Ristorni in patriaCosa prevedono i nuovi accordi sui frontalieri firmati da Italia e Svizzera

Finiscono i privilegi fiscali e i vantaggi per lo Stato elvetico, ma ora il rischio è che ci siano lavoratori trattati in modo diverso

AP Photo/Antonio Calanni

Equilibrio. È la parola che potrebbe definire in breve gli accordi su alcuni aspetti fiscali del lavoro transfrontaliero italo-svizzero nel summit romano fra le delegazioni della confederazione. la controparte italiana e le Regioni interessate.

Firmato a Roma il 23 dicembre, con entrambi i Paesi in piena pandemia di Covid-19 grazie agli uffici del viceministro dell’economia Antonio Misiani (tra i più attivi mediatori nella trattativa) insieme alla ministra per le questioni finanziarie internazionali svizzera Daniela Stoffel, l’accordo getta le basi e delinea nuovi rapporti futuri fra i due Stati, con interventi di ampio respiro che modificheranno, dal momento della ratifica parlamentare, alcune problematiche da sempre accantonate e relegate all’oblio nella controversa relazione tra Italia e Svizzera. In particolare nella sfera economica fiscale.

Tra queste figura la nuova definizione data alla figura del lavoratore frontaliere. Secondo gli accordi è quell’individuo che è fiscalmente residente in un comune compreso nella fascia di 20 km dal confine con l’altro Stato contraente dell’accordo, lavora come dipendente nell’area di frontiera dell’altro Stato e ritorna in linea di massima quotidianamente al proprio domicilio nello Stato di residenza.

Un concetto che descrive la maggior parte delle attività degli attuali frontalieri, che saranno comunque toccati in minima parte dalle nuove norme rispetto a chi sottoscriverà un contratto di lavoro dopo l’entrata in vigore della legge-accordo nei due Stati.

Gli attuali frontalieri conserveranno fino alla pensione uno status quasi privilegiato grazie a norme vecchie ancora in vigore che potrebbero rientrare come vero e proprio grandfathering normativo. Sono leggi che risalgono al 3 ottobre 1974 e che il nuovo accordo bilaterale vorrebbe eliminare.

Attuali e nuovi frontalieri
L’accordo getta le basi per regolamentare le figure dei frontalieri di domani: per loro ci sarà una tassazione mista, che prenderà il posto della sola imposizione fiscale elvetica. Quest’ultima rimarrà prevalente comunque all’80% e poi subentrerà una tassazione italiana, come Stato di residenza, evitando la doppia imposizione già bandita nell’accordo del 9 marzo 1976.

Saranno inserite clausole di salvaguardia per tutte le situazioni lavorative attuali e per tutti coloro che cominceranno a lavorare dal giorno dell’accordo fino alla ratifica dei parlamenti della legge ufficiale. Sia i nuovi che gli attuali frontalieri usufruiranno in territorio rosso-crociato di aliquote moltiplicatrici cantonali medie, invece che specifiche del comune di riferimento, nel sistema fiscale svizzero.

Esisteranno poi specifici protocolli per evitare abusivismi e risolvere le controversie su casi particolari in esame alle autorità fiscali dei due Paesi, ma anche organizzazioni sindacali e l’Associazione dei Comuni di Frontiera Italiani.

Di fatto molti sono i lavoratori distanti dalla «fascia» considerata che hanno la possibilità di rientrare nella zona definita prima dell’entrata in vigore delle nuove normative, più restrittive. A breve potrebbero innescarsi flussi di spostamenti di persone intenzionate a essere conteggiate come frontalieri secondo le vecchie definizioni, evitando così il nuovo meccanismo fiscale.

Nell’ambito dello smart working, in futuro consultazioni periodiche fra commissioni istituite ad hoc potrebbero potenziarne lo sfruttamento in base alle dinamiche e definirne le necessità di adeguamento in base al reale fabbisogno (al di fuori cioè del periodo di distanziamento sociale imposto dalla pandemia).

L’impegno dell’Italia
La controparte governativa italiana si è impegnata a contemplare in futuro una linea nuova di flussi economici, una volta che il decennale sistema dei ristorni verrà accantonato. Il prelievo diretto alla fonte sui redditi sui nuovi frontalieri dovrà essere alleggerito, con franchigie maggiorate a 10.000 euro annui, con nuove deducibilità dei contributi di prepensionamento e le non imponibilità degli assegni familiari dagli enti previdenziali italiani.

