Esistono tre versioni di Revolution. Quella più lenta con gli “shoo be doo wop”, intitolata “Revolution 1”, fu registrata per prima anche se apparve all’interno del White Album tre mesi più tardi del singolo hard rock. La canzone è scritta sotto forma di dialogo immaginario fra John Lennon e un rivoluzionario.
È un dialogo in cui quest’ultimo rimane in silenzio mentre ascoltiamo le varie scettiche contestazioni di John. Ciascuna strofa comincia con due versi in cui John concorda in parte con l’interlocutore: «You say you want a revolution», che continua con «Well, you know, we all want to change the world» (dici di volere una rivoluzione; be’, sai, vogliamo tutti cambiare il mondo).
Questo schema si ripete diverse volte: «You say you’ve got a real solution» fa scattare la risposta: «Well, you know, we’d all love to see the plan» (dici di avere una soluzione; be’, sai, ci piacerebbe tanto sentire il tuo piano); e «You tell me that it’s evolution» è seguito da «Well, you know, we all want to change the world» (mi dici che è un’evoluzione; be’, sai, tutti vogliamo cambiare il mondo).
È interessante notare che, forse in riferimento allo status di milionario di John, uno dei ritornelli recita: «You ask me for a contribution/Well, you know, we’re all doing what we can» (mi chiedi un contributo; be’, sai, facciamo tutti quello che possiamo).
Nel terzo ritornello di ciascuna strofa, John articola la sua distanza critica: «But when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out» (ma quando parli di distruzione, sappi che non puoi contare su di me), e «But if you want money for people with minds that hate/All I can tell you is, brother, you’ll have to wait» (ma se vuoi soldi per menti che odiano, posso solo dirti: fratello, dovrai aspettare), e ancora: «But if you go carrying pictures of Chairman Mao/You ain’t gonna make with anyone anyhow» (ma se vai in giro con le immagini del presidente Mao, non combinerai mai niente con nessuno). Il coro consiste in tre ripetizioni del verso: «Don’t you know it’s gonna be all right» (andrà tutto bene!).
Anche se non compare nella versione hard rock, Lennon aggiunge la parola «in» alla fine del sesto verso, che quindi diventa: «Don’t you know that you can count me out (in)» [“Sai che non puoi contare su di me (puoi)”].
Abbiamo messo la parola aggiunta fra parentesi per imitare il modo in cui è cantata – fuori della sintassi grammaticale e musicale – e perché la parola non compare nel testo stampato sul libretto del White Album. In nessun punto di nessuna versione Lennon canta: «Count me in», anche se alcuni racconti successivi, incluso quello dello stesso Lennon due anni dopo a Rolling Stone, sostengono il contrario.
La continua rassicurazione che «andrà tutto bene» non è esattamente una chiamata alle armi; il ritornello è sottolineato dagli «shoo be doo wop» in sottofondo.
Nella versione hard rock, il ritornello non viene ripetuto per intero e non ci sono «doo wop»; invece vengono cantate, o per meglio dire urlate, le parole «all right» per otto volte. Escluso l’«in», il testo è una ferma condanna della rivoluzione come strategia politica. Si potrebbe persino pensare che la canzone rifiuti il cambiamento sotto forma di «evoluzione», di «vera soluzione» o di «piano», persino sotto forma di nuove costituzioni o istituzioni, a favore dell’invito a «change your head» o «free your mind instead» («cambia il tuo modo di pensare», «libera la mente invece»).
La più lenta “Revolution 1”, con il suo tono apparentemente sarcastico e i compiaciuti «shoo be doo wop» è la più difficile da considerare come inno radicale. Forse è per questo motivo che la maggior parte di coloro che successivamente rivendicarono “Revolution” come canzone di protesta fanno riferimento alla versione hard rock del singolo, persino quando riportano la frase «count me in», accennata (ma non cantata davvero) solo nella versione lenta del White Album.
Il singolo, con il suo ritmo aggressivo, la voce aspra e qualche urlo qua e là, trasmette rabbia. Le distorsioni della chitarra richiamano un amplificatore sul punto di esplodere per il troppo sforzo, suggerendo forse violenza.
È di gran lunga la canzone con il suono più distorto dei Beatles, come ricordava il produttore George Martin: «Lì andammo di distorsione, e i tecnici si lamentarono parecchio. Ma era quella l’idea: era la canzone di John e l’idea era quella di spingersi fino al limite. Be’, ci spingemmo anche oltre».
