Il Partito democratico è diviso. Molti, soprattutto nei gruppi parlamentari, non vogliono morire per Giuseppe Conte e hanno capito che proprio Conte è un ostacolo per la governabilità del Paese, per cui si pongono il problema di cercare altre strade che salvino la legislatura e la faccia.
Già, c’è anche un problema di “faccia” in questa vicenda. Lo ha scritto su Twitter Alfredo D’Attorre, ex deputato bersaniano. “Non perdere la faccia”: come al solito nei momenti salienti a sinistra è l’ora dei rancori, dei risentimenti, dei sospetti, e se ne fa una questione, si direbbe, di dignità. I dirigenti e i militanti del Pd, partito che proviene da due antiche famiglie ove la Politica, con la sua dose di compromessi, fu stella polare, sono infatti offesi – non sapremmo trovare altra parola – perché si sentono portati a spasso dal loro ex segretario, l’intruso di ieri, il traditore di oggi.
Questo il Pd proprio non sopporta: di essere bloccato sulle gambe in conseguenza di una iniziativa di un partito “del 2 per cento” (mai il dottor Pagnoncelli è stato così preso per oro colato) e la cosa ferisce nel profondo, giacché il Partito non può farsi prendere per il bavero da un gruppetto di fuoriusciti. È una classica reazione emotiva ma questa non è politica. Figuratevi se Fanfani o Amendola si fossero “offesi”. E comunque la realtà è questa, e non può essere negata: Conte non ce la fa, e il dubbio ormai è se si dimette prima del voto oppure dopo il voto su Bonafede. A meno di clamorose sorprese, la strada è segnata.
Di fronte a questa situazione, invece di offendersi in modo persino infantile, il Pd dovrebbe assumere una qualche iniziativa tesa a sbloccare la situazione, iniziando a smetterla di ripetere cose a cui nessuno crede tipo “o Conte o elezioni”, perché tutti hanno capito che una bella parte (la maggioranza?) del Pd le elezioni non le vuole proprio, e forse a questo punto non vuole nemmeno più Conte. Ci si comincia a chiedere se davvero convenga “morire” per un premier che si è innamorato del proprio ruolo e di se stesso al punto di non interpretare la realtà, di non vedere che l’edera non può essere più alta del muro che la sorregge; che ormai crede a tutto ciò che gli sussurrano all’orecchio; e che nutre l’ambizione di correre per sé con un progetto nocivo proprio per il Pd, nato per per mettere assieme i vari riformismi con l’ambizione di svolgere una funzione maggioritaria: “L’invenzione della quarta gamba – ha osservato Paolo Pombeni sul Mulino – scompagina non solo l’orizzonte del bipolarismo, ma toglie la possibilità al Pd di tenere nel suo seno componenti diverse come era in parte avvenuto fino a ora (anche se con esiti non sempre brillanti). Il sistema italiano con una quarta gamba di quel tipo tornerebbe al quadro ottocentesco di una politica senza partiti, ma con gruppi parlamentari formati attorno a vari capi”. Il Pd, offeso da Renzi, rischia dunque di essere umiliato da Conte.
Ecco perché l’elenco di chi dissente dalla linea “Conte o elezioni” si allunga ogni giorno di più. Ne avevamo parlato, dei brontolii dei riformisti. Piano piano i parlamentari riacquistano la voce. Non sono più i soliti Giorgio Gori e Tommaso Nannicini, perfino il ministro Francesco Boccia ha aperto a uno scongelamento del rapporto con Matteo Renzi. E peseranno le parole di Romano Prodi: “Non è raccogliendo qualche parlamentare in cerca di sistemazione che si prepara il nostro futuro”. Altro che Costruttori.
Ma invece ecco il vicesegretario Andrea Orlando rispondere con l’arzigogolo politicista, e pur di salvare Conte non trova niente di meglio che chiedere a Bonafede di edulcorare le sue convinzioni magari sul tema della prescrizione “per dare un segnale”, cioè chiede al ministro della Giustizia sostanzialmente di mentire al Parlamento in cambio di una qualche benevolenza da parte dei cattivi di Italia viva. È una risposta all’altezza?
Il rischio “strategico” che il Pd corre è dunque quello di finire in una imprevista tenaglia Renzi-Conte che può stritolarlo annebbiandogli la vista e togliendogli il fiato, lasciandolo prigioniero dei fantasmi e persino tentato di rovesciare il tavolo (il continuo spauracchio delle elezioni) pur di “ammazzare” il senatore di Scandicci e già che ci siamo di emarginare tutti coloro in odore di intelligenza col nemico, un bel repulisti che impedisca ora e per sempre rivincite o anche solo condizionamenti del vertice. E dunque l’imperativo categorico del Nazareno è non dargliela vinta a Renzi a rischio di impantanarsi nelle sabbie mobili dei Costruttori, e di immolarsi per l’avvocato del popolo. Correndo così il rischio di essere umiliati, oltre che offesi.