Conflitto congelatoL’impossibile dialogo all’interno della società serba sullo status del Kosovo

La polemica tra il vescovo della Chiesa ortodossa e il presidente dell'Accademia delle scienze delle arti è l’ultimo esempio di quanto sia ancora un tabù il tema dell’indipendenza di Pristina e il suo rapporto con l’Albania

LaPresse

Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

Una polemica tra Grigorije Durić, vescovo della Chiesa ortodossa serba, attualmente alla guida dell’eparchia di Düsseldorf e di tutta la Germania, e Vladimir Kostić, presidente dell’Accademia serba delle scienze e delle arti (SANU), oltre a suscitare tutta una serie di equivoci, ha fatto riemergere una questione che da sempre tormenta la Serbia: di chi è il Kosovo?

Il dibattito pubblico che ne è scaturito ha evidenziato però un aspetto ancora più preoccupante della polemica iniziale. A giudicare dalle reazioni dell’opinione pubblica, la stragrande maggioranza dei cittadini serbi ritiene inaccettabile anche la sola possibilità che nell’ambito del dialogo sul Kosovo si possa discutere sul fatto che molti paesi considerino il Kosovo come un soggetto internazionale e che in Kosovo gli albanesi rappresentino il gruppo etnico di maggioranza.

Il caso dell’accademico Kostić ha dimostrato che parlare delle possibili conseguenze a lungo termine di tale atteggiamento può rivelarsi pericoloso, perché contro chi si azzarda a parlarne viene subito messa in moto la macchina del fango.

Tutto è iniziato quando, in un’intervista rilasciata all’emittente NewMax Adria, il vescovo Grigorije – uno dei più influenti esponenti di quella corrente minoritaria all’interno della Chiesa ortodossa serba che si oppone apertamente all’attuale governo serbo e al presidente Aleksandar Vučić – ha affermato di voler riunire il maggior numero possibile di persone pronte a sacrificarsi per la Serbia, allo scopo di creare un sistema in cui nulla dipenderà da una sola persona.

«Se posso fare qualcosa per il mio popolo e se il popolo se lo aspetta, allora voglio riunire 30, se possibile anche 300 persone, tra 30 e 60 anni, disposte a sacrificarsi per la Serbia», ha dichiarato il vescovo Grigorije.

Le reazioni della Chiesa
La reazione della Cancelleria del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa serba non si è fatta attendere. Il Santo Sinodo ha fatto sapere che le affermazioni del vescovo Grigorije non hanno nulla a che vedere con la Chiesa ortodossa serba perché il vescovo ha espresso un’opinione personale in quanto cittadino, e non come rappresentante della Chiesa.

Nel comunicato stampa emesso dal Santo Sinodo si afferma che le dichiarazioni del vescovo Grigorije rispecchiano una sua opinione personale e il suo impegno individuale, intrapreso non in veste di «arcipastore del Popolo di Dio bensì esclusivamente come cittadino».

Nel comunicato si legge inoltre che le affermazioni rilasciate dal vescovo Grigorije nei giorni di festa appena trascorsi – giorni segnati dalla pandemia e dalle sofferenze umane e danni materiali causati dal sisma che ha colpito la Banovina (Croazia) – hanno suscitato ulteriore confusione tra i fedeli e l’opinione pubblica.

«Si tratta di affermazioni di carattere puramente politico, o addirittura partitico, che non hanno alcun punto in comune con la fede in Cristo Salvatore né con la missione della Chiesa ortodossa», si afferma nel comunicato.

Ovviamente, i vertici della Chiesa ortodossa serba hanno posto l’accento sulla dimensione politica delle affermazioni del vescovo Grigorije, senza criticare invece il suo atteggiamento sul Kosovo, poi al centro della successiva polemica, che è sostanzialmente in linea con quello di altri esponenti della Chiesa.

Ben presto però l’annuncio del vescovo Grigorije, considerato da molti come “il Makarios serbo” (il riferimento è all’arcivescovo Makarios III, presidente della Repubblica di Cipro dal 1960 al 1977), di volersi impegnare nella vita politica è passato in secondo piano.
Alcuni media, perlopiù tabloid vicini al regime, hanno riportato la notizia secondo cui all’indomani dell’intervista rilasciata dal vescovo Grigorije alla tv NewsMax Adria l’accademico Vladimir Kostić avrebbe dichiarato alla stessa emittente che «il Kosovo non ci appartiene, occorre rendersene conto il prima possibile» e che avrebbe invitato il vescovo Grigorije a smettere di «usare slogan» che spingono i serbi a sentirsi eroi.

Una notizia palesemente falsa, perché Kostic aveva pronunciato quelle parole nel 2015. In un’intervista rilasciata a Radio Beograd, il presidente della SANU aveva affermato che in quel momento l’unico interrogativo politico da porsi era «come abbandonare il Kosovo con dignità, perché il Kosovo non appartiene più alla Serbia, né de jure né de facto, e qualcuno lo deve dire al popolo».

