Architettura e poterePutin è solo l’ennesimo dittatore che ama i palazzi monumentali

Non c’è leader autoritario che non abbia interesse a stare in edifici giganteschi e il presidente russo segue il manuale. È il complesso di Versailles che si ripresenta nei secoli, perfino nelle scelte di stile (neoclassiche)

da Youtube

Le rivelazioni del dissidente russo Alexej Navalny sul palazzo segreto di Vladimir Putin non hanno stupito nessuno. Complesso enorme, area impenetrabile, edifici e uffici al servizio del suo proprietario. E ancora: parco e giardini, zona nautica riservata (è il presidente), uomini della sicurezza ovunque e, infine, il tocco geniale delle aquile imperiali.

Se esistesse un manuale dell’architettura autoritaria, questo progetto lo avrebbe seguito alla perfezione. Stile neoclassico con colonne e scalinata, seguendo il modello Versailles, da secoli punto di riferimento dell’estetica del potere assoluto. Ma soprattutto: portata monumentale e tendenza megalomane. È il biglietto da visita del dittatore.

Gli esempi non mancano: il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha basato parte del suo consenso sui cosiddetti «progetti folli» (ponti, trafori, interi quartieri rifatti), ha un complesso ad Ankara perfino più grande rispetto a quello di Versailles.

L’ex presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, il più anziano capo di Stato del mondo, per sé aveva costruito a Harare, la capitale, una sorta di copia della Casa Bianca. Più grande, con una gigantesca piscina e una parte di tetto in stile cinese, con tegole blu di Shanghai (da qui il nome “Blue Roof”). Del resto Pechino e la Malesia avevano finanziato la sua costruzione.

L’ex leader ucraino Viktor Yanukovich si era insediato alla Mežyhir”ja, ex palazzo governativo dagli anni ’30, in un parco di 140 ettari, con affaccio sul fiume Dnepr, un molo per lo yacht e tutti i comfort possibili: i campi da tennis e di golf, il classico eliporto e uno zoo privato. Saddam Hussein, in Iraq, aveva almeno 100 palazzi tutti per lui. Se non vinceva nella grandezza, è ben piazzato per il record della quantità.

Nursultan Nazarbayev, ex presidente del Kazakistan ha ricreato – anche lui – una Casa Bianca futuristica e dal gusto discutibile. Al centro di Astana, ora Nur-Sultan, l’Ak Orda sorge al termine di un viale aperto da due grattacieli verde acido. Spicca la sua cupola celeste, gli specchi e una guglia dorata che regala il record (anche qui) di palazzo presidenziale più alto del mondo.

Ognuno fa cose esagerate (è parte del manuale: grandiosità, imponenza, paura). Nicolae Ceausescu, il dittatore rumeno, per esempio, aveva distrutto intere fasce di Bucarest per il suo straordinario Palazzo del Parlamento. Non è riuscito a finire le decorazioni perché, nel frattempo, la folla si è sollevata.

Anche in Russia, in seguito all’arresto e alla condanna di Navalny, ci sono state manifestazioni popolari represse con la forza. Sul palazzo Putin ha glissato e si è fatto avanti il miliardario Arkady Rotenberg, dichiarando di essere il proprietario dell’edificio segreto. Può perfino essere vero, sulla carta, anche se il dettaglio delle aquile imperiali sembra dire fin troppo.

Ma resta il fatto che il contrasto, schiacciante, tra la povertà diffusa e l’esibizione di ricchezza del dittatore (che costituisce una variabile della funzione autoritaria) si ritrova in tutte le situazioni.

Adam Gopnik ricorda sul New Yorker che tutte le dittature sono simili tra loro: intimidazione, piaggeria, attaccamento al potere, repressione, culto della personalità e, alla fine, il nascondimento nel palazzo.

È questo il punto che distingue la leadership carismatica – dove il capo si vede e si fa vedere – e il culto della personalità, in cui il capo si cela, sottraendosi allo sguardo. Al loro posto parlano le architetture, i paramenti chic, i manici dorati. E per le popolazioni provate, sono più che eloquenti.

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