Addio Milano bellaIl giallo a chiave che racconta la politica italiana degli anni Novanta

Il nuovo romanzo di Lodovico Festa è ambientato nel mondo post comunista sconvolto dalle inchieste giudiziarie. Tra finzione narrativa e accuratezza saggistica, l’autore parla anche della metropoli di oggi e di quella di domani

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Domenica, 7 febbraio 1993. Già vicepresidente e presidente della commissione probiviri regionali del Partito Comunista lombardo, da quattro anni Mario Cavenaghi ha preferito andarsene a Lugano con la famiglia a fare l’ingegnere e basta: per tagliare i ponti «con Milano, con il partito, con le vicende di una politica a lungo, per più di trent’anni, padrona quasi assoluta della sua vita».

«Hai perso la fede?», gli aveva chiesto la moglie, da sempre rigidamente anticomunista. «La cosa è più complicata, è Dio che è morto. Talvolta risorge. In ogni caso quello con la falce e il martello incrociati non ci metterà sicuramente tre giorni a riapparire». 

Chi riappare, in compenso, è Cecco Fani, che non vedeva dal Natale del 1990. Una volta era il “cerimoniere rosso: l’addetto all’accoglienza delle delegazioni straniere in visita al partito italiano. Prima per il Pci milanese, poi, visto che era davvero bravo a farlo, per quello nazionale. Ma, come spiega subito, «è finita l’Unione sovietica. Sono finiti i regimi socialisti dell’Est. Non siamo più comunisti. Il mio antico lavoro ha perso ogni senso». In più il Partito Comunista Italiano (Pci), diventato Partito Democratico della Sinistra (Pds), tra 1987 e 1992 ci ha rimesso il 10% dei voti.

Ed è iniziata Tangentopoli, che all’inizio ha colpito in maniera durissima proprio il nuovo Partito Democratico della Sinistra. In seguito, è vero, spostando il focus delle indagini dalle amministrazione locali alla politica nazionale, col fatto che il partito è forza di governo solo in regioni, province e comuni e che lo spinoso capitolo dei finanziamenti dall’Est è stato sanato con l’amnistia del 1989, le botte hanno invece risparmiato la dirigenza delle Botteghe Oscure per concentrarsi sul pentapartito, che infatti ne uscirà distrutto. 

Però i guai altrui, al momento non sollevano una macchina burocratica che era abituata ad avere risorse in quantità, e che ora si trova in gravi ristrettezze. «Mancano le entrate dei parlamentari perduti, e sono sparite le cosiddette risorse straordinarie e da ultimi traffici con i sovietici e il loro impero, e da sistema di finanziamento in parte illegale, esaurito con la stagione delle inchieste giudiziarie», spiega Cecco Fani. «Delle migliaia di funzionari che avevamo, tra sede centrale e provinciali, è rimasto circa il quindici per cento, e il numero calerà ancora. L’Unità più o meno regge grazie a videocassette e figurine Panini. L’Ora di Palermo ha chiuso. Paese Sera sta per chiudere. Sono morte a decine le microtelevisioni collegate a noi, costruite nel clima di euforica ebbrezza degli anni Ottanta. Gli Editori riuniti sono stati venduti, dopo essere finiti dentro una delle non poche strampalate inchieste della magistratura. Si era ipotizzato che la casa editrice funzionasse come fonte clandestina di finanziamento al partito mentre si trattava di un’impresa di dilapidazione palese di risorse». 

Tuttavia, garantisce Cecco Fani, «per quanto la si possa criticare, la nostra, però, è restata una comunità ricca di solidarietà. E anche nello sbando generale il gruppo dirigente ha tentato e tenta di trovare a ogni compagno in esubero – si sente il mio nuovo tratto da manager? – una collocazione alternativa al lavoro nel partito.». All’ex-“cerimoniere rosso” è dunque stata affidata una agenzia investigativa che da una parte cerca di aiutare i membri del partito coinvolti in processi. Dall’altra utilizza le sue relazioni internazionali per indagini commissionate da imprese interessate a espandersi in mercati soprattutto dell’Est. 

Stavolta, però, deve risolvere un mistero che riguarda proprio il partito. A dicembre, infatti, è morto all’improvviso per un infarto Vincenzo Tintore. Non solo vicepresidente della commissione probiviri, ma anche incaricato di un fondo riservato per le emergenze nascosto in un appartamento. Con la magistratura scatenata, a quei soldi in principio accantonati per evenienze tipo colpo di Stato o simili, il defunto aveva dovuto attingere per un banale conto dell’idraulico, salvo poi sentirsi male subito dopo. Per i quattro giorni passati dal malore al funerale le chiave dell’appartamento sono dunque rimaste in giro, prima di essere restituite dalla sorella. A inizio gennaio comincia a circolare la notizia che gruppi di iscritti, a due per volta, hanno avuto in dono viaggi pagati da un misterioso istituto di Amsterdam. In Vietnam e a Cuba, dove il comunismo è ancora al potere. Nel Kerala, roccaforte locale dei comunisti indiani. In Sudafrica, dove l’African National Congress sta per dare la scalata al potere. In Palestina, dall’Olp. E poco dopo, si è scoperto che dei 6 miliardi di lire nascoste nell’appartamento ne sono scomparse due. 

