L’integrazione di richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale nel nostro Paese passa soprattutto attraverso l’inclusione lavorativa. Per questo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha attribuito al gruppo Adecco per il terzo anno di fila il premio “Welcome Working for refugee integration”, insieme ad altre 120 aziende italiane che nel 2019 si sono distinte per aver favorito l’inserimento professionale di chi arriva nel nostro Paese alla ricerca di una vita migliore.
Attraverso la collaborazione con la Fondazione Adecco per le pari opportunità, solo nel 2019 il gruppo ha avviato al lavoro 1.865 persone rifugiate. Il numero più alto tra le aziende premiate. In vent’anni, la Fondazione ha coinvolto 9.047 persone in progetti di educazione al lavoro e ne ha inserite 4.749 in oltre 300 realtà aziendali, offrendo sostegno non solo a rifugiati ma a tutti coloro che vivono situazioni di disagio e discriminazione
«Di anno in anno le cifre si consolidano», conferma Monica Magri, Hr & Organization Director di The Adecco Group in Italia. «È stato possibile raggiungere questo importante obiettivo anche grazie alla capillarità delle filiali Adecco su tutto il territorio nazionale e grazie alla fiducia dei nostri clienti. Questi risultati sono infatti frutto di una collaudata sinergia tra Adecco, la nostra Fondazione e le aziende clienti».
Il percorso che porta al contratto di lavoro è complesso. E l’inserimento professionale, spesso, passa prima anche dalla formazione dei candidati sulla base delle richieste che arrivano dal mercato del lavoro.
«Per fare un esempio concreto», dice Magri, «tra le figure più difficili da reperire sul mercato del lavoro ci sono quelle degli addetti specializzati del settore alimentare. Fondazione Adecco per le pari opportunità ha creato dei corsi di formazione ad hoc insieme al cliente finale in modo da poter inserire dei lavoratori con queste specializzazioni: dalla macelleria alla panificazione, e anche la lavorazione e la pulizia del pesce. Tutti quei lavori manuali che pochi sanno ancora fare ma che hanno un inserimento sicuro nel mondo del lavoro proprio perché molto richiesti».
Ma non si tratta solo di impieghi manuali. Molti ragazzi sono stati inseriti anche come addetti alle vendite per la clientela internazionale, grazie alla conoscenza delle lingue di molti di loro. In tanti hanno conseguito un diploma o anche la laurea nei Paesi di provenienza. E progetti come questo permettono di valorizzare anche i titoli di studio che portano con sé.
«C’è sempre attenzione nel cogliere le competenze e valorizzarle», dice Magri. «Molti di questi ragazzi arrivano con livelli di istruzione elevati e portano competenze laddove servono. Adecco stessa due anni fa ha assunto dei ragazzi giovanissimi arrivati in Italia in un porto della Sicilia. Uno di loro, dopo il diploma, si era iscritto alla facoltà di Fisica. L’altro ha finito le scuole qui in Italia e quest’anno si è iscritto a Economia».
Tra i 1.865 assunti, ci sono anche 119 donne. Sono tutti giovani o giovanissimi. La maggior parte di loro ha meno di 32 anni, ma i numeri più alti si registrano nella fascia tra i 23 e i 27 anni (525) e tra i 28 e i 32 (440). Tra i Paesi di provenienza, in cima alla lista ci sono Nigeria, Pakistan e Senegal.
Quasi un centinaio sono stati assunti a tempo indeterminato, gli altri con contratti di somministrazione. «Ci assicuriamo», dice Magri, «che si tratti di inserimenti lavorativi sicuri e non di progetti spot che si fermano magari al tirocinio come spesso accade».
Ogni anno, poi, si aggiunge qualche elemento in più nei percorsi di inserimento. Quest’anno, racconta Magri, «i lavoratori richiedenti asilo inseriti gli scorsi anni grazie alla Fondazione hanno fatto loro da tutor ai nuovi arrivati in cerca di lavoro, facendo lezioni nella loro lingua madre e spiegando la cultura della vendita in Italia e le differenze rispetto al Paese di provenienza».
Un passaggio di testimone virtuoso che fornisce una narrazione positiva dell’immigrazione, oltre quella dominante nel dibattito pubblico e politico. «Molti ragazzi sono arrivati in Italia via mare passando dalla Libia. Le storie sono sempre drammatiche», dice Magri. «Ma questo premio fornisce una chiave di lettura diversa, mostrando come anche le aziende private si prendono la loro parte di responsabilità e di impegno, valorizzando persone che hanno alle spalle storie problematiche ma che attraverso il lavoro riescono a integrarsi pienamente nella nostra società, con un reddito proprio per mantenersi. Sono storie che fanno capire che è possibile perseguire questa strada, anche con numeri importanti. Se tutti facessimo la nostra piccola parte, questi esempi si moltiplicherebbero, e magari sarebbero anche più forti della retorica dominante».
E per le aziende, «questo significa anche mettere in pratica valori come la diversità e l’inclusione, che così non rimangono solo sulla carta», dice Magri. «Essendo un’azienda che lavora nel mercato del lavoro, siamo molto fieri di questi percorsi perché per noi questa è una precisa responsabilità».