Golpe borgheseLa teoria complottarda di Bettini sulla caduta del Conte II (in vista del congresso dem)

Secondo l’ideologo dai piedi scalzi, “il-mai-sconfitto” (che sarebbe Giuseppi) è stato abbattuto da una congiura dei salotti buoni, che si sono comprati i giornali e hanno assaltato Confindustria per liquidare il luminoso governo giallorosso che stava raddrizzando le sorti dell’Italia (e del mondo).

LaPresse/Fabio Cimaglia

Nei giorni scorsi Goffredo Bettini – l’ideologo dai piedi scalzi, reincarnazione politica dei medici cinesi che giravano nei villaggi ai tempi della rivoluzione culturale maoista praticando l’agopuntura, senza incarichi, senza ruolo, senza potere che non gli derivi dalla forza delle sue idee – ha riassunto in un lungo articolo sul Foglio la piattaforma politica del documento che Nicola Zingaretti presenterà al prossimo congresso del Partito democratico: congresso non più rinviabile e che comincia a essere richiesto da più parti all’interno del partito.

Il mai sconfitto
Al centro della sua riflessione c’è ovviamente la necessità di confermare l’alleanza tra M5S, Pd e Leu sotto l’egida di Giuseppe Conte – definito “il mai sconfitto” quasi fosse una specie di Kim Il-sung redivivo – come unica prospettiva praticabile per il suo partito, innanzitutto perché resta lo strumento fondamentale «per riassorbire una parte di quegli elettori che si erano allontanati anche dalla sinistra democratica per i nostri errori e per i suoi silenzi» e che si erano rivolti all’“antipolitica” per farsi rappresentare.

La convinzione che esista un “popolo della sinistra”, fuggito dal riformismo tecnocratico e liberista di Matteo Renzi e provvisoriamente accasatosi nel movimento di Grillo e Casaleggio, non è una novità: è il fulcro della narrazione che si è imposta dal 2018 nel Pd e che ha garantito attorno a Zingaretti una maggioranza bulgara, nonostante che il diluvio di sconfitte politiche ed elettorali inanellate da allora ne abbiano confermato la fallacia e l’infondatezza (le poche volte che il Pd ha vinto lo ha fatto con vecchie alleanze di centrosinistra).

Ricostruire la sinistra
Nonostante l’enfasi bettiniana, con questa riedizione del “fronte popolare” (meglio populista) in qualunque sistema elettorale – compreso il più rigido sistema maggioritario – la destra-centro ricostruitasi sotto l’egida di Matteo Salvini e Giorgia Meloni avrà nel 2023 vita facile. Infatti, intorno al 18/19 per cento del Pd, ora stanno un M5S che si avvicina sempre più al 10 per cento – dal momento che sta perdendo segmenti crescenti della sua “classe dirigente”, che si riconoscono in un populismo estremo da “gilet gialli” lontano da ogni ancoraggio con la sinistra in tutte le sue numerose varianti, oppure ritornano all’estrema destra da cui provenivano – e una Leu a sua volta spaccata e divisa tra irriducibili e incomprensibili ideologismi. Intorno al Pd, dunque, non c’è effettivamente un insieme di forze destinate a durare nel tempo e a strutturare un’area politica che effettivamente si candidi a governare il Paese: c’è una aggregato di forze residuali prive di vitalità e di attrattività.

Ma interrogarsi su questo non interessa a Bettini. A lui infatti non interessa la formazione di un partito o un campo di forze la cui vocazione sia rappresentare la maggioranza degli italiani e ricevere da loro un mandato chiaro per governare: a lui interessa ricostruire la sinistra. Una sinistra indipendente dal centro, fortemente intrisa di suggestioni populiste e in grado di raccogliere tutti i frammenti sparsi delle vecchie appartenenze ideologiche del XX secolo: una sinistra novecentesca che accoglie del XXI secolo l’esperienza politica peggiore, cioè il populismo illiberale, senza nemmeno chiedergli una esplicita revisione ideale e programmatica ma accontentandosi che dall’esperienza governativa e parlamentare il M5S abbia appreso la vecchia arte del trasformismo.

Quasi un colpo di stato
Se il ragionamento di Bettini si fermasse qui sarebbe la replica a cose già dette in altre occasioni: non un disco rotto ma quasi. Ma purtroppo non si ferma qui e si spinge in una terra di nessuno nel quale anche il miglior esegeta del suo pensiero vacilla.

