È il programma francese più visto in streaming, il primo a entrare nella top ten di Netflix. A una settimana dalla sua uscita è già al secondo posto, nel giro di un mese avrà superato sia “La regina di scacchi” che “Bridgerton”. È questo il vero trucco di “Lupin”: salire subito in cima alla classifica, polverizzare i record e regalare un po’ di orgoglio alle produzioni francesi.
Non succede per caso. La serie (cinque episodi di 40 minuti circa) è leggera e veloce e il personaggio di Lupin, che in Italia è noto più per la sua versione animata giapponese che per i romanzi dello scrittore Maurice Leblanc (lo ideò all’inizio del ’900), è un colpo sicuro. Il merito sta nell’idea stessa del ladro-gentiluomo, dalla morale pura e dai piani geniali, e soprattutto nell’interpretazione di Omar Sy (“Quasi amici”), che con mano felpata e modi eleganti ha conquistato tutti (Sharon Stone ha già dichiarato di essersi innamorata).
Come voleva il suo ideatore, il britannico George Key, l’ambientazione è contemporanea. L’Arsène Lupin della Francia multiculturale si chiama Assane Diop, è di origini senegalesi, con infanzia difficile alle spalle e una montecristiana vendetta davanti. Il suo obiettivo è trovare e punire l’uomo che ha mandato in prigione suo padre («fiero, integro») e lo ha spinto, con accuse false, al suicidio.
Tutte le arti furfantesche di Assene, apprese leggendo proprio i libri di Leblanc, sono al servizio di questa missione. Ha i suoi vari aiutanti (alcuni occasionali, altri più fedeli), uno spirito aristocratico, e il tranquillo aplomb di chi sa che se la caverà sempre. Anche lo spettatore lo sa: e il bello non è vedere i suoi piani in azione, ma rivederli (subito dopo) spiegati alla moviola. Come l’illusionista che spiega i suoi trucchi.
Nonostante lo scarso battage iniziale, la serie ha guadagnato subito consensi. I francesi sono entusiasti (con alcune eccezioni, come l’accoglienza tiepida del Figaro) gli americani anche di più. Il critico Roger Eberts si è già esposto: «È la prima grande serie del 2021. Un puzzle che crea dipendenza, combina gli elementi della serie “Luther” alle indagini di Sherlock Holmes», solo che qui il protagonista è il ladro che beffa la polizia e non il detective che scova il delinquente. Altro spirito, si direbbe.
Male non fa, soprattutto per gli Stati Uniti, l’ambientazione parigina, le sale del Louvre, i ristoranti di lusso, comprese le puntatine nelle periferie più disastrate.
Le polemiche iniziali, dovute al fatto che il ruolo del protagonista era stato assegnato a Sy, attore di colore (nelle fasi iniziali non era chiaro al pubblico che il personaggio non sarebbe stato il tradizionale Lupin), si sono subito spente. Ma il tema del razzismo, sottostante e sottaciuto, rimane. Lo si vede ad esempio quando Assene Diop impersona personaggi influenti, ricchi e potenti: gli interlocutori, quando lo incontrano, commentano ogni volta: «Non me lo aspettavo». Lo si vede nelle scene in carcere, lo si rivede nella composizione, multietnica, della polizia. Ne esce una Francia ideale, forse migliore della realtà.
Ma è una serie Netflix, non un trattato sociologico. Il suo lavoro è un altro. Far sognare una umanità ancora confinata tra mura e regioni: il ladro elegante non ha restrizioni, entra ed esce a suo piacimento, si fa beffe dei controlli e non ha bisogno di compilare scartoffie. Non solo: è anche un uomo che ha sempre un piano, il che lo pone già al di sopra di quasi tutta la classe politica italiana. Se si pensa poi che, con astuzia e intelligenza, lo fa sempre funzionare, si capisce che è fiction. E anche perché piace così tanto.