I Comuni di frontiera, che vedranno nell’arco di pochi anni sfumati gli introiti delle risorse di ristorno dei Cantoni limitrofi, dovranno vedere rimpiazzati questi fondi dal governo centrale con nuove voci di bilancio.

Al momento l’ammontare annuale di queste risorse, derivanti dal lavoro in terra straniera di quasi 65.000 persone fra Piemonte, Lombardia e Trentino-Alto Adige è di circa 90 milioni di euro. L’Italia è il secondo Paese transfrontaliero in Svizzera, dopo la Francia (con più di 180.000 impiegati oltreconfine) e prima della Germania, che conta circa 60.000 unità. Infine, sono allo studio tavoli di confronto per lo sviluppo di uno statuto delle lavoratrici e lavoratori frontalieri, con incontri annuali per il monitoraggio dell’applicazione dell’accordo e del memorandum d’intesa.

Sarà possibile poi una riunione quinquennale di riesame bilaterale fra le due nazioni che potrà dettare modifiche sostanziali all’accordo, ma sembra già di difficile organizzazione, poiché prevede insieme a un lungo iter anche l’intervento parlamentare, tutte cose che renderanno improbabili ulteriori future alterazione degli attuali trattati di base.

La guerra dei ristorni finirà, forse
I ristorni di trasferimento fra i cantoni e l’Italia sono da tempo nel mirino di chi si oppone a questo sistema, in primis attaccati dal partito svizzero della Lega dei Ticinesi, che anni fa riuscì addirittura a bloccare parzialmente questo flusso di denaro verso le casse statali italiane appellandosi al governo di Berna e chiedendo una totale revisione degli accordi con il vicino Stato (che sostanzialmente non avvenne mai).

Il sistema è ancora attivo e rimarrà così per i prossimi 12 anni, almeno fino alla fine del 2033. Si tratta di circa 100 milioni di franchi all’anno, utili all’economia ticinese per far fronte alla pandemia, che continueranno a mancare: cioè un miliardo e più alla fine di questo periodo di transizione.

«Deludente l’accordo finale: è vantaggioso per l’Italia», dichiara Lorenzo Quadri della Lega. Altre interpretazioni sulla carenza dell’accordo si concentrano sulla totale assenza di misure contro il dumping salariale, fenomeno che da sempre spunta le armi della competitività diretta fra il lavoratore svizzero e il transfrontaliere (quest’ultimo, con un costo della vita più basso, può accettare stipendi meno onerosi per il datore di lavoro e per questo viene preferito al suo omologo elvetico). Inoltre, i frontalieri non si limitano più a insidiare i posti di lavoro più faticosi e modesti che il lavoratore svizzero non voleva più fare: le nuove generazioni, più istruite, vanno a coprire ruoli di maggior rilievo nelle aziende ticinesi.

Un punto di vista che non condivide il senatore del partito democratico italiano Alessandro Alfieri, attivo al tavolo delle trattative dalla parte governativa. In una lunga diretta social ha spiegato i vantaggi del nuovo accordo, sostenendo la riuscita salvaguardia della figura del lavoratore frontaliere su vari aspetti.

In merito all’antidumping, il meccanismo si consoliderà con l’attivazione del nuovo accordo, e i nuovi frontalieri verranno vincolati alla nuova fiscalità mista, per cui sarà difficile accettare stipendi più bassi come può succedere ora. Tuttavia non ci saranno cambiamenti per gli attuali 80mila frontalieri che continueranno a varcare le frontiere. «Non hanno ricevuto nessuna modifica contrattuale perché hanno sottoscritto mutui o spese senza sapere di questi accordi, cosa che non succede per chi lavorerà in futuro in Svizzera», spiega Alfieri.

«Con la graduale uscita di scena per anzianità dei contratti attuali, l’unica tipologia fiscale che rimarrà i piedi sarà quella mista».

Analizzando bene i dati, si nota che l’età media dei frontalieri attuali si aggira sui 40 anni, quindi con un futuro medio temporale di lavoro in terra elvetica di 25 anni. Se l’accordo venisse ratificato come previsto nel 2022-2023, nel panorama lavorativo oltrefrontiera che potrebbe delinearsi ci sarebbero ancora vent’anni di tutele a due velocità fra frontalieri attuali e nuovi, tempi burocratici di ratifica parlamentari permettendo.