Per anni Dmitriy Baskov si è trovato nel posto giusto al momento giusto. Nel 1998 era a Grodno, nell’Ovest della Bielorussia, nello staff tecnico dell’HC Neman, la squadra di hockey locale. Uno dei club meno importanti dell’Extraliga, la massima divisione bielorussa. Eppure, proprio in quella stagione il Neman ha vinto il primo titolo della sua storia. Un colpo di fortuna che si è ripetuto qualche anno dopo quando – nonostante una modesta carriera da assistente allenatore – Baskov è tornato a Minsk per diventare prima general manager della Dinamo (la squadra più importante del Paese) e poi Presidente della Federazione bielorussa di hockey.
Le cose sono cambiate la notte dell’11 novembre 2020, quando per la prima volta nel corso della sua folgorante carriera Baskov si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. I filmati amatoriali realizzati durante le proteste contro il regime di Alexander Lukashenko lo riprendono mentre – assieme ad un paio di altre persone – colpisce ripetutamente Roman Bondarenko, un manifestante che morirà il giorno dopo a causa dei colpi ricevuti.
La pubblicazione online delle immagini del pestaggio e le indagini sul ruolo di Baskov hanno finalmente convinto la Federazione internazionale di hockey (IIHF) a togliere alla Bielorussia i campionati del mondo in programma il prossimo maggio. Un colpo durissimo per Lukashenko, il leader bielorusso che ha spesso utilizzato il ghiaccio come palcoscenico per mettere in scena la popolarità della sua dittatura.
Lukashenko tiene in ostaggio il Paese da 26 anni, utilizzando ogni mezzo per mantenerne il controllo.
Alle elezioni dello scorso agosto, però, la maggioranza dei bielorussi ha scelto di ribellarsi sostenendo Svetlana Tikhanovskaya (premiata da Linkiesta tra le donne europee dell’anno), moglie dell’attivista Sergei Thikhanovsky che – prima di essere rinchiuso in una prigione di stato – aveva annunciato di volersi candidare per battere Lukashenko. Il dittatore non ha accettato il risultato delle urne ribaltando impunemente l’esito delle elezioni e dando il via a una violentissima campagna di repressione con l’obiettivo di zittire le proteste.
Dal suo esilio in Lituania, Tikhanovskaya ha chiesto più volte all’IIHF di prendere posizione contro il regime di Minsk denunciando le intimidazioni subite dall’opposizione, le migliaia di persone arrestate indiscriminatamente e una gestione scellerata dell’emergenza sanitaria.
Dopo aver abbozzato per mesi, a metà gennaio il Presidente dell’IIHF René Fasel è volato controvoglia a Minsk per parlare con Lukashenko, spinto dalla pressione ormai insostenibile dell’opinione pubblica, preoccupata dalla violenza del regime e infastidita dal rapporto un po’ troppo stretto tra Fasel e il dittatore bielorusso. Un’intimità che le foto dell’incontro hanno confermato: abbracciati e sorridenti (senza mascherina) i due hanno provato a cercare una soluzione per evitare di togliere alla Bielorussia i campionati, tentando di replicare la stessa messinscena diplomatica che nel 2014 aveva permesso al paese di ospitare l’edizione dei Mondiali di hockey nonostante la contrarietà della comunità internazionale.
A differenza di allora, però, gli sponsor della manifestazione non sono rimasti in silenzio. Le accuse rivolte a Baskov sono troppo pesanti per essere ignorate e nel giro di pochi giorni Nivea, Skoda e Liqui Moly hanno comunicato all’IIHF la loro intenzione di recedere dal contratto nel caso in cui la Federazione internazionale avesse lasciato il Mondiale alla Bielorussia. Di fronte a una minaccia così seria e costretto a gestire una crisi senza precedenti, Fasel si è dovuto rassegnare annunciando che la prossima edizione dei campionati del mondo di hockey si terrà solo in Lettonia, a Riga.
Lukashenko ha risposto denunciando il solito complotto occidentale ai danni del paese, lo stesso ritornello utilizzato in passato (e tornato di moda in questi giorni durante il processo farsa ad Aleksej Navalny) da Vladimir Putin, che è stato a lungo un convinto sostenitore del regime di Minsk. Da alcuni anni, però, la Russia ha deciso di prendere le distanze da Lukashenko chiudendo i rubinetti dei propri investimenti e contribuendo alla fine di quella stabilità economica che ha permesso a Lukashenko di rimanere al potere nonostante la crescente insofferenza dei suoi cittadini per un sistema politico sempre più autoritario.
La decisione dell’IIHF è stata accolta con soddisfazione dalle principali federazioni di hockey (tra cui Canada e Stati Uniti, non proprio entusiaste all’idea di mandare allo sbaraglio i propri atleti dopo aver messo in piedi per l’Nhl un severo protocollo sanitario) e rappresenta una boccata d’ossigeno per Svetlana Tikhanovskaya e per quei milioni di bielorussi che da mesi stanno combattendo per il futuro democratico del loro paese. Una battaglia che, curiosamente, può essere vinta anche grazie a una “sconfitta” sul ghiaccio, per una volta accettata con il sorriso.