Perché, si chiede Bettini, il governo Conte II è caduto? Quel governo mirabile che tanto bene stava facendo per il Paese? Il cinismo e l’egocentrismo di Renzi “il più volte sconfitto” – una sorta di anatema che ricorda la III Internazionale – non basta a spiegare la crisi. Proprio il suo successo richiede una spiegazione più articolata e profonda, che chiama in causa nientepopodimeno che la borghesia, in quanto classe e il suo ruolo della storia d’Italia.

Il “salotto buono” delle classi dominanti si è riproposto di “destrutturare il sistema politico italiano” che la sinistra sotto la guida di Conte stava riorganizzando attorno a una coalizione vincente, che aveva messo all’angolo il sovranismo e la destra. Questa borghesia «che si è comprata giornali e ha preso d’assalto Confindustria» che vuole una Europa «atlantica» invece che ponte da Est e Ovest, che è «insofferente» verso il Mezzogiorno che tenta di «valorizzare i propri talenti e le proprie risorse», ha mirato a dare un colpo alla coalizione frontista demopopulista, riportando alla guida del governo forze tradizionalmente legate a quel «ventre molle di una parte d’Italia che non vuole cambiare». La caduta del governo Conte II è quasi l’esito di un colpo di stato di chi «vuole fare girare indietro l’orologio della storia», manipolando la stampa e sotto la regia di oscure forze mondiali.

Sono argomentazioni che fanno saltare ogni lettore sulla sedia: ma come? Il governo Conte ha goduto di un supporto universale della stampa italiana, cartacea e televisiva a testate e a reti unificate tutti i santi giorni per mesi, come neanche ai tempi di SIlvio Berlusconi, trasformando l’informazione in una specie di corazzata massmediale di regime e invece per Bettini è la borghesia padrona dei giornali che lo ha fatto cadere perché voleva colpire l’”avvocato del popolo” aizzandogli contro Lilli Gruber e Marco Travaglio. Qui siamo oltre il ridicolo, siamo alla propaganda da repubblica popolare.

Ovviamente alla borghesia non interessava per nulla che il governo si fosse ridotto a un pantano di immobilismo, che non fosse in grado di scrivere il Recovery Plan o di elaborare un piano vaccini credibile, con il rischio di fare precipitare il Paese in una crisi sempre più grave nonostante le risorse europee: interessava disarticolare il sistema politico per colpire Conte e il Pd che si ripromettevano di «riformare il capitalismo con la buona politica», rendendo la globalizzazione «più umana e più giusta».

Ma mettere la globalizzazione sotto il controllo della democrazia per coniugare sviluppo e giustizia sociale è l’obbiettivo dei riformisti da trent’anni, non dei populisti. L’ipotesi che si possa umanizzare il capitalismo della IV rivoluzione industriale scaricando Renzi e quelli che chiama i “centristi” e imbarcando Luigi Di Maio, Beppe Grillo e Nicola Fratoianni sarebbe ridicola, se non fosse tragica, mettendo in luce quale gap culturale e ideale alberghi nella testa di colui che vuole candidarsi a essere l’ideologo del nuovo Pd.

Conte come Cavour e De Gasperi
Ma questa ricostruzione cervellotica dei fatti non si arresta di fronte a questa soglia. Va oltre, allineando la scelta di questa borghesia imbelle, pavida e conservatrice che ha disarcionato il governo riformatore del “mai sconfitto” ad altre fatte in passato, quando ha preferito essere «mera spettatrice di ogni salto in avanti del Paese» piuttosto che partecipare…, e qui viene il bello, al «Risorgimento, alla Resistenza, alla fondazione della Repubblica». Cioè Conte come Cavour, come Ferruccio Parri e Luigi Longo, come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti messi insieme. E perché tutto ciò è accaduto? Perché le classi dirigenti borghesi sono state da sempre prive «al contrario della Francia, dell’Inghilterra e della Germania, di una propria storia combattuta e vinta sul campo».

Ma non è ancora finita. C’è un’ultima perla. Dopo questa ventata di gramscianesimo casereccio che maneggia in maniera maldestra la storia d’Italia per trovare le radici della crisi attuale, Bettini annuncia la creazione di una piattaforma che si proporrà una riforma del partito sulla base di una endiadi ideale e culturale: socialismo e cristianesimo “politico”; il primo come espressione di una eterna ansia di riscatto sociale e di uguaglianza; il secondo come un afflato che non solo predica e combatte per «minare la tirannia», ma difende la vita «una e irripetibile» di ogni essere umano.

Per Bettini il congresso si dovrà occupare di tutto questo: da esso forse più che un partito nascerà una nuova chiesa.

Alberto De Bernardi è presidente della Fondazione PER

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