Tocca ai riformistiI costruttori temporeggiano per capire se crollerà il castello di carte di Conte

Il clima intorno al bunker di palazzo Chigi è diventato col passare delle ore sempre più freddo. Entrano ed escono vari peones ma i numeri non cambiano. Nel Pd a vari livelli sta crescendo un fastidio per quello che viene considerato un abbraccio mortale con l’avvocato del popolo

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Ora la strada di Giuseppe Conte si sta facendo davvero scoscesa e senza uscita, al punto che circola persino l’ipotesi che il presidente del Consiglio possa gettare la spugna dimettendosi nei prossimi giorni. E così non si trovano costruttori in numero sufficiente e d’altra parte altri forni l’avvocato non vuole aprirne. Col passare delle ore, il clima intorno al bunker di palazzo Chigi è diventato sempre più freddo, si cominciano a vedere le prime diserzioni, i politici con il loro istinto del potere annusano un’aria cattiva e si chiedono se valga la pena morire per Conte. Forse è meglio fermarsi un giro, pensano soprattutto  a destra. Sandra Lonardo, attraverso il marito-portavoce Clemente Mastella, ha fatto sapere di avere molti dubbi sulla relazione sulla giustizia di Alfonso Bonafede che verrà sottoposta al voto del Parlamento mercoledì prossimo, la nuova sfida all’Ok Corral.

A palazzo Chigi sfilano singolarmente alcuni dei costruttori più attivi, come Bruno Tabacci che reclama un Conte tre, proprio quello che il presidente del Consiglio non vuole: e anche questo ricevere mezzi leader e peones di vario tipo è un’umiliazione, c’era molto più stile e rispetto per le sedi istituzionali nella vituperata Prima Repubblica.

Ci si aggrappa a Paola Binetti, ma l’Udc azzoppata da Nicola Gratteri (dopo aver esaminato il quadro politico, ha precisato lui stesso al Corriere della Sera) ormai è un partito mezzo morto. Tra l’altro il Pm calabrese, nell’operazione variamente denominata “Basso profilo” ha anche fatto arrestare Natale Errigo, definito dai magistrati come «imparentato» con la famiglia ’ndranghetista De Stefano. Errigo, analista di Invitalia, quella di Domenico Arcuri, era stato scelto proprio dal Commissario al contrasto della crisi epidemiologica per occuparsi della questione delle mascherine provenienti dalla Cina, finite sotto inchiesta lo scorso dicembre. Ma riprendendo con la dinamica politica di queste ore, c’è da aggiungere che il tentativo di sfondare Italia viva è andato male, visto che Matteo Renzi ha ottenuto le firme dei suoi parlamentari su un documento in cui si assicura che «si muoveranno tutti insieme» per «una soluzione di respiro».

Al momento, per farla breve, Conte continua a non avere la maggioranza al Senato. È vero che mancano ancora dei giorni al fatidico mercoledì della disfida su Bonafede ma gli spazi si vanno stringendo. L’istinto di Montecitorio è che se cade Conte non ci saranno affatto le urne, anche se come ci ha ripetuto ieri un ministro «alle urne ci si può andare anche senza volerlo».

Tuttavia lo spin del Nazareno, autorevolmente confermato sui giornali da Goffredo Bettini e in tv l’altra sera da Andrea Orlando, sull’inevitabile ricorso alle urne se Conte cade, trova il gelo nei gruppi parlamentari del Pd la cui golden share non è certo in mano a Zingaretti e Bettini.

E non si tratta solo di fare i conti con la tradizionale ritrosia dei parlamentari davanti al rischio di tornare a casa ma anche di una questione più politica: deputati e senatori dem sono stati in gran parte vicini a Renzi e per quanto in questi lunghi mesi si sia sedimentato un netto dissenso con l’ex segretario pure emerge una certa volontà di ricucire lo strappo, di sedersi intorno a un tavolo per ricostruire una maggioranza non contro Italia viva – altro che Ciampolillo e Lonardo – ma è chiaro quale sia il punto di debolezza di questa posizione: può essere Conte l’uomo in grado di riannodare le fila della sua ex maggioranza? Probabilmente no.

In aggiunta, in questi giorni nel Pd a vari livelli sta crescendo un fastidio per quello che viene considerato un abbraccio mortale con l’avvocato del popolo e giudicato del tutto sballato lavorare per lui che, presentandosi con una sua lista, toglierebbe ai dem parecchio sangue: ciò che resta della componente riformista freme, e anche esponenti di Base riformista, a partire dai capigruppo, stanno cominciando ad avere seri dubbi che sia Conte a poter succedere a Conte e s’interrogano su altre possibilità.

Ecco perché si ragiona sul fatto che nel caso di una disfatta del presidente del Consiglio in aula o in quello di sue volontarie dimissioni proprio per evitare la catastrofe parlamentare e si aprisse dunque una vera crisi di governo verrebbe inevitabilmente fuori qualche nome a cui mezzo M5S si aggrapperebbe pur di tirare avanti, e il Pd non potrebbe dire di no. Anche perché probabilmente sarebbe uno dei loro, il nome più gettonato essendo quello di Dario Franceschini.