Il grande bancone a elle fa sfoggio della sua eleganza dopo quasi duemila anni: la notizia è recente, a Pompei un nuovo scavo ha reso visibile uno spaccato di vita quotidiana. L’istantanea di un “bar” la cui vita si è fermata all’improvviso quel giorno dell’anno 79, quando tutta la città venne sepolta dalla furia del Vesuvio. Oggi possiamo guardare attraverso i secoli e vedere come si passava il tempo libero in quella Pompei, cosa si mangiava e cosa si beveva, chiacchierando appoggiati a quel bancone.
In fondo gli happy hour e gli aperitivi attuali non sono un concetto poi così nuovo, e lo street food animava già le strade delle antiche città romane. Quello appena ritrovato è un thermopolium: noi lo chiameremmo “tavola calda”, quasi una traduzione del termine originale, che deriva dal greco “thermos”, “caldo” e “poleo”, “vendere”. Nella pratica si trattava si un locale con affaccio diretto sulla via, con un bancone in muratura in cui erano inseriti dei dolia, grandi vasi contenenti cibo e bevande. In questo caso il bancone è affrescato con immagini straordinariamente vive: un gallo ruspante, una coppia di anatre appese a frollare, un cane al guinzaglio, una nereide a cavallo nel mare e una serie di anfore. Scene fantastiche si accostano alla realtà del locale stesso: anfore, anatre, polli, forse lo stesso cagnolone da guardia sono una sorta di insegna del termopolio, di cui raffigurano la quotidianità. Non è certo questo l’unico esercizio di questo tipo rinvenuto in Italia: nella sola Pompei se ne contano circa 80, cui si aggiungono tra gli altri quelli di Ercolano e di Ostia. Ma questa nuova scoperta affianca al valore artistico dei disegni l’eccezionalità di un nuovo sguardo sulla cucina di Pompei. All’interno delle anfore sono ancora presenti tracce di cibi e bevande. Un contenitore racchiude frammenti di ossa di anatra, di maiale, di capretto o di agnello, oltre a resti di pesce e di lumache di terra. E sul fondo di un dolio sono ancora presenti tracce di fave macinate che venivano usate, come testimonia Apicio, per sbiancare il vino: «metti farina di fave e albumi di tre uova in una bottiglia di vino e agita a lungo; il giorno dopo il vino sarà bianco».
Il cibo quotidiano a Pompei
La fotografia che emerge da questa scoperta è quella di una realtà vera e popolare: niente di raffinato e di lussuoso, niente ricercatezze esotiche, ma il mangiare e il bere di tutti i giorni, il “menu” dei lavoratori ma anche dei perdigiorno. Nel termopolio si cucinavano piatti a base di carni miste e di pesce: una sintesi di quanto offriva il mercato nella Pompei di allora. Il pesce arrivava fresco dal mare vicino, ed era alla portata di tutte le tasche, i frutti di mare in particolare erano molto apprezzati ma anche economici; e alcune ricette sono giunte intatte fino ad oggi: è il caso delle acciughe fritte e condite con aceto, “a scapece”, termine che rimanda al nome di Apicio. Le stesse acciughe erano usate per preparare il garum, la saporitissima salsa che caratterizzava quasi tutta la cucina romana. Le carni erano quelle degli animali da cortile, dei maiali e delle pecore allevati nel territorio, ma anche quelle della cacciagione: diffusissimi gli uccelli, dalle anatre ai colombi. Carne e pesce si mischiano, oltre che nelle pentole del termopolio, anche nei mosaici della Casa del fauno, sempre a Pompei: anatre, cacciagione, pesci di vario tipo, conchiglie e molluschi testimoniano la varietà e la ricchezza delle tavole locali. Altre raffigurazioni pompeiane mostrano fichi, uva, pane, aglio, cavoli: frutta (fresca e secca) verdura (cruda, cotta o in forma di zuppa) e cereali non mancavano mai, insieme alle amatissime olive, base anche per la preparazione di un apprezzatissimo olio. E infine il pane, prodotto in tante tipologie negli oltre trenta panifici che sono stati ritrovati: qui si macinava direttamente il grano e si cuocevano i pani nei forni. Diffusi anche i formaggi, su tutti la ricotta, presente in molte raffigurazioni. Ai prodotti locali si affiancavano le spezie provenienti dall’Oriente, per le quali i Romani nutrivano una vera passione.
Il vino, antico piacere
Quando gli archeologi hanno aperto i vasi conservati nel termopolio hanno percepito – assicurano – ancora netto e inconfondibile l’odore del vino. Quell’odore che probabilmente caratterizzava l’atmosfera del locale. Qui il vino, bianco o rosso, veniva attinto dalle giare e servito ai clienti misto a miele, come era usanza presso le popolazioni latine. Frequente era anche l’aggiunta di spezie e aromi, e spesso di acqua. Lo si beveva a pasto o con una serie di stuzzichini, sorta di aperitivo. Lo si gustava fresco oppure caldo a seconda della stagione. Lo si sceglieva in base al gusto e agli abbinamenti. Nell’Impero romano infatti si producevano centinaia di qualità di vino, e anche Pompei aveva le sue tipicità: attestano, oltre alle numerose raffigurazioni, i calchi di radici di vite ritrovati nell’area degli scavi. Era un vino che poteva essere anche lungamente invecchiato. E oggi per ripercorrere le tradizioni della viticoltura locale, qualcuno ha pensato di piantare vigneti e produrre vino proprio nell’antica Pompei.