Nel nostro Paese c’è un’ulteriore emergenza da affrontare, oltre a quella sanitaria. La sostenibilità economica e sociale del Sistema Sanitario si è infatti rilevata non più attuabile, palesando la necessità di un’adozione di nuove misure strutturali. In particolare è emersa l’urgenza di trovare un punto di incontro tra il settore pubblico e quello privato. È questo il quadro riportato dal “IX Rapporto RBM-Censis: Sanità Pubblica, Privata ed Intermediata” di Intesa Sanpaolo RBM Salute.
I bisogni di cura dei cittadini sono cambiati e la spesa sanitaria privata è ormai da un decennio una componente stabile del finanziamento del Sistema Sanitario nel nostro Paese. In particolare il pagamento diretto delle cure da parte dei cittadini è indispensabile per sostenere i maggiori bisogni di cura che caratterizzano alcuni stati patologici, o situazioni sanitarie specifiche. Un sistema sanitario universalistico è incompatibile con una necessità strutturale di integrazione individuale, pagata direttamente dai cittadini malati o più deboli, si legge nel rapporto.
In questo contesto appare indispensabile l’istituzione di un secondo pilastro sanitario complementare, al quale affidare la gestione delle cure non erogate, o non erogabili, dal S.S.N., ricorrendo a strumenti privati (fondi e polizze), ma nell’ambito di un governance pubblica, che ne assicuri l’armonizzazione con i principi fondamentali del servizio pubblico, per garantire la tenuta economica e sociale del sistema sanitario del nostro Paese.
«C’è una importante evidenza che emerge da questa ricerca: il Covid-19 non dovrebbe essere considerato solo come un evento pandemico, ma come una “Sindemia”, ovvero una contestuale presenza di più emergenze sanitarie, che si coniugano con una crisi economica» spiega Marco Vecchietti, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo RBM Salute. «Questo fenomeno ha mostrato, da un lato, che le risorse a disposizione della sanità pubblica non sono sufficienti a gestire un’emergenza sanitaria sistemica, dall’altro che, proprio per fronteggiare l’eccezionalità della situazione, il Servizio Sanitario Nazionale ha dovuto accettare la discontinuità della cura delle patologie ordinarie e croniche di cui molti cittadini non possono fare a meno» continua Vecchietti.
Marco Vecchietti
La pandemia da Covid-19, si legge ancora nel Rapporto, ha così evidenziato come la sanità privata, ed in particolare l’assicurazione sanitaria che ne “intermedia” l’accesso per i cittadini, possa liberare preziose risorse aggiuntive, sia termini di capacità assistenziali, sia di capacità economiche per la tutela della salute pubblica. In base ai dati rilevati, il 32,9% di italiani durante l’emergenza Covid-19 ha rinviato le prestazioni sanitarie. Si tratta proprio dei “più fragili”, ovvero del 63,7% di chi ha un pessimo stato di salute, del 45,6% di chi ha malattia cronica, del 36,5% di chi ha figli di età fino a 3 anni, del 41% di chi ha figli minori con età superiore ai 3 anni. Nell’ultimo anno, inoltre, sono stati differiti circa il 40% ricoveri (-309.017), 13,3 milioni accertamenti diagnostici, 9,6 milioni visite specialistiche.
Per il 66,6% degli italiani, il miglioramento e la protezione della propria salute sarà la preoccupazione principale per i prossimi anni e il 90,8% dei cittadini richiede maggiore protezione in caso di nuove emergenze sanitarie. «Del resto la pandemia ha finito esclusivamente per stressare una serie di problematiche che erano già presenti nel nostro Sistema Sanitario. Pensiamo, ad esempio, alla differenza di capacità assistenziale su base territoriale. Una differenza che, in condizioni ordinarie, veniva affrontata attraverso gli spostamenti da una Regione all’altra per i casi clinici più gravi, come quelli oncologici, o per interventi specializzati. Ma ora, con il blocco degli interventi programmati e le limitazioni agli spostamenti, il problema è diventato molto più rilevante. Inoltre non dimentichiamo le liste di attesa, ferme in questi mesi e che, una volta superata la pandemia, costituiranno un ulteriore onere da smaltire» puntualizza Vecchietti.
Nel Rapporto vengono sottolineati anche gli effetti di medio-lungo periodo delle disuguaglianze territoriali: indici di salute maggiori ed aspettative di vita più lunghe si riscontrano al Nord, anche per effetto di più elevati livelli di prevenzione garantiti alla popolazione. In questa prospettiva Lo sviluppo di fondi sanitari territoriali è un’altra soluzione, per un regionalismo differenziato e «non diseguale» al fine di dare attuazione a politiche sanitarie integrate tra pubblico e privato.
Per quanto riguarda la spesa sanitaria privata, questa interessa prevalentemente le persone con un maggior fabbisogno di salute e gli anziani. Il motivo si deve anche alla radice culturale presente nel nostro Paese, dove l’assicurazione sanitaria, si legge nel report, è considerata ancora come un costo e non come un investimento per la tutela della propria salute.
Per favorire una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini bisognerebbe «ridefinire degli ambiti prioritari di tutela del Servizio Sanitario Nazionale con un superamento del sistema dei livelli essenziali di assistenza onnicomprensivi e innovarne gli strumenti attuativi, diversificandone le fonti di finanziamento» aggiunge Vecchietti.
Anche per questo motivo, si dovrebbe puntare ad una sanità integrativa più accessibile per i cittadini, mettendo a disposizione di tutti l’esperienza di successo maturata nel settore del lavoro dipendente. Il modello di riferimento potrebbe essere quello introdotto nel 2001 per la previdenza complementare, con benefici fiscali estesi anche agli autonomi, ai liberi professionisti e a chi ha lavori flessibili, categorie che hanno subito più di altre l’emergenza Covid. Intesa Sanpaolo RBM Salute, a tal proposito, è già pronta a svolgere un ruolo importante in questa direzione, mettendo a disposizione “nuovi” piani sanitari integrativi, finalizzati ad ampliare la protezione della salute dei cittadini, a partire dalle aziende e dalle famiglie che già s’avvalgono dei servizi del Gruppo Intesa Sanpaolo.
«Dalla rilevazione del 2019, le persone intenzionate ad attivare una polizza assicurativa sono cresciute del 50 per cento. Tuttavia si tratta di poco più del 30 per cento dei cittadini. La restante parte della popolazione continua a ritenere più conveniente fronteggiare di tasca propria eventuali emergenza sanitarie. Tutto questo significa, nonostante la pandemia in corso, che c’è ancora bisogna di campagne informative che illustrino l’importanza delle tutele di sanità integrativa, e di benifici fiscali in grado di incentivare i cittadini più fragili ad attivare una polizza sanitaria» conclude Vecchietti.