L’effetto venne raggiunto collegando le chitarre direttamente alla console e permettendo all’ago di schizzare sul rosso. Non solo questa drastica iniziativa sconvolse i tecnici del suono, che credevano che evitare la distorsione fosse uno dei loro compiti più elementari, ma l’effetto – oggi molto comune nell’hard rock – sarebbe sembrato estremamente aspro e insolito all’ascoltatore medio dell’epoca. In ogni caso, le parole non sono mitigate da quell’«(in)» e, dato che si trattava della seconda versione, ciò suggerisce che l’intenzione finale tendesse verso il «count me out».
“Revolution 9” sembra assomigliare poco alle altre versioni; è più simile a una scrittura rimaneggiata, in cui “Revolution 1” venne sommersa da un miscuglio di suoni elettronici e frasi senza senso («Take this brother, may it serve you well» – Prendi questo, fratello, spero ti sia utile. «The Twist, the Watusi». «Hold that line, block that kick» Il twist, i Watussi. Tieni il punto, para il calcio).
Le parole «number nine», che ricordano un vecchio test radio, ricorrono per tutta la canzone. Vari biografi hanno osservato che il numero nove aveva un significato particolare per Lennon (era la sua data di nascita e così via). Tuttavia lo stesso John raccontò alla stampa che i suoni di “Revolution 9” volevano richiamare il frastuono di un’eventuale rivoluzione: caotico, dissonante, violento. Quindi, di nuovo, considerando i testi come elementi di un insieme in rapporto teleologico fra di loro, le intenzioni sembrano contrarie alla rivoluzione, non a favore.
Tuttavia esistevano due versioni meno note e più difficilmente reperibili. Una era la demo originale registrata da Lennon per far ascoltare la canzone agli altri Beatles. La registrazione risale a prima che il testo fosse completo; si sente solo «count me out».
Esiste anche un video promozionale registrato e trasmesso prima dell’uscita del White Album (visibile su YouTube) – un misto fra gli stili di “Revolution 1” e “Revolution”, in cui Lennon canta: «Count me out (in)», anche se sono ancora presenti i «doo wop». Vale la pena di osservare che il regista del video, Michael Lindsay-Hogg, ricordava un’unica richiesta specifica da parte di John: «Puoi fare quello che vuoi, ma credo dovresti farmi un primo piano» al verso «if you go carrying pictures of Chairman Mao, you ain’t gonna make it with anyone anyhow», perché «quello è il testo della canzone».
Visti nell’ottica della finalità della canzone, le intenzioni sembrano oscillare fra l’«out» e l’«in», nonostante il messaggio complessivo resti piuttosto antirivoluzionario. Per questa ambiguità, John Lennon fornisce una spiegazione opportunamente ambivalente:
«In una versione dicevo “puoi contare su di me” riguardo alla violenza, sì o no, perché non ero sicuro. Ma la versione che facemmo uscire diceva “non puoi contare su di me”, perché non mi piacerebbe che dappertutto scoppiasse una rivoluzione violenta. Non voglio morire; ma inizio a credere che non possa accadere altro, sai, mi sembra inevitabile»
Gli autori dell’indice analitico delle canzoni dei Beatles, Colin Campbell e Allan Murphy, sostengono che l’aggiunta della parola «in» era tanto importante da «modificare in maniera significativa il sentimento complessivo espresso nella canzone», e, curiosamente, interpretano l’ambiguità come segno della «profonda considerazione dei Beatles per l’onestà [che] li costringe a scegliere l’ironia perché soltanto in questo modo si potrà cogliere l’essenza ambigua della verità».
Campbell e Murphy pertanto inquadrano l’alternanza «in/out» di Revolution nella tendenza più ampia, nelle canzoni dei Beatles, a registrare contrasti e tensioni; per esempio, confrontano l’alternanza «in/out» di “Revolution” con il fatto che «pools of sorrow» (pozze di dolore) accompagni «waves of joy» (ondate di gioia) in “Across the Universe” o, in altre canzoni, con la trasformazione da «hello» a «goodbye», dal giorno alla notte, dall’uomo alla donna, dallo scherzo all’inno e dalla solennità di nuovo allo scherzo.
da “Revolution. Storia di una canzone dei Beatles dalla protesta alla pubblicità”, di Alan Bradshaw, Linda Scott, Luiss University Press, 2020, 136 pagine, 15 euro