La variante de coccio si diffonde minacciosa dentro il Partito democratico da ieri promotore con gli alleati contiani di uno stravagante intergruppo parlamentare Pd-Cinquestelle-LeU che, testuali parole, «a partire dall’esperienza positiva del governo Conte II» (non ridete, c’è da piangere) «promuova iniziative comuni sulle grandi sfide del Paese, dalla emergenza sanitaria, economica e sociale fino alla transizione ecologica ed alla innovazione digitale».
Per capirci, il Pd ha costituito un intergruppo parlamentare che suggerirei di chiamare “ridotto di Volturara Appula” per affrontare le grandi sfide sanitarie, economiche, tecnologiche e ambientali con i medesimi compagni giallorossi con cui fino all’altro ieri non è stato in grado di affrontarle in modo efficace, tanto da essere stati tutti quanti rimossi con una manovra politica ai limiti della circonvenzione di incapace (ma il punto era esattamente quello dell’incapacità) per far posto agli adulti della Repubblica, cioè a qualcuno in grado di saper presentare all’Europa un piano di sviluppo del paese e all’Italia uno di vaccinazioni contro il coronavirus.
Ma la fissazione è peggio della malattia, quindi i vertici del Partito democratico non mollano l’idea dell’alleanza strategica con i manganellatori digitali e preparano la riscossa nel ridotto dell’intergruppo.
Eppure il Pd non è un partito di reduci del contismo. Non è nato per consegnarsi all’avvocato del popolo sovrano, già vice del Salvini e del Di Maio anti Euro, già sodale di Putin e di Trump.
Al contrario, il Pd è un partito liberal socialista e riformista che può contare su tanti deputati e senatori seri e preparati, su leader rispettati nelle istituzioni internazionali, su uomini (purtroppo non donne) nei posti chiave del nuovo governo Draghi.
Solo che al momento, tranne rare eccezioni, nessuno di loro si vede, nessuno di loro parla, nessuno di loro si oppone apertamente alla fissazione dell’alleanza strategica con i populisti. Si limitano a salutare sottovoce la liberazione dall’incubo Conte, ma manifestano ancora segni evidenti della sindrome di Stoccolma, forse perché qualche altro giorno di indulgenza potrebbe anche valere un posto da sottosegretario che puntualmente non arriverà.
Il momento per riprendersi il Pd, l’unico grande partito democratico italiano, e per rilanciarlo con un’iniziativa politica antipopulista capace di attrarre consensi al centro è esattamente questo. Per la prima volta dalla sconfitta del referendum costituzionale del 2016, c’è una prospettiva nuova, credibile, europea, e anche atlantica, ma che non ha ancora una rappresentanza politica.
Prima o poi nascerà una nuova alleanza liberal-democratica a occupare quello spazio, forse la Lega nazionalista si convertirà in Partito del Pil, ma intanto è il Pd ad avere a disposizione la capacità di governo, la credibilità internazionale e le risorse umane e intellettuali per riuscirci, a patto che i riformisti comincino a farsi sentire e organizzino nel partito e nel paese la transizione antipopulista verso lo sviluppo economico, digitale ed ecologista del Next Generation Eu.