Provvisorietà duraturaLa verifica di governo non riserva sorprese e alla fine l’unico cui va bene è Conte

Renzi, il solo che critica il premier, incassa l’azzeramento del Piano e forse un ministro in più. Ma non può tirare troppo la corda per non farla spezzare. Il Partito democratico chiede un mini rimpasto, si limita a fare da mediatore tra le parti, e resta impantanato nel ruolo di partito di stabilità. È il clima ideale per il presidente del Consiglio. Forse non per l’Italia

LaPresse/Andrea Panegrossi

La verifica 2020 è un po’ come tutte le altre, come quelle di tanti anni fa, ci si dice alcune cose (non tutte) e ognuno molla qualcosa. Il canovaccio è sempre questo. Ed è il Partito democratico, che alla fin fine è in qualche modo il sopravvissuto alle antiche liturgie, a farlo rispettare.

Se non fosse per l’incognita-Renzi, che vedrà oggi Giuseppe Conte nel secondo e ultimo giorno della verifica, sarebbe già tutto scritto: il presidente del Consiglio becca e porta a casa le critiche renziane (e piddine, a bassa voce) sulla sua pretesa di fabbricare un Piano per il NextGenerationEu e relativa task force, Piano che verrà riscritto. Il Partito democratico ha chiesto ad un premier indebolito di rafforzare la compagine di governo, insomma di fare un mini-rimpasto e di essere più “politico”, più reattivo; e Renzi incassa l’azzeramento del Piano e forse un ministro in più, graziosamente offertogli da Conte in cambio di un rasserenamento del clima.

A parte la riscrittura del Piano da 209 miliardi, il resto è chiacchiera, nuvole, fumo, immancabili ingredienti della politique politicienne, inutile fare le anime belle, i fenomeni che Gramsci definiva “morbosi” esplodono proprio nei momenti di bassa tensione morale come questa.

L’aria in ogni caso resterà dominata dai soliti sospetti. E come al solito nel mirino c’è Matteo Renzi: il capo di Italia viva, oltre a vincere lo scontro sul fantasmagorico Piano recapitato da palazzo Chigi ai ministri in piena notte, non ha oggettivamente grandissimi margini di manovra e sa che tirare troppo la corda può farlo passare alla storia come il Grande Guastatore in piena emergenza da pandemia, dunque meglio rintuzzare il premier tappa dopo tappa, sul merito delle questioni.

Le ultime interviste di Maria Elena Boschi sono state lette in questa chiave, e anche al Nazareno hanno tirato un sospiro di sollievo. Vedremo cosa farà Renzi, ma non oggi, più avanti. L’uomo non è tipo da mollare la presa, e ormai ha puntato Conte.

Il Partito democratico media e in fondo gli va bene così, ma in questa gelatinosa situazione s’impantana fatalmente in alchimie che non si comprendono. Lo vuole il rimpasto, il Partito democratico, o non lo vuole? Vuole sbloccare i tavoli sulle riforme, ma come? Insomma, Conte sta andando bene o no? Non potendo né sapendo come sciogliere tutti i nodi il Nazareno si attesta dunque su una linea di galleggiamento ritagliandosi il ruolo non eccitante ma necessario di partito della stabilità, pur pagando il prezzo di nervosismi interni: quello dei capigrippo Delrio e Marcucci e di alcuni ministri che non si sentono “coperti” dal partito, una certa insofferenza di Orlando, la nascita di una piccola area “cuperliana”, il disorientamento dei gruppi parlamentari.

Alla fine questo quadro non esaltante e sempre imbevuto di provvisorietà può darsi che sia l’ideale per il pattinaggio di Giuseppe Conte. Magari non per il Paese.

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