Organizzazione e razionalitàL’algoritmo della marchetta e altre assurdità della legge di bilancio

La vera riforma utile del nostro Parlamento sarebbe quella di cambiare il modo di lavorare, ma i partiti non vogliono farla perché limiterebbe le loro possibilità di spartizione. Basta vedere che cosa è successo in questi giorni sulla finanziaria

Il problema più grave del nostro sistema parlamentare non è il bicameralismo paritario, che pure va abolito, né tanto meno il numero dei parlamentari.

No. Il problema è che si lavora in un modo irrazionale e disorganizzato, inconcepibile in qualsiasi altro ambiente di lavoro e sconosciuto al grande pubblico. Io stesso, quando sono arrivato in Parlamento nel 2013, non ne avevo idea. E la responsabilità è di tutti: governo, presidenze delle camere, partiti.

Prendiamo come esempio l’ultimo disegno di legge di bilancio.

Governo lumaca
Per legge, il ddl di bilancio deve essere presentato dal Governo alle Camere entro il 20 ottobre di ogni anno. Conte & co. lo approvano solo il 18 novembre. Si dirà: ma c’era il Covid da gestire!. Vero. Peccato che i tedeschi lo abbiano approvato il 23 settembre, i francesi il 28, gli spagnoli il 28 ottobre…

Un intero mese di lavoro sottratto al Parlamento per l’inefficienza del governo.

Una montagna di carta inutile
In ogni caso, il ddl di bilancio arriva alla Camera il 20 novembre e la prima settimana è dedicata alle audizioni e ai pareri delle commissioni sulle materie di competenza. Fin qui tutto bene.

Il teatro dell’assurdo parte il 28 novembre, data di scadenza del termine per presentare gli emendamenti, perché ne arrivano 6.842!

Per discuterli tutti, anche solo cinque minuti ciascuno, servirebbero 23 giorni consecutivi notte e giorno. Ma nessuno si sogna di discuterli. Servono solo ai presentatori per sbandierarli sui social, e più costosi e strampalati sono meglio è. Tanto sono solo spot e destinati a essere dichiarati inammissibili.

E infatti, tra il 2 e il 3 dicembre, in due sedute di complessivi 25 minuti, vengono cestinati 2.400 emendamenti (più di uno su tre), nello sdegno degli autori, che ovviamente gridano allo scandalo e alla morte della democrazia. Nel frattempo gli uffici hanno perso ore e ore a lavorare su cartaccia inutile.

Dopo il massacro degli inammissibili, viene chiesto ai gruppi di indicare gli emendamenti “segnalati”. Tradotto: «Riduceteli a un numero più normale». E il numero scende a 874, che è comunque troppo.

In conclusione, si è persa un’intera settimana, solo perché i partiti non hanno potuto/voluto impedire ai propri parlamentari di presentare questa montagna di emendamenti-spot senza speranza.

L’algoritmo della marchetta
Si riparte? No. I lavori si fermano del tutto fino all’11 dicembre e così le settimane perse diventano due.

Come mai? Perché ministeri e relatore sono non sono pronti con i pareri (quasi sempre identici, visto che il relatore, salvo rarissime eccezioni, fa quello che gli dice il governo). Ma, soprattutto, perché occorre trattare la spartizione dei pani, dei pesci e delle marchette, che quest’anno ha raggiunto vette di mercanteggiamento mai viste.

Il governo Conte, infatti, ha stanziato nel disegno di legge un fondo da 800 milioni destinato specificamente a essere spartito tra i partiti. Una ripartizione matematica, proporzionale alle dimensioni dei gruppi; un algoritmo della marchetta. Ed è ovvio che, con un sistema del genere, invece di avere pochi emendamenti seri, ne saranno approvati una miriade totalmente inutili: dal bonus per i sanitari (parliamo di ceramica, non di medici), ai corsi di diritto penale internazionale, dal fondo per la formazione turistica esperienziale (?), fino ai quasi 4 milioni di euro in tre anni stanziati per il presepe vivente di Rieti. Centinaia di milioni buttati in un anno di pandemia e con l’economia allo stremo. E tutto senza alcuna trasparenza.

