Scendono in piazza ormai da mesi. Nonostante tutto. Nonostante i manganelli, gli arresti, i licenziamenti e le minacce. Nonostante a volte sembra che non ci sia nessuna speranza. Se per 26 anni la Bielorussia è stata conosciuta nel mondo principalmente come «l’ultima dittatura d’Europa», come l’aveva definita Condoleezza Rice, oggi è famosa per le sue donne.
Nessuna protesta degli ultimi anni ha avuto un volto più bello, e coraggioso, della manifestazione permanente che dal 9 agosto scorso – data delle elezioni presidenziali in cui il dittatore Aljaksandr Lukašėnka ha rubato la vittoria alla leader dell’opposizione Sviatlana Tsikhanouskaya – va in piazza a Minsk e nelle altre città belarusse.
Non è una rivoluzione soltanto al femminile, anzi: è dal 1989 che nell’Est Europa non si vedeva una protesta più trasversale, che coinvolgesse uomini e donne, vecchi e giovani, capitale e provincia, intellettuali e operai. Ma la rivoluzione di Minsk ha un volto di donna, per parafrasare il titolo del romanzo di un’altra bielorussa celebre, la scrittrice premio Nobel Sviatlana Aleksievič.
Sono state le donne belarusse a fare da scudo umano a una rivoluzione non violenta che rischiava di diventare un massacro, sono state loro a conferire alla rabbia un tocco di ironia, a trasformare la frustrazione della repressione in coraggio e speranza.
Irriverenti come solo le donne sanno essere, hanno ridicolizzato il dittatore che paragonava il Paese che governa a «un’amata che non si può cedere a un altro». Lukašėnka predica una sorta di femminicidio politico. Le bielorusse hanno risposto spazzando via tutti i pregiudizi sulla docilità delle donne dell’Est.
È anche una ribellione contro un dittatore machista, che ha eliminato dal campo politico tutti gli avversari maschi. Il triumfemminato sceso in campo contro Lukašėnka era composto da donne decise a correre in vece dei loro uomini, imprigionati o esiliati dall’autocrate. Non temeva le donne, «la politica non è roba per loro», diceva. Non poteva sbagliarsi di più.
La casalinga Sviatlana Tsikhanouskaya ha vinto le elezioni presidenziali, affiancata dalla manager Veronika Tsepkalo e da Maria Kolesnikova, l’unica politica di professione.
Le prime due sono ora in esilio in Europa, Maria Kolesnikova è in carcere con accuse di sovversione. Ma decine di migliaia di loro consorelle continuano la battaglia, fondendo la tradizione dell’emancipazione ereditata dal periodo sovietico e della Resistenza partigiana ai nazisti con una nuova consapevolezza dei propri diritti e del proprio valore, che porta nell’ultimo pezzo di Urss un’autentica ventata di Europa