Chi ha preso i soldi mancanti? Davvero è con quei soldi che si stanno mandando in giro per il mondo coppie di militanti del Pds accuratamente scelti tra i più apparentemente nostalgici verso gli ideali del passato? Chi è che lo sta facendo? E quali sono i suoi scopi? È un vero giallo: anche nel senso che si tratta della trama di una singolare detective story: “Addio Milano bella. L’ultima indagine dell’ingegner Cavenaghi” (Guerini e Associati, 288 pp., 18 euro).

Il titolo allude ironicamente a “Addio Lugano bella”, la famosa canzone scritta nel 1895 dal leader, poeta e compositore anarchico Pietro Gori, per protesta contro la decisione delle autorità svizzere di espellere i fuoriusciti italiani. Cavenaghi, invece, a Lugano se ne sta in pace, e oltre che alla storia del Pci ha dato un saluto alla sfavillante “Milano da bere” anni ’80: l’una distrutta dalla Caduta del Muro di Berlino; l’altra dalle indagini di Mani Pulite. Due mondi entrambi conosciuti in profondità da Lodovico Festa: fondatore del Foglio e per molti anni condirettore con Giuliano Ferrara. Ma prima ancora, per molti anni dirigente di primo piano dei comunisti meneghini, fino alla nascita del Pds.

Nelle maglie del racconto, la geografia urbana e storica della città è infatti analizzata con grande competenza. Proprio attingendo a questi ricordi nel 2016 Festa aveva scritto per Sellerio La provvidenza rossa”. Un altro giallo sul Pci milanese, ambientato anch’esso a Milano a partire dal 31 ottobre 1997, cinque mesi prima del delitto Moro. L’omicidio di una fioraia che col partito faceva lucrosi affari, dalle mimose per l’8 marzo ai garofani rossi per il primo maggio, e che in più era una militante appassionata: dirigente di una sezione e di un circolo Arci; attiva tra gli esercenti; animatrice di proteste ambientaliste e anti-racket; attrice in una compagnia di filodrammatici che recitava Brecht; perfino aspirante leader del nascente movimento gay, malgrado un innamorato fisso e molte frequentazioni maschili occasionali.

E il mistero era infittito dall’arma del delitto: una Maschinenpistole 40, riemersa chissà come dalla Seconda Guerra Mondiale. Allora, solo vicepresidente della commissione probiviri regionali, Cavenanghi è stato il detective cui è stata affidata l’indagine. Proprio ricordando l’efficienza con cui ha risolto l’impiccio evitando nel contempo gravi imbarazzi al partito, sono andati a riprendere Cavenanghi in Svizzera, per pregarlo di fare un’altra investigazione.

Il pretesto con cui Cavenaghi si mette a incontrare dirigenti, militanti e altri personaggi di spicco, non solo del Pds o dell’ex-Pci, è “una piccola inchiesta” sull’opinione pubblica milanese dopo che si è scatenata la tempesta sulla corruzione. Quest’ultimo compito, paradossalmente, finirà per essere il più ossessionante e impegnativo. Per scovare i ladri e allo stesso tempo comprendere che cosa avviene nel luogo dove è cresciuto e che ha intensamente amato, s’immerge nei gironi dell’inferno ambrosiano. Incontra, per due settimane, operai e femministe, studenti e banchieri, socialisti e cattolici, giornalisti e rifondaroli, avvocati e magistrati, partigiani e manager, grandi dame e vecchi saggi. Legge una città travolta da feroci inchieste giudiziarie sulla corruzione, sperduta tra indignazione e paura per la rottura di equilibri che ne hanno a lungo garantito progresso e libertà. 

Ciò indica chiaramente come anche per Festa l’indagine sui due miliardi spariti e i viaggi misteriosi sia in realtà il vero pretesto, la vera indagine. Un modo per mostrare il disorientamento della vecchia classe dirigente nei confronti della tempesta giudiziaria, e far già intuire come, lungi dal risolvere certi nodi, la distruzione per via giudiziaria della Prima Repubblica finirà per aggravarli, lasciando il sistema Paese indifeso di fronte alle tempeste della globalizzazione che si intravedono.

A contrappunto degli incontri c’è infatti la rassegna dei giornali che l’ingegnere fa con metodo ogni giorno, e che mette volutamente a confronto la tempesta italiana con la paciosità delle vicende svizzere. Volendo si può anche leggere nella uscita di questo romanzo, una settimana prima dei 100 anni del Pci, anche un bilancio sulla storia di un partito che ha fatto la storia d’Italia, ma è poi entrato in una crisi esistenziale che gli ha impedito di difendere un sistema politico ed economico che aveva contribuito a creare in modo decisivo.  

Una curiosità: mentre gran parte dei personaggi storici citati sono indicati per nome e cognomi, alcuni sono invece indicati con pseudonimi peraltro piuttosto trasparenti. Occhetto diventa così Papperi, Cossutta è chiaramente Borutta, Claudio Martelli è Marcello Clodi, Cuccia è Roccia, Gianni Agnelli è Geppi Capretti, e così via. Spiega Festa che ha fatto così con «tutti i personaggi veri su cui ho dato un mio giudizio personale». 

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