Lo Sputnik è atterrato in Europa. Il controverso vaccino russo, dal nome evocativo che richiama il primo satellite artificiale ad aver orbitato intorno alla Terra, ha fatto ingresso nell’Unione europea tramite l’Ungheria del sovranista e antieuropeista Viktor Orbán. Il premier ha approvato l’utilizzo dello Sputnik bypassando la Agenzia europea del Farmaco (Ema) che ancora non ha dato il via libera alla richiesta di autorizzazione per l’utilizzo del vaccino russo nell’Unione.
Senza attendere l’esito della valutazione dell’agenzia Orbán ha ordinato una quantità non precisata di dosi di Sputnik e intende procedere anche senza autorizzazione. Secondo la Bbc la vaccinazione potrebbe iniziare inoculando 6.000 dosi del vaccino russo in 3.000 volontari ungheresi.
Se la Guerra fredda era tempo di corsa allo spazio, oggi è una corsa contro il tempo nella guerra al covid-19. E oggi come allora, dietro al ruolo attivo della scienza, sparato in primo piano, si intravede il frenetico attivismo della politica.
La decisione di Orbán rappresenta infatti molto più di un già grave strappo procedurale. Il “capo di Visegrad” ha giustificato la sua scelta sciorinando il più classico dei j’accuse sovranisti contro l’Unione europea: la lentezza nelle decisioni e quindi l’inadeguatezza a risolvere i problemi reali dei cittadini con la dovuta risolutezza e tempestività.
Insomma, mentre l’Europa dorme, mentre si crogiola nelle lente pastoie delle procedure di controllo (sui vaccini che dovranno essere inoculati nelle persone), il volitivo Orbán dribbla i protocolli scientifici e si intesta in solitario la battaglia per salvare almeno il popolo ungherese dal covid-19 e, secondo lui, anche dall’incapacità degli euroburocrati: «Gli ungheresi non moriranno perché Bruxelles è lenta nell’acquisto del vaccino. Abbiamo bisogno del vaccino perché questo significa vita».
Ma cosa ne pensano gli ungheresi? A sentire le opinioni di accetta di parlare apertamente (cosa potenzialmente rischiosa in Ungheria) si registrano opinioni contrastanti. C’è chi è ben disposto verso l’utilizzo dello Sputnik, ma anche chi non si fida di un vaccino che verrebbe autorizzato nel caso dalle sole autorità ungheresi.
Come riportato dal Financial Times, secondo un sondaggio condotto il 14 gennaio dall’ufficio statistico ungherese il 30% per cento degli intervistati ha dichiarato di non voler essere vaccinato, mentre il 27 per cento ha dichiarato che lo accetterebbe. Ma Orbán tira dritto: «Dopo l’epidemia, ci sarà tempo per gli Stati membri di esaminare se sia stata o meno una buona decisione affidare l’approvvigionamento del vaccino a Bruxelles».
Quasi temendo che il messaggio non arrivi a pieno, chiama in causa i suoi modelli di riferimento: Israele, Regno Unito e Russia. Secondo Orbán, l’Unione dovrebbe vergognarsi per non essere riuscita a fornire il vaccino ai propri cittadini con la stessa celerità dei suddetti Paesi. Ora, se si esclude da questa polemica Israele, Paese mediorientale, secondo Orbán abbiamo dalla parte dei capaci la Russia e in Occidente il Regno Unito, dove sappiamo quale disastro sia la gestione dell’emergenza.
E gli Stati Uniti? Fino a qualche mese fa sarebbero stati anche loro un modello per Orbán. Ora, per fortuna, non più. Con Joe Biden nello studio ovale si torna a parlare di atlantismo e multilateralismo. Si torna a parlare da veri occidentali. Mentre a Budapest, si fa della vicenda vaccini un’occasione per sferrare l’ennesima intemerata contro lo spauracchio preferito: le istituzioni europee. Quel covo di tecnocrati accentratori da cui però l’Ungheria trae gran parte dell’ossigeno e dei nutrienti indispensabili per la sua crescita.