Una famiglia che si trasferisce in un condominio, alla periferia di Roma. Un giorno di primavera che li accoglie, l’ottimismo che prevale. «Qui saremo felici», pensa la protagonista Francesca. Il marito, Massimo, «non l’aveva mai visto più soddisfatto di così». E una delle due bambine, Emma, aveva appena pronunciato la sua seconda parola: «rosso».
Siamo a pagina 19 del nuovo libro di Antonella Lattanzi, “Questo giorno che incombe” (HarperCollins), e ne serviranno più di 400 per capire che no, le cose non andranno bene. Nel nuovo palazzo si cela un segreto, e nella trama si nasconde «un incidente», il cosiddetto evento nero che scombussola piani e vite e rimette tutto in gioco.
La storia proviene dalla realtà, o meglio: dalla biografia stessa dell’autrice. Una vicenda terribile che era accaduta nel palazzo in cui viveva con la famiglia.
«Io ero troppo piccola per capire. Avevo otto mesi. Anche mia sorella era troppo piccola. Aveva quattro anni. Però, che qualcosa non andava lì lo capimmo molto presto», scrive nella prefazione. I bambini non scendevano mai da soli in cortile, li accompagnavano a scuola e «vedevo chiaramente che c’erano mogli che non si fidavano a lasciare i figli coi mariti, o mariti che non lasciavano mai soli i figli con le mogli».
L’episodio le verrà poi ricordato dal padre, molti anni dopo e ormai adulta, quasi come se lei lo avesse sempre saputo. Per tutti quelli del palazzo era «l’incidente», anche se le dinamiche erano quelle di un’altra cosa, dove c’è una volontà, un colpevole e una vittima.
Appena scopre (o riscopre) questa verità, i ricordi riaffiorano. Quelli belli, «ma anche gli altri». Il tema diventa motivo di riflessione e indagine. E poi di un libro.
“Il giorno che incombe” è allora la storia di un lento dipanarsi del male, atteso fin dalle prime pagine, presentito dai graffi della protagonista, intravisto nel cancello rosso che si richiude dietro di lei e nelle ombre che la sorprendono fuori dalla porta. Come sempre accade in letteratura, il tema supera lo spunto della realtà e ne crea una nuova e più esatta.
Sono documentati, con precisione millimetrica, i primi giorni. L’arrivo colmo di speranza. L’aspettativa. I primi dubbi, le perplessità, il lento incrinarsi. Francesca, si scopre con un lento flashback, aveva lasciato il lavoro e, approfittando della sua nuova condizione, pensava di essere libera. Non sarà così. Il condominio, da sempre metafora del mondo, diventa col tempo quella di una prigione. Gli abitanti che lo popolano sono, a seconda delle situazioni, carcerieri e galeotti. Tra questi c’è Carlo, il giovane bello e simpatico. E Massimo, il bel solitario e misterioso. Ognuno avrà un ruolo decisivo.
Al lento sfacelo della mente di Francesca si accompagna quello del matrimonio: prima le tentazioni, poi le incomprensioni. O viceversa (il confine tra le due è sempre sfumato). Qualcosa non va più nemmeno con le figlie. Interi episodi dimenticati, notti insonni, una profonda tristezza.
E poi c’è l’incidente, il momento in cui tutte le tensioni esplodono e i condomini diventano nemici e complici, in una nebbia di sospetti e veleni. Il palazzo, «che ha un suo respiro», ormai l’ha imprigionata. Saranno le sue scelte a determinare destini e distruzioni.
Il romanzo è così un racconto dell’oscuro. Il tema è antico, narra il passaggio dalla felicità all’infelicità, o di come una colpa, o un errore, possano diventare una maledizione per tutte le persone vicine.
Ma attenzione: il trattamento minuzioso, quasi microscopico e dettagliatissimo delle vicende aiuta a celare, più che a mostrare, il senso profondo. La lente di ingrandimento impiegata da Lattanzi per scandagliare psicologie e momenti è in realtà un velo che nasconde sia il trattato antropologico, che si dispiega nei comportamenti di gruppo dei condomini, che l’indagine psicologica, che arriva a studiare il limite delle possibilità della mente della protagonista. Fino all’abisso, di violenza (e vendetta e punizione, ma ci si ferma qui).
Se non fosse una parola abusata per la letteratura, si potrebbe dire insomma che “Questo giorno che incombe” è un romanzo «potente». Parla di lacerazioni e paure, con coraggio e verità e riesce, con la sua struttura, quasi a risolvere «l’incidente» come un pretesto, elemento terribile per raccontare la contaminazione e il disagio.