AutoreferenzialitàL’incredibile pretesa di Conte di voler disegnare la nuova Italia per decreto

Sarebbe stato necessario un grande concorso di idee e di passione, una mobilitazione di intelligenze e di interessi, insomma della concreta prova di una democrazia in grado decidere perché connessa con la società. Ma il premier anziché il paese ascolta Casalino

Afp

Quando si parla del Pnrr (il Piano italiano per il NextGenerationUe) è sempre tutto molto misterioso, impalpabile, incerto. Dopo mesi di lavoro nell’ombra dei ministeri adesso ci avviciniamo alla stretta finale, cioè alla trattativa (perché di questo si tratta) fra i partiti della maggioranza per fissare le poste esatte per i 52 capitoli di interventi individuati e forse, ma non è certo, per stabilire a chi toccherà la regìa dell’operazione, dopo che Italia viva e in parte il Pd hanno demolito la cabina che Giuseppe Conte aveva congegnato e resa nota in una notte d’inverno.

Questa storia è un mirabile distillato del contismo così come descritto da Sabino Cassese: «L’accentramento delle decisioni a Palazzo Chigi è una delle caratteristiche di questo governo. Solo che l’accentramento si coniuga solitamente con il decisionismo, mentre in questo caso si coniuga con l’indecisionismo programmatico, che è forma sofisticata di esercizio del potere attraverso la non-decisione e di rinvio delle questioni difficili».

Aggiungeremmo, da profani, un ulteriore elemento: il nascondimento. Troppo spesso infatti nessuno sa dove, quando, come, perché si sia assunta un certa decisione, o un certo suo rinvio. Pochi governi come il Conte 2 hanno adottato una pratica così priva di trasparenza e totalmente refrattaria all’apertura di un vero dibattito pubblico. L’esempio del Pnrr da questo punto di vista è emblematico.

Il piano per la nuova Italia del post-pandemia che dovrà essere la bussola della politica economica dei prossimi lustri è stato prima misteriosamente redatto, poi buttato nel cestino, quindi riscritto nelle segrete stanze del potere con il solo rischiaramento proveniente da Bruxelles che di fatto ha dettato i contorni del Piano come quegli album che lo scolaro deve solo colorare, e comunque lontano anni luce dalla società italiana, pronto per essere scodellato a gennaio sotto forma di decreto.

A parte che non si capisce la scelta tecnica del decreto (avrebbero stavolta ragione e le opposizioni a protestare), ciò che balza agli occhi è questo atteggiamento da prendere o lasciare, questa autoreferenzialità escludente, questo alzare il ponte levatoio dinanzi al Castello del potere. Altro che questo mix di segretezza e accentramento, dell’esatto contrario ci sarebbe bisogno: di un grande concorso di idee e di passione, di una mobilitazione dei cervelli e (anche, certo) degli interessi, insomma di una concreta prova di una democrazia che sa decidere in quanto connessa con la società.

E però, lo sappiamo: questo è un governo che sconterà sempre un grandissimo deficit di sensibilità democratica (senza peraltro compensarlo con clamorose dosi di sapienza tecnica), un deficit che è incistato nella sua carne – basti ricordare come nacque e perché: per un’operazione di Palazzo – e alimentato dalla confusione fra emergenza ed eccezione. Perché è verissimo che viviamo una condizione di emergenza che però non implica uno stato d’eccezione, cioè la sospensione della democrazia come pratica e come forma.

Ma a questi uomini di governo, a partire dall’avvocato del popolo, manca del tutto il riflesso democratico e sociale dei grandi leader dei partiti di massa i quali, fossero democristiani o comunisti o socialisti, per prima cosa si sarebbero chiesto «ma cosa ne pensano i nostri, cosa ne pensa la gente?», e persino i leader dei partiti più piccoli in un certo senso incaricavano le grandi organizzazioni di ascoltare il popolo (Giovanni Spadolini, allora presidente del Consiglio, implorava Luciano Lama: «Mi raccomando, mi faccia sapere cosa pensa la Cigil – egli, toscano, non diceva Cgielle): tu pensa se Giuseppe Conte si preoccupa di ascoltare l’Italia, semmai ascolta Rocco Casalino e chiusa lì.

Ma quello che suscita una certa inquietudine è che il contismo ha contagiato i dirigenti dell’ultimo simulacro di partito, il Pd: cosa stanno facendo per parlare con il Paese del suo futuro? Eppure esistono tuttora centinaia di strutture, migliaia di professionisti, tecnici, intellettuali: chi li ha coinvolti? Su ben 52 progetti contenuti nel Piano è chiaro che c’erano tutte le possibilità di sentire prima il Paese nelle sue articolazioni economiche, territoriali, professionali e poi scrivere i progetti per dedicare una amplissima discussione parlamentare, quindi operare una nuova sintesi e su quella chiedere il voto finale delle Camere.

Come al solito il Parlamento ascolterà le informative del presidente del Consiglio e i soliti interventi dei leader a favore di telecamere, la gente ascolterà distrattamente, i giornali faranno le loro belle infografiche e buonanotte ai suonatori. Il Piano Marshall del 2020 lo hanno fatto diventare materia di scambio al tavolo verde della verifica di governo e presto si vedrà che aver circoscritto la discussione a trenta persone è stato un errore, che pretendere di disegnare la nuova Italia per decreto è un fattore di debolezza. Che peserà.

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