2,5 minuti a emendamento
Dopo 21 giorni nei quali non si è mai parlato del merito della legge, si ricomincia finalmente in Commissione venerdì 11 dicembre con la discussione generale sul “complesso degli emendamenti”. A votare si inizia, invece, domenica 13 alle 6 di sera (se vi pare normale…) e si prosegue nei giorni successivi (14, 15, 16 e 18 dicembre). Ad aumentare la confusione, il 19 dicembre atterrano in Commissione tre nuovi fascicoli di emendamenti dei relatori e del governo. La seduta inizia alle 16 e finisce alle 3 del mattino, ma si lavora solo per 4 ore, per le innumerevoli interruzioni, dovute ancora una volta a trattative, pareri mancanti, e riformulazioni.

Il 20 dicembre si lavora ininterrottamente e alle dieci di sera la Commissione conclude i lavori, approvando il mandato ai relatori a riferire in assemblea. Finito? Macché. Il 22 si torna indietro: il Presidente riconvoca la Commissione (alle 22) e comunica, tra le proteste di tutti, che bisogna tornare su una settantina di emendamenti già approvati perché è arrivata la bocciatura della Ragioneria dello Stato (che poveretta li ha ricevuti all’ultimo momento): mancano le coperture. L’esame riprende la mattina seguente e finalmente, dopo due ore di seduta, la Commissione chiude i lavori.

Lo stesso 23 dicembre viene votata la fiducia in aula. Il voto finale arriva domenica 27.

Riassumendo: la Commissione ha avuto a disposizione 33 giorni. Nei primi 21 non si è minimamente entrati nel merito. Alla discussione sugli emendamenti sono state dedicate 8 sedute, e circa 40 ore di discussione, in buona parte di notte e con andamento a singhiozzo. Visto che gli emendamenti erano più o meno 900, fanno 2,5 minuti ad emendamento… Il tutto senza alcuna trasparenza e in modo che definire disordinato è un eufemismo.

In assemblea poi, il dibattito non c’è stato affatto. E non ci sarà neppure al Senato, perché si deve chiudere tutto entro fine anno per evitare l’esercizio provvisorio. Siamo al monocameralismo di fatto, e non è certo la prima volta.

Ma non si potrebbe lavorare in modo normale?
Sì che si potrebbe. Basterebbe fissare un calendario esatto dei lavori di Commissione, con sedute ogni mattina di almeno quattro ore e tempo per preparare i lavori il pomeriggio, gestire per iscritto le fasi più formali, a partire dalle ammissibilità, limitare il numero di emendamenti segnalabili dai gruppi, stabilire termini inderogabili per governo e relatori per presentare nuovi emendamenti e riformulazioni, e per la ragioneria per rendere i propri pareri, contenere la durata degli interventi e assicurare la trasparenza dei lavori della Commissione.

Cose banali, per le quali basterebbero poche modifiche ai regolamenti parlamentari e soprattutto la volontà politica di lavorare seriamente.

E perché non si fa?
Perché i partiti non vogliono limitare il numero di emendamenti da sbandierare sui social, perché il calendario delle Commissioni viene sempre sacrificato ai capricci della Presidenza, che si occupa solo dell’aula, perché i ministeri sono lentissimi nel dare i pareri, perché tutti vogliono trattare sotto banco fino all’ultimo, perché confusione e mancanza di trasparenza favoriscono le peggiori marchette (magari infilate nel testo a metà della notte), perché governo e maggioranza vogliono tenersi tutto il tempo disponibile per accontentare la richiesta di qualche referente politico con un emendamento last minute. Ma, soprattutto, perché nessuno pensa che processi, organizzazione e razionalità del lavoro contino qualcosa. E invece sono la cosa più importante per il funzionamento di qualsiasi istituzione.

Andrea Mazziotti è il responsabile del programma di Azione, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera nella XVII° legislatura.

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