Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Due donne si guardano. L’una seduta davanti all’altra. Sono occhi profondamente diversi quelli che si incontrano, non per il colore, ma per la prospettiva del loro sguardo. Peri ha occhi castani e glaciali, con un sorriso forzato cerca di convincere a parlare Meryem che con grandi occhi – azzurri e dolci – le chiede imbarazzata: «Di che cosa dovremmo discutere?».
Peri è una giovane psichiatra e appartiene alla parte più laica e “occidentalizzata” della società turca, è cresciuta in una lussuosa villa sul Bosforo, ha studiato in Europa e non riesce a sopportare le persone religiose, come la ragazza che si trova in questo momento nel suo studio. Meryem porta il velo, vive in un villaggio di campagna nella remota periferia di Istanbul e sale su diversi autobus del trasporto pubblico per riuscire ad arrivare puntuale nel luogo dove lavora in città come donna delle pulizie: il grande appartamento di un pigro ragazzo ricco e sovrappeso che cerca di dimenticare la noia che lo divora portandosi a letto quante più donne riesce a trovare.
Meryem si trova nello studio di Peri perché da tempo è vittima di misteriosi svenimenti che le rendono la vita più difficile del solito. Le analisi mediche non hanno riscontrato alcun problema fisico e ha quindi ascoltato il parere dei dottori, che le hanno consigliato una terapia psichiatrica a cui ha deciso di sottoporsi senza però informare Ali Sadi ‘hoca’, la rispettata guida spirituale islamica del villaggio dove vive.
È questo l’incipit di Bir Başkadır, la serie turca di 8 puntate che assomiglia a un romanzo e, dopo avere incantato la Turchia, inizia ora ad avere successo anche in Italia. Bir Başkadır è scritta e diretta da Berkun Oya, talentuoso sceneggiatore teatrale che già si era fatto notare come scrittore di un’altra serie tv andata in onda qualche anno fa: il thriller (socio) psicologico Masum (Innocente), opera accattivante e di alta qualità, ma un po’ inconcludente.
Bir Başkadır è invece un’opera perfettamente riuscita. Servendosi di rara bellezza cinematografica e di un cast stellare, Berkun Oya è riuscito a portare la Turchia in una seduta psichiatrica collettiva dove l’intera società turca riesce a incontrarsi per discutere, finalmente, dei molti muri invisibili che separano persone abituate a vivere nello stesso luogo e nello stesso tempo, ma ignorandosi a vicenda senza saperne esattamente il motivo.
L’abusato confronto/scontro tra la Turchia laica e la Turchia musulmana in Bir Başkadır è utilizzato per mostrare quanto sia inadeguato leggere la Turchia di oggi (e forse di sempre) semplicemente in questi termini, purtroppo quasi onnipresenti nelle statiche semplificazioni proposte regolarmente dal discorso pubblico occidentale. Bir Başkadır manda in frantumi il complesso di superiorità sulle persone religiose che imprigiona ancora molti beyaz türkler – i turchi “bianchi” ovvero occidentalizzati e laici – compiacendoli in maniera illusoria di essere sempre e comunque dalla parte “giusta”, ma in realtà separandoli dal resto della società e confinandoli in una echo chamber senza finestre che non permette loro di vivere la complessità della società turca.
La decostruzione di questo stereotipo, che Bir Başkadır mette in scena attraverso la grazia di una fotografia splendida e un’atmosfera degna del miglior cinema d’autore, si realizza in un’esplosione fragorosa che lascia a terra frammenti diversi di uno specchio in cui chiunque in Turchia si può riconoscere. Il racconto è una fiaba che ricorda una realtà assolutamente autentica e per questo motivo la serie ha avuto un clamoroso successo in Turchia e i suoi personaggi sono già diventate figure cult della cultura pop.
Se la critica alla società turca laica e occidentalizzata viene qui espressa in maniera esplicita, come raramente si era visto in una fiction cinematografica turca, Bir Başkadır non cade nella trappola di celebrare per reazione la parte più religiosa della società. Le identità dei protagonisti si mescolano e si trasformano come accade a Hayrunnisa, la ragazza che si toglie il velo islamico per infilarsi delle grandi cuffie e ascoltare musica elettronica, balla da sola nella sua cameretta ed è quasi più bella di Liv Taylor in “Stealing Beauty”.
Bir Başkadır racconta attraverso la delicatezza e l’amore le complessità della Turchia, senza risparmiare graffianti critiche ma al contempo restituendo la bellezza di questa stessa società che spesso viene offuscata dalla volgarità della politica di cui gran parte della stampa occidentale si nutre per vendere più copie e attirare click. Netflix propone Bir Başkadır (traducibile come “un altro, qualcosa di diverso”) intitolandola “Ethos” per il pubblico internazionale, scelta che a molti in Turchia non è piaciuta perché fa perdere il concetto di alterità o diversità – da chi o da che cosa sarà il pubblico a deciderlo – a cui il titolo originale fa riferimento.