Qualcuno si è ricordato di questa dichiarazione risalente a quasi sei anni fa, sostenendo che Kostić l’avrebbe pronunciata all’indomani dell’intervista rilasciata da Grigorije Durić, rivolgendosi anche al vescovo.

E il vescovo Grigorije – come riportato dal quotidiano Danas – ha prontamente reagito, affermando: «Non è vero, il Kosovo ci appartiene sia de jure che de facto. Ci appartiene de jure, perché se fosse altrimenti nessuno ci avrebbe chiesto di dare il nostro consenso per rinunciare al Kosovo, e ci appartiene de facto perché lì vive il nostro popolo e ci sono i nostri luoghi sacri».

Il presidente della SANU, dal canto suo, ha subito smentito la notizia riportata dai tabloid, chiedendosi: «A chi giova questa bugia?».

«Non ascoltate me, ascoltate l’intervista, non ho mai detto una cosa simile», ha dichiarato Kostić, sottolineando di aver «insistito sul dialogo e sul fatto che nessuno ha il diritto di monopolizzare la verità».

Kostić ha inoltre affermato di non aver mai menzionato il vescovo Grigorije e di non aver né letto né guardato la controversa intervista rilasciata da quest’ultimo.

«Io accetto di avere torto, ma chiedete al vescovo se ha invece ragione lui. Recentemente ho viaggiato e ho attraversato il confine [con il Kosovo], mi hanno indicato alcune parti di una strada dove non è consigliabile passeggiare. Sarebbe ottimo se fosse stato Vladimir Kostić ad aver firmato l’Accordo di Kumanovo, l’Accordo di Dayton e l’Accordo di Bruxelles, così si saprebbe chi è il colpevole e non ci sarebbe nulla di cui preoccuparsi», ha dichiarato il presidente della SANU.

Kostić ha sottolineato che la veridicità delle sue parole può essere facilmente accertata ascoltando la sua intervista rilasciata all’emittente NewsMax Adria, aggiungendo che non sarebbe dovuto nemmeno intervenire sulla vicenda se quelli che hanno messo in moto questa campagna mediatica avessero voluto ascoltare quello che aveva effettivamente detto in quell’intervista.

«Non ho esplicitamente citato nessun nome, pertanto i titoli dei tipo ‘Il vescovo Grigorije smetta di usare slogan!’ sono semplicemente infondati. Per di più, al momento dell’intervista non ero a conoscenza di nessuna affermazione di quel vescovo della Chiesa ortodossa serba, non sapevo nemmeno chi fosse, lo ha confermato anche l’emittente», ha spiegato Kostić.

Manipolazione mediatica
Alla fine si è dimostrato che questa intricata storia incentrata sul “dialogo” tra l’accademico Kostić e il vescovo Grigorije non è altro che un’operazione di manipolazione mediatica abilmente orchestrata con l’intento di screditare sia il vescovo Grigorije che Vladimir Kostić, il primo per il suo impegno politico e il secondo per il suo “disfattismo sul Kosovo”.

Questa polemica ha fatto emergere anche un’altra questione, a quanto pare molto più seria: è possibile avviare un dialogo all’interno della società serba sullo status del Kosovo?

È evidente che si tratta di una questione che, oltre a essere poco gradita, può rivelarsi pericolosa se chi la solleva si scosta anche minimamente dall’idea secondo cui «il Kosovo appartiene alla Serbia».

Kostić ha citato anche altre situazioni spiacevoli e minacce che lui e la sua famiglia hanno subito negli ultimi anni, constatando che non doveva alzare la voce e che gli attacchi a cui è stato esposto in passato erano meno maligni di quelli che sta subendo oggi.

Evidentemente solo poche persone hanno sentito quello che Vladimir Kostić ha effettivamente detto in quell’intervista, anche perché la macchina propagandistica ormai sta galoppando piuttosto velocemente.

Tutto lascia intendere che l’intera polemica è stata creata dalla leadership al potere con lo scopo di saggiare, ancora una volta, la reazione dei cittadini serbi all’idea che il Kosovo non appartiene alla Serbia né de jurede facto, ma anche con l’intento di annunciare la possibilità che tale ipotesi possa avverarsi.

I cittadini serbi – come ha dimostrato anche questa vicenda – dovranno aspettare ancora per molto tempo le risposte a tre domande chiave: cosa accadrebbe, ovvero quali sarebbero le conseguenze di un’eventuale decisione della Serbia di riconoscere la statualità del Kosovo? Vučić, o qualcun altro, può, e a quali condizioni, riconoscere l’indipendenza dell’ex provincia meridionale della Serbia? E infine, cosa comporterebbe il cosiddetto “conflitto congelato” in termini politici, economici e culturali?

Senza dare risposte chiare a questi interrogativi non sarà possibile risolvere la questione del Kosovo, e continueremo ad assistere ai tentativi di manipolare il sentimento nazionale dei serbi.

Il governo serbo – se non quello attuale, allora uno di quelli che verranno – dovrà rendersi conto che, prima o poi, dovrà sciogliere questi interrogativi e solo allora sapremo di chi sarà il Kosovo.

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