. Il terzo aspetto si sta traducendo in policy che stabilizzano il quadro regolatorio, attraendo risorse finanziarie e accelerando ulteriormente il primo e il secondo fenomeno. Molto simile a quanto visto sul solare circa 10-15 anni fa», dice a Linkiesta Cosma Panzacchi, Evp Business Unit Hydrogen di Snam.

Proprio Snam è uno degli attori principali nella transizione energetica verso l’idrogeno verde. Nel piano 2020-2024 di Snam, circa il 50 per cento degli investimenti totali è dedicato a rendere la sua infrastruttura hydrogen-ready, quindi l’ammodernamento dei 1.200 chilometri di rete: «Già oggi oltre il 70 per cento dei tubi dei metanodotti sono pronti a trasportare idrogeno e sono stati definiti degli standard per l’acquisto di componenti esclusivamente hydrogen ready», fanno sapere da Snam. Sono inoltre previsti l’avvio della conversione di centrali di compressione in ibride gas/elettrico, e la realizzazione della pipeline virtuale in Sardegna con i primi tratti di rete.

Ma non solo. A inizio dicembre è nata una coalizione globale per sviluppare idrogeno verde: sette grandi aziende del settore – Acwa Power, Cwp Renewables, Envision, Iberdrola, Ørsted, Snam e Yara – hanno annunciato l’avvio di una nuova alleanza per accelerare la scala e la produzione di idrogeno verde di circa 50 volte nei prossimi sei anni e contribuire a decarbonizzare alcuni dei settori a più elevate emissioni di CO2 – la generazione elettrica, l’industria chimica, la produzione di acciaio e la navigazione.

«Questa nuova coalizione avrà un ruolo chiave nel favorire una sempre maggiore cooperazione globale e sviluppare i progetti necessari per portare i costi dell’idrogeno sotto la soglia dei 2 dollari al chilogrammo più velocemente delle attese», ha commentato l’amministratore delegato di Snam Marco Alverà.

Anche Enel giocherà un ruolo fondamentale per l’espansione del mercato dell’idrogeno: ha già annunciato l’intenzione di accrescere la capacità di idrogeno verde a oltre 2 GW entro il 2030. Enel è anche tra i promotori dell’iniziativa “Choose Renewable Hydrogen” con cui dieci utility europee hanno chiesto alla Commissione uropea di dare priorità ai percorsi più efficienti, sostenibili e convenienti per decarbonizzare l’economia dell’Unione e creare posti di lavoro, puntando su rinnovabili, elettrificazione e – nei settori più difficili da decarbonizzare – valorizzare il ruolo chiave dell’idrogeno rinnovabile come soluzione economica e sostenibile. L’azienda si è anche dotata di una Business unit dedicata allo sviluppo e alla gestione di tutti i progetti che riguarderanno l’idrogeno verde: la “Hydrogen Business Unit”.

Da Enel fanno notare che «pur non essendo un’alternativa all’elettrificazione, che rimane la via più economica e semplice per decarbonizzare, l’idrogeno verde rappresenta un complemento di questo processo, una delle soluzioni energetiche più promettenti, convenienti e sostenibili per abbattere le emissioni della quota restante».

Ad esempio in Italia tra il 25 e il 30 per cento delle ferrovie non sono sono elettrificate, ma alcuni territori sono morfologicamente difficili elettrificare, come la Sardegna: in quel caso l’idrogeno verde può offrire soluzioni ecosostenibili per la sostituzione dei convogli green.

Anche la politica ha cambiato paradigma: nell’ultimo “Piano nazionale integrato energia e clima” (Pniec) sono individuati obiettivi relativi alla crescita delle rinnovabili e alla decarbonizzazione, con un ruolo importante giocato proprio dall’idrogeno. In particolare, a metà novembre, il ministero dello sviluppo economico ha recentemente adottato il documento “Strategia nazionale dell’idrogeno – Linee guida preliminari” in cui si pone l’obiettivo di investire 10 miliardi di euro nel settore; soddisfare il 2 per cento della domanda finale di energia al 2030 (con prospettiva del 20 per cento al 2050) con l’idrogeno; alimentare i nuovi elettrolizzatori sia con nuova capacità rinnovabile sia con capacità rinnovabile esistente (idrogeno verde).

«La transizione ecologica è dietro l’angolo e i suoi assi portanti saranno le rinnovabili, l’efficienza, l’innovazione tecnologica. Ma noi ancora facciamo fatica», dice a Linkiesta la vicepresidente della commissione Ambiente e territorio della Camera Rossella Muroni.

«Per noi diventa fondamentale presidiare la parte tecnologica. Anche perché abbiamo già un bel vantaggio come Paese: quello geografico; siamo già fisicamente interconnessi con il Nord Africa, e in Italia stessa si può produrre energia solare che serve per fare l’idrogeno verde. L’Italia non può non avere un ruolo di primo piano: abbiamo già un’infrastruttura per il trasporto, la rete del gas, che può essere trasformata per il trasporto dell’idrogeno. La grande sfida oggi è legata perlopiù al processo di individuazione di strumenti giusti per accompagnare nella transizione le imprese; stiamo parlando di passaggi che riguardano il digitale, la tecnologia, e naturalmente il procedere dello sviluppo sostenibile», spiega Muroni.

I progetti dell’Italia servono per provare a tenere il Paese in scia degli altri Stati membri dell’Unione europea, le cui istituzioni hanno già dimostrato di voler assumere un ruolo centrale a livello globale nella hydrogen economy.

Lo scorso luglio la Commissione europea ha delineato la sua “Hydrogen strategy” come volano fondamentale per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050: l’idrogeno verde – così come i biocarburanti e i biogas sostenibili – sarà proprio il pilastro che reggerà la transizione soprattutto nei settori difficili da elettrificare.

«La priorità è sviluppare l’idrogeno rinnovabile, ma nel breve e nel medio periodo servono altre forme di idrogeno a basse emissioni di carbonio per ridurre rapidamente le emissioni e sostenere la creazione di un mercato redditizio», si legge nella nota della Commissione dello scorso luglio.

La Commissaria per l’Energia Kadri Simson aveva detto: «Considerato che il 75 per cento delle emissioni di gas serra dell’Unione viene dal settore dell’energia, abbiamo bisogno di un cambio di paradigma per raggiungere i traguardi che ci siamo fissati per il 2030 e il 2050. Ora che il calo dei prezzi dell’energia rinnovabile lo rendono un’opzione praticabile per un’economia climaticamente neutra, l’idrogeno svolgerà un ruolo chiave».

In tutto il mondo il mercato dell’idrogeno è in grande espansione e si prevede che nei prossimi anni gli investimenti pubblici e privati possano moltiplicarsi esponenzialmente per velocizzare l’innovazione dei sistemi energetici, da cui deriveranno nuove opportunità di creazione di valore per gli operatori lungo l’intera filiera.

Lo scorso novembre la cinese Sinopec ha annunciato l’intenzione di redistribuire le risorse in questo settore: una dichiarazione che rientra nel più grande progetto del Dragone annunciato da Xi Jinping a settembre sull’intenzione di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060.

Allo stesso modo Giappone e Australia hanno appena firmato un nuovo patto per diventare le prime super potenze in termini di gestione e produzione di idrogeno: un consorzio nippo-australiano inizierà a produrre idrogeno – però idrogeno derivante dalla lignite – in un progetto pilota da 500 milioni di dollari australiani (370 milioni di dollari) che è considerato il primo passo nella creazione di catene di approvvigionamento di energia a emissioni zero a livello mondiale.

Ovunque l’idrogeno sembra destinato a diventare una risorsa fondamentale nel breve, medio o lungo periodo nei piani energetici nazionali: non è difficile immaginare un futuro in cui sarà una delle risorse più ambite in assoluto. Ma, come spiega ancora l’onorevole Muroni, la concorrenza, almeno per il momento, non dovrebbe dare problemi all’Italia né all’Unione europea, né ad altri attori. Anzi, potrebbe aiutare a creare vantaggi di scala per tutti. «È vero – dice – che è importante arrivare in tempo, e chi occuperà per primo quello spazio avrà un significativo beneficio per il futuro. Ma all’idrogeno sono interessati aziende petrolifere, chimiche, elettriche, e via discorrendo. È un segnale positivo dal punto di vista ambientale. Ed è anche un settore che si presta molto alla collaborazione internazionale. Anzi, proprio dalla cooperazione tra grandi Paesi si possono avere risultati soddisfacenti per tutti. Le parole chiave, a tutte le latitudini, diventano investimenti e tecnologia».

X