Un accordo transfrontaliero tra Giappone e Australia per diventare le prime super potenze in termini di gestione e produzione di idrogeno. È questo il piano dei due governi, raccontato dal Financial Times, che ha sorpreso il mercato globale delle energie sostenibili. Un consorzio nippo-australiano inizierà a produrre idrogeno dalla lignite in un progetto pilota da 500 milioni di dollari australiani (370 milioni di dollari) che è considerato il primo passo nella creazione di catene di approvvigionamento di energia a emissioni zero a livello mondiale.
Le società Kawasaki Heavy Industries, J-Power e Shell Japan si sono unite all’australiana AGL Energy e a diversi partner internazionali per produrre, liquefare e spedire idrogeno in Giappone. Intendono bruciare parte dei 5 miliardi di tonnellate di lignite nella Latrobe Valley (sufficienti per alimentare Victoria per più di 500 anni) per produrre idrogeno. A dicembre la Heavy Industries ha lanciato il primo vettore di idrogeno al mondo, che spedirà il carburante per 9.000 km dall’Australia orientale a Kobe, in Giappone. Nella città giapponese è già stata installata una centrale elettrica a turbina a gas alimentata interamente a idrogeno, che fornirà calore ed elettricità ai vicini edifici comunali. «La tecnologia Kawasaki collegherà i siti di produzione ai consumatori di energia, e così facendo darà vita alla strada dell’idrogeno», afferma Motohiko Nishimura, capo del centro di sviluppo dell’idrogeno di Kawasaki Heavy.
Il piano prevede poi, continua l’articolo, di iniettare il carbonio generato nei bacini sottomarini nel vicino Stretto di Bass. Il progetto, cofinanziato da entrambi i governi, include anche lo sviluppo della prima nave da trasporto di idrogeno liquido al mondo. Uno degli obiettivi del governo di Tokyo è quello di poter fornire al Giappone, una nazione che importa il 90% della sua energia, un percorso praticabile verso la decarbonizzazione.
Nella letteratura scientifica l’idrogeno è l’elemento più leggero e abbondante nell’universo, ed è per definizione tra le fonti di energia più pulite in grado di fornire carburante per le auto, calore per le case e immagazzinare elettricità. Nessuno Stato però, ricorda il Financial Times nel suo articolo, è mai riuscito a realizzare un progetto a lungo termine con esso, per diversi motivi: gli alti costi di produzione rispetto alla combustione di combustibili fossili, gli ostacoli nel trasporto del carburante, la mancanza di domanda e l’incapacità della cella a combustione a idrogeno di competere con i motori a combustione interna o le batterie agli ioni di litio nei veicoli elettrici. Detto questo, le aziende coinvolte credono che la loro idea possa diventare un catalizzatore verso la creazione di un’economia globale dell’idrogeno, che dovrebbe valere fino a 11 trilioni di dollari entro il 2050, secondo la Bank of America.
L’impianto nella valle del Latrobe è comunque solo uno dei numerosi megaprogetti sull’idrogeno in fase di pianificazione. Si contano infatti altri grandi attori, come l’Arabia Saudita, la Cina e perfino la Spagna, interessati a questo elemento.
C’è chi ancora nutre, tuttavia, molto scetticismo nei confronti di una transizione energetica verso l’idrogeno. Il co-fondatore di Tesla Elon Musk, per esempio, ha liquidato le celle a combustibile a idrogeno come «incredibilmente stupide», dicendo che è inefficiente usarle in un’auto rispetto a una batteria agli ioni di litio che si ricarica direttamente da un pannello solare. Altri critici si chiedono invece se la produzione di idrogeno da combustibili fossili possa mai essere resa efficiente in termini di costi o inquinamento, dato che l’industria finora non è riuscita a dimostrarlo in una tesi scientifica.
L’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici sta comunque guidando gli investimenti nell’idrogeno, mentre le nazioni si preparano a rispettare i loro impegni per ridurre le emissioni di gas serra. La BP plc e il gruppo danese per l’energia eolica Orsted hanno annunciato i piani per un progetto di idrogeno in Germania, mentre Airbus ha recentemente svelato i piani per gli aerei passeggeri alimentati a idrogeno.
«L’applicazione più meravigliosa dell’idrogeno è la capacità per noi di continuare quello che abbiamo fatto per centinaia di anni», afferma Alan Finkel, capo scienziato australiano e autore della strategia sull’idrogeno Nippo-australiana. «Ovvero spedire energia da un continente in cui è abbondante ai continenti in cui scarseggia». In questo caso il Giappone. Tokyo ha a lungo considerato l’idrogeno come la potenziale alternativa ai combustibili fossili: i suoi piani prevedono la miscelazione dell’idrogeno con il gas naturale per bruciare nelle centrali elettriche e avere 800.000 veicoli a idrogeno sulla strada entro il 2030, un importante passo avanti rispetto ai 3.757 venduti in Giappone alla fine del 2019. Il primo ministro giapponese, Yoshihide Suga, ha sottolineato l’importanza dell’idrogeno per raggiungere nel Paese l’obiettivo di emissioni zero nel 2050, descrivendolo come «una chiave vitale per l’energia pulita».
La domanda giapponese di idrogeno riflette la sua quasi totale mancanza di idrocarburi domestici. La sua forte dipendenza dalle importazioni di petrolio dal Medio Oriente è fonte di costante preoccupazione per l’industrie. Per tentare di sfuggire alla sua dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, il Giappone ha così investito pesantemente nell’energia nucleare, ma il disastro di Fukushima nel 2011 ha praticamente chiuso il capitolo. Per quanto riguarda le energie rinnovabili: le isole montuose e densamente popolate del Giappone, spiega l’articolo, sono un luogo difficile per costruire grandi parchi solari, mentre la sua ripida pendenza continentale lascia poco spazio all’eolico offshore.
E così è arrivato l’idrogeno. Toyota, per esempio, sta lanciando la seconda generazione della sua berlina a celle, mentre Honda offre una versione a celle a idrogeno del suo veicolo Clarity. Mentre per le Olimpiadi di Tokyo nel 2021, il Giappone intende disporre di autobus a idrogeno per trasportare i visitatori. «I veicoli elettrici sono certamente avanti rispetto a quelli a idrogeno in termini di sviluppo, ma penso che l’idrogeno stia recuperando terreno grazie ai progressi nei serbatoi di carburante per lo stoccaggio di idrogeno ad alta pressione, nella tecnologia delle celle a combustibile e nella produzione di idrogeno da energie rinnovabili», afferma John Andrews al Financial, professore alla RMIT University di Melbourne.
A muovere alcune critiche sono anche i gruppi ambientalisti, che hanno anche sollevato obiezioni al progetto Latrobe per l’utilizzo della lignite. Ogni anno infatti vengono prodotte circa 70 milioni di tonnellate di idrogeno, principalmente per l’utilizzo nelle industrie pesanti, come la raffinazione del petrolio, l’ammoniaca e la produzione di acciaio. Nella stragrande maggioranza dei casi viene prodotto bruciando combustibili fossili e le emissioni generate non vengono catturate e immagazzinate. Questi metodi tradizionali ad alta intensità di carbonio possono produrre il cosiddetto idrogeno “grigio” al costo di circa 1 dollaro per kg, contro i 3-7,5 al kg per l’idrogeno “verde”, che è realizzato attraverso l’uso di energia rinnovabile, secondo il Financial Times.
Ma i costi delle energie rinnovabili e degli elettrolizzatori utilizzati per generare idrogeno dall’acqua stanno diminuendo rapidamente. «Pensiamo di raggiungere un punto di svolta in cui l’idrogeno verde potrebbe soddisfare il nostro fabbisogno energetico, alimentare le nostre auto, riscaldare le nostre case ed essere utilizzato in industrie che non hanno un’alternativa economicamente valida ai combustibili fossili», afferma Haim Israel, responsabile globale delle tematiche strategia di investimento in BofA.
Senza contar che entro la metà del 2020 i veicoli commerciali pesanti alimentati da celle a combustibile a idrogeno potrebbero essere più competitivi dei camion diesel, e entro il 2030 le auto a celle potrebbero competere con i veicoli elettrici in termini di costo totale di proprietà. «Quelli che abbracciano la transizione energetica possono sopravvivere e persino prosperare, mentre quelli che non rischiano di essere confinati nella storia» conclude Neil Beveridge, analista del gruppo di investimento Bernstein.