Nel 2015, preoccupato per il calo degli ascolti dei due canali pay per view più importanti del gruppo, il CEO di Time Warner Jeff Bewkes convocò i suoi manager per capire cosa stesse succedendo. Per più di dieci anni TNT e TBS avevano monopolizzato il prime time di milioni di americani, trasmettendo in esclusiva serie culto come Seinfeld, Friends e Family Guy. Da qualche mese, però, Netflix e Amazon Prime avevano iniziato a trasmetterle in streaming senza interruzioni pubblicitarie sottraendo ai network tradizionali enormi fette di spettatori.
Le spiegazioni del management non furono troppo convincenti perché pochi mesi più tardi Bewkes decise di vendere Time Warner ad AT&T, seguito a ruota da Rupert Murdoch, che scelse di cedere alcuni degli asset televisivi più importanti di Fox a Disney e Comcast. Entrambi avevano capito che il dominio delle pay tv stava per concludersi.
Un declino che in questi ultimi anni lo sport ha contribuito a rallentare. La trasmissione live degli eventi sportivi, infatti, ha continuato a garantire abbonamenti e introiti pubblicitari. L’emergenza sanitaria, però, ha fatto saltare anche quest’ultimo argine privando per mesi le pay tv dell’unico strumento competitivo rimasto e dando il via libera definitivo a un’evoluzione destinata a modificare il modo in cui guarderemo lo sport nei prossimi anni.
Negli ultimi sei mesi tutte le più importanti media company internazionali hanno annunciato profonde riorganizzazioni: mentre in Italia Sky ha scelto di ampliare la sua offerta con un nuovo servizio fibra, negli Stati Uniti Disney, NBCUniversal, WarnerMedia and ViacomCBS hanno deciso di puntare sullo streaming, spostando online tutti i loro contenuti premium (ESPN, ad esempio, ha trasferito sulla piattaforma digitale ESPN+ gran parte delle sue esclusive, cercando così di recuperare gli abbonamenti tradizionali attraverso un paywall).
Scelte obbligate, necessarie a contrastare la concorrenza di nuovi player come DAZN, Mediapro e, soprattutto, Amazon che ormai da alcuni anni sta acquistando diritti sportivi in giro per il mondo. Dopo gli accordi con la Premier League inglese e la Uefa per lo streaming della Champions League sul mercato tedesco, poche settimane fa il colosso di Seattle si è aggiudicato i diritti del triennio 2021-2024 per trasmettere in Italia le 16 migliori partite della massima competizione calcistica europea. Un’offensiva che non riguarda solo il calcio: a fine dicembre, infatti, Prime Video e Twitch hanno trasmesso per la prima volta un match di NFL esclusivamente online.
Una mossa che ha spaventato i network televisivi, preoccupati dall’eventuale inserimento di Amazon nella trattativa per il rinnovo dei diritti tv dell’NFL. È molto probabile però che Prime continui a offrire ai suoi abbonati solo alcuni eventi sportivi (le partite più importanti o quelle programmate in momenti particolari della stagione come le festività natalizie) utili a rafforzare la propria value proposition, senza scippare l’intera stagione a Comcast e Disney.
Ci sono però almeno altri due elementi che i grandi network devono tenere in considerazione. Il primo è rappresentato dalla crescita esponenziale dei canali tematici. Ormai tutte le grandi leghe sportive ne possiedono uno e sempre più spesso scelgono di rinunciare agli introiti dei contratti tv per poter gestire direttamente il rapporto con i propri tifosi. In questo nuovo scenario, diverse emittenti hanno iniziato ad acquistare quote delle leghe preferendo gestirle dall’interno piuttosto che pagarle per mandare in onda le loro partite (l’ultima a farlo è stata Fox con l’acquisto della Summer League di football americano).
Il secondo elemento da considerare è probabilmente il più importante. Secondo un recente sondaggio di Morning Consult il 39% dei ragazzi americani tra i 13 e i 23 anni non guarda mai nessun evento sportivo in diretta, preferendo sbirciare gli highlights su YouTube. I tifosi più giovani non seguono lo sport come fanno i loro genitori: i ragazzi guardano clip di pochi minuti, non partite intere; seguono i profili social dei loro atleti preferiti, non quelli delle loro squadre; sono più interessati alle storie su Instagram che alle interviste del dopo gara.
Oltre alla naturale evoluzione verso lo streaming, è questo il trend a cui i network tradizionali dovranno prestare più attenzione. Il cambiamento infatti non riguarda solo la tecnologia ma, inevitabilmente, anche i contenuti. Ecco perché per sopravvivere le pay tv dovranno rassegnarsi a chiudere gli studi televisivi pieni di commentatori senza giacca, liberarsi dei palinsesti fissi e ripensare agli infiniti post partita studiati su misura per gli inserzionisti. Per chi guarda lo sport dall’altro lato dello schermo, non è detto